
Dopo la fase di stasi dovuta alla guerra sono ripresi i flussi emigratori, anche se è andato riducendosi il rilievo assegnato all’emigrazione nell’ambito delle politiche europee verso i paesi americani, che si sono strutturate attorno a questioni di natura più strettamente economico-commerciale e culturale, nel contesto di una generale ridefinizione delle relazioni tra i due continenti. Anche l’atteggiamento dei paesi latino-americani rispetto all’Europa ha subito in questa fase trasformazioni profonde. Nelle élites culturali latinoamericane andava crescendo l’aspirazione ad una più ampia diffusione delle proprie culture nazionali in Europa e negli Stati Uniti, ma questa ambizione non riduceva l’interesse e l’apertura verso la cultura europea e quella statunitense. La crescente percezione di un’identità specificamente americana non ha implicato, dunque, un ripudio dell’eredità europea, e sia l’una che l’altra hanno continuato a costituire punti di riferimento importanti per intellettuali e politici latinoamericani.
Allo stesso tempo, è da ricordare che nel periodo successivo alla prima guerra mondiale si è avuta una fase di profonde trasformazioni anche nel sistema di relazioni inter-americane, che sono andate intensificandosi, e si è molto rafforzata la presenza economica e l’influenza culturale statunitense nel subcontinente latinoamericano.
In che modo il progressivo emergere di un confronto internazionale tra totalitarismi e democrazie ha interessato e investito la «cultura»?
Il conflitto tra totalitarismi e democrazie, prima ancora che un confronto militare, è stato un confronto culturale ed ideologico, uno scontro tra concezioni dell’esistenza umana profondamente diverse, che presto si sono rivelate irrimediabilmente inconciliabili.
Fascismo e nazismo prevedevano la progressiva riduzione dei diritti individuali e delle libertà fondamentali, fino a giustificarne lo svuotamento e la negazione. I diritti individuali dovevano essere sacrificati in nome degli interessi della “Nazione”, nell’ambito di una rivoluzione antropologica che aveva come fine la creazione di un modello di uomo nuovo, il cittadino-soldato, e di un nuovo ordine internazionale fondato su valori e istituzioni corporative di matrice fascista. La patria in nome della quale dovevano essere sacrificati i diritti e le libertà individuali era una patria escludente, identificata totalmente con il fascismo o con il nazismo, con la conseguente negazione del diritto di cittadinanza a chi si professava non solo anti-fascista o anti-nazista, ma anche a-fascista o a-nazista, qualificato come nemico da combattere – e più avanti eliminare.
È chiaro che, in un contesto simile, la “cultura” in senso lato ha svolto un ruolo centrale. “Books are weapons in the war of ideas” recitava, citando una frase di Franklin Delano Roosevelt, un manifesto di propaganda statunitense raffigurante un enorme libro dato alle fiamme dai nazi-fascisti. Controllo della produzione culturale, meccanismi di censura ed elaborazione di sofisticate strategie propagandistiche hanno assunto un ruolo centrale nelle politiche interne dei regimi totalitari, ma hanno interessato, sia pure con modalità ed intensità differenti, altri tipi di regimi. È stato nel periodo tra le due guerre che si sono delineati i primi tentativi di istituzionalizzazione e sistematizzazione dell’intervento governativo nella promozione della cultura nazionale all’estero tanto nell’ambito di sistemi democratici, quanto in regimi autoritari e totalitari, per incrementare il prestigio internazionale e dunque l’influenza politica ed economica.
È interessante notare come nel corso della seconda guerra mondiale si sia fatta strada l’idea che la causa ultima del dilagare del conflitto, fosse stata non tanto l’aggressiva politica imperialista nazi-fascista, quanto piuttosto quella radicale negazione della dignità di ogni essere umano che questi regimi esprimevano, e che rendeva impossibili compromessi accettabili. È per questa ragione che al termine del conflitto, per edificare un nuovo ordine internazionale si è dovuti ripartire, sia pure con serie contraddizioni ben presto divenute evidenti, dalla protezione della dignità umana; un processo complesso e difficile che, di fatto, ha rappresentato anche una reazione morale della società internazionale organizzata e, come è stato detto, della “coscienza collettiva dell’umanità”, di fronte ai crimini commessi durante la guerra. Una reazione fondata sulla consapevolezza che la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce un presupposto imprescindibile per il mantenimento di una pace stabile e duratura.
Quale ricezione ebbe in Argentina, in quel periodo, il conflitto tra proposte politico-culturali?
Il periodo tra le due guerre ha rappresentato un momento particolarmente complicato nella storia della ricezione della cultura europea, e in particolare italiana, in Argentina, soprattutto a causa delle peculiari modalità di circolazione di persone e prodotti culturali tra le sponde dell’Atlantico in quegli anni, connesse in modo molto più evidente e significativo rispetto al passato a progetti politico-culturali e propagandistici portati avanti in modo sistematico e organizzato. Si tratta di anni fondamentali nell’ambito del lungo processo di “nazionalizzazione” avviato dai governi argentini dopo la conquista dell’indipendenza e finalizzato al superamento dei limiti che la vastità del territorio e l’eterogeneità della popolazione ponevano all’auspicata costruzione dell’argentinidad, da realizzare attraverso l’estensione di una matrice identitaria a tutta la comunità. Nella decade del Trenta è andata definendosi in modo più compiuto e significativo la tendenza alla mobilitazione pubblica di intellettuali e uomini di cultura argentini, molti dei quali hanno dato una forma più strutturata alla propria partecipazione politica aderendo a specifici partiti o movimenti, o accettando incarichi pubblichi, anche nel settore educativo. Al centro dell’interesse di molti giovani intellettuali, così come di esponenti di vecchia data del mondo culturale argentino, è stato il dibattito sulla definizione dei tratti caratteristici dell’identità nazionale.
In quegli anni, e in particolare a partire dalla metà degli anni Trenta, lo scontro ideologico tra Stati totalitari e potenze democratiche ha trovato un terreno fertile in Argentina, dove la difesa “formale” dei principi liberal-democratici persisteva, accompagnata però dal rafforzamento di un composito e articolato movimento nazionalista particolarmente sensibile al messaggio del fascismo. Così sia le proposte politico-culturali inglese, francese o statunitense, sia i messaggi dei regimi fascista, nazista e franchista, hanno giocato a più livelli un ruolo importante nel paese, nel contesto di una radicalizzazione dello scontro tra i settori della società civile sostenitori, almeno a livello ideale, dei valori liberal-democratici e l’insieme di forze generalmente definite come “nazionaliste”, promotrici appunto di una soluzione politica autoritaria. Sarà però solo nel periodo successivo alla sconfitta bellica del nazi-fascismo che il protagonismo a livello politico-istituzionale di queste nuove forze nazionaliste, connesse a settori chiave del mondo politico, intellettuale e religioso argentino che tanta ammirazione avevano espresso per alcuni aspetti del modello mussoliniano, avrà modo di affermarsi pienamente, assumendo peraltro forme politiche peculiari e originali.
La ricezione argentina delle proposte politico-culturale italiana, britannica, francese, tedesca, spagnola e, più avanti, statunitense, e la risposta a queste proposte, ha dunque assunto caratteristiche peculiari legate alle dinamiche politico-culturali interne ed internazionali della Repubblica, influendo pesantemente sugli sviluppi politici, sociali e culturali successivi. Peraltro, la tendenza a dare priorità a questioni di politica interna, piuttosto che a motivazioni ideologiche di respiro internazionale, ha attraversato in modo trasversale quasi tutte le forze politiche argentine, almeno fino al 1941, quando il fronte favorevole all’intervento in guerra, strutturatosi intorno a posizioni al tempo stesso anti-naziste e anti-governative, si attiverà come forza mobilitante della società civile.
Quali forme di politica culturale furono realizzate tra Argentina e Italia negli anni Venti e Trenta?
Per parlare di “politica culturale all’estero” e di “diplomazia culturale” si dovrebbe presumere l’intervento diretto, nel settore delle relazioni culturali, dello Stato, che investe risorse e fissa gli obiettivi anche quando, per raggiungere questi ultimi, ricorre a organismi della società civile. Obiettivi e forme della diplomazia culturale si differenziano in modo accentuato in ragione della mentalità degli attori coinvolti, delle contingenze organizzative e delle evoluzioni strutturali, variando dunque molto a seconda del contesto storico, anche in uno stesso Paese. Per tutte queste ragioni, le forme di politica culturale realizzate in quegli anni da parte argentina e italiana sono state molto diverse tra loro.
Lo sviluppo di una politica culturale all’estero non ha costituito una priorità per la classe dirigente argentina, soprattutto per via dell’instabilità politica e della crisi economica, sebbene l’aspirazione a realizzare politiche di questo tipo non sia mancata. Sul finire degli anni Trenta è stata istituita presso il ministero degli Esteri la Biblioteca Publica y Oficina de Difusión de la Cultura y Propaganda Argentina en el Exterior, deputata a far conoscere all’estero l’evoluzione economica, politica, giuridica, materiale e spirituale argentina. Sebbene fosse già evidente la presenza del leit motiv del “destino di grandezza” della Nazione argentina, il dinamismo espresso in questo periodo a livello internazionale non è riuscito ad evitare che l’attività dell’organo nato nel Ministero degli Esteri rimanesse limitata e marginale, come dimostra la scarsità della relativa documentazione conservata negli archivi argentini, e come era stato rilevato puntualmente dai principali organi di stampa dell’epoca, che segnalavano l’inadeguatezza dell’operazione complessiva, tanto più evidente se messa a confronto con le omologhe attività europee, affidate a ministeri creati ad hoc. Solo negli anni Cinquanta, nell’ambito del peronismo, con la creazione di appositi organismi sarà avviato un effettivo processo di istituzionalizzazione e coordinamento dell’azione di promozione culturale oltre confine.
Al contrario, il governo Mussolini è stato impegnato sin dai primi mesi nella promozione di una politica culturale e propagandistica verso l’estero, progressivamente soggetta ad un accentramento del controllo da parte degli organismi governativi.
Per quanto riguarda il caso argentino, per molto tempo una componente importante della documentazione conservata presso archivi argentini e italiani è rimasta sostanzialmente inesplorata. I diversi percorsi di ricerca realizzati relativi a temi affini a questo hanno portato a conclusioni non sempre concordanti, lasciando ancora aperte questioni rilevanti, su cui si è ritenuto opportuno interrogarsi. Tra queste si segnalano, innanzitutto, quelle legate all’azione di promozione culturale realizzata su iniziativa di soggetti privati argentini (come istituti culturali, università, singoli intellettuali, e così via), oltre che a diversi aspetti inediti dell’opera promossa in Argentina dal regime fascista e diretta verso un’opinione pubblica articolata e non limitata ai gruppi nazionalisti argentini o alla comunità di origine italiana. Aspetti inediti dell’azione fascista nella Repubblica e le reazioni di settori dei gruppi dirigenti e della società civile argentina costituiscono altri temi analizzati.
Quali furono gli orientamenti ideali e gli attori argentini, italo-argentini e italiani che accompagnarono la circolazione di intellettuali e gli scambi accademici tra i due paesi?
Sebbene fondata su premesse diverse da quelle italiane, l’attenzione argentina verso la penisola è rimasta elevata durante tutti gli anni Venti e Trenta, per ragioni relative al processo di popolamento ancora in atto, e a questioni di interesse culturale generale ed anche di carattere specificamente scientifico e tecnico. Ciò ha permesso un’intensificazione dei contatti e degli scambi culturali almeno fino alla fine degli anni Trenta, quando l’atteggiamento del governo e dell’opinione pubblica argentini verso le attività nazi-fasciste nella Repubblica ha subito un notevole irrigidimento.
Dall’analisi della documentazione argentina emerge il ruolo attivo di settori del mondo politico e della società argentini, attori dinamici e determinati a interagire ad un livello paritario rispetto agli interlocutori italiani, e a rafforzare la presenza della cultura argentina a livello internazionale e l’influenza del Paese sullo scacchiere atlantico. In sostanza, è emerso come la grande vivacità che ha caratterizzato il settore della politica culturale nelle relazioni tra i due Paesi non sia stata dovuta solo all’azione profusa dal governo italiano in questo senso; la molteplicità di fonti consultate ha permesso, infatti, di mettere a fuoco diversi aspetti di un panorama estremamente complesso, caratterizzato dall’intreccio di iniziative argentine e italiane promosse a vari livelli, nell’ambito delle quali istituti culturali, università, organi governativi e intellettuali argentini hanno giocato un ruolo determinante, non esclusivamente connesso alle attività di movimenti di orientamento nazionalista anti-liberale.
Il regime fascista, da parte sua, agiva al tempo stesso come espressione di uno Stato nazionale e come rappresentante di un sistema politico edificato su base ideologica, con la conseguenza che la sua azione all’estero realizzava, allo stesso tempo, una attività diplomatica tradizionale ed una forma di propaganda fascista. Per esportare in modo sistematico la sua “rivoluzione antropologica” di stampo totalitario, e, più in generale, per incrementare la propria influenza politico-economica nella Repubblica, ha utilizzato tutti gli strumenti che considerava efficaci a seconda del momento, come Fasci all’estero, scuole italiane, organizzazioni giovanili, dopolavoro, istituti culturali, cinema, radio, stampa, crociere propagandistiche e trasvolate atlantiche, conferenze di intellettuali ed esposizioni artistiche. Particolarmente attivi nel coordinamento di questa azione propagandistica sono stati il Ministero degli Esteri e il Ministero della Cultura Popolare, soprattutto attraverso la Direzione Propaganda, alla quale era affidata la gestione della propaganda all’estero.
La crescente aspirazione del governo argentino a rivestire un ruolo di maggior peso in ambito non solo interamericano, e a vedersi quindi riconosciuta una posizione di interlocutore paritario da parte delle maggiori potenze, compreso in particolare il regime fascista, è emersa presto, costringendo le rappresentanze diplomatiche italiane a confrontarsi con la resistenza del governo e dell’opinione pubblica argentina, che non erano disposti a recepire passivamente la proposta politico-culturale del regime fascista, rivolta tanto alla fascistizzazione della comunità italiana, quanto ad un generale rafforzamento della propria influenza. Diplomatici ed esponenti di primo piano del regime fascista non sono riusciti ad evitare di rendere evidente una sostanziale insofferenza verso questa reazione argentina. Nel complesso, però, l’Argentina ha continuato a lungo ad essere considerata un interlocutore importante ai fini della realizzazione di specifiche politiche culturali, soprattutto perché considerata come perfetto esempio di nazione “latina” e dunque campo d’azione privilegiato per la sperimentazione di più accurate strategie propagandistiche improntate al concetto di panlatinismo, destinate poi ad essere estese ad altri Paesi. Fermo restando che l’uso del concetto di “latinità” all’estero e del mito del panlatinismo, corollario dell’ideologia fascista imperiale, è avvenuto in quegli anni con modalità diverse a seconda dell’area geografica. La finalità, comunque, era sempre quella di spingere verso un avvicinamento a Roma, centro della latinità, quale premessa per un riscatto da una condizione di subordinazione o, addirittura, inferiorità, che, nella prospettiva fascista, solo l’assimilazione degli ideali della cultura latina avrebbe permesso.
Quali forme e strategie assunse la propaganda del regime fascista nella Repubblica?
Come accennato, il regime si è servito di tutti gli strumenti che reputava utili, sfruttando anche le potenzialità offerte dai mezzi di comunicazione di massa. Con riferimento all’attività realizzata su iniziativa di attori italiani legati al governo fascista in Argentina risulta difficile, e probabilmente fuorviante, tentare di distinguere il concetto di diplomazia culturale da quello di propaganda politica, per via del fatto che, in particolare durante gli anni Trenta, tutti gli organismi operanti all’estero, anche quelli «non ufficiali», furono sottoposti al controllo del partito e dello Stato; le organizzazioni che, in modo più o meno accentuato, rivendicarono un’indipendenza dalle direttive e dall’ingerenza fascista furono oggetto di repressione, censura, sabotaggi e azioni di contrasto portate avanti, spesso con successo, dagli agenti fascisti a vari livelli.
È importante sottolineare che queste attività del regime furono portate avanti dagli agenti italiani attivi nella Repubblica ma furono supportate e veicolate da esponenti della comunità italo-argentina e, in generale, del mondo politico e culturale argentino sia di orientamento nazionalista, sia di orientamento liberal-conservatore.
Quale fu l’atteggiamento di settori della società civile e del mondo politico argentini nei confronti del regime fascista?
Come ho in parte accennato nelle risposte alle domande precedenti, l’atteggiamento della società civile e del mondo politico argentini di fronte alla proposta fascista, così come del resto rispetto a quelle spagnola, inglese, francese, tedesca o statunitense, è stato profondamente diversificato e articolato. Al di là delle tensioni tra i governi, peraltro durate molto poco, nate in seno alla Società delle Nazioni dopo l’aggressione italiana dell’Etiopia, le relazioni diplomatiche sono rimaste sostanzialmente positive fino all’entrata in guerra dell’Argentina a fianco degli Alleati, avvenuta molto tardi, nel marzo del 1945.
Tuttavia, sia dalle reazioni complesse e diversificate della collettività italo-argentina, ormai componente integrante e fondamentale della società argentina, sia in generale dalle modalità dell’intensa attività dei settori conservatori e dei movimenti nazionalisti e filo-fascisti locali, emerge una sostanziale incompatibilità tra gli obiettivi italiani e gli interessi, le esigenze e le finalità dei vari interlocutori a cui il regime si è rivolto, i quali hanno accolto e veicolato alcuni aspetti del messaggio fascista, ma ne hanno rielaborato, trasformato e spesso rifiutato molti altri. Nel complesso, dall’analisi delle fonti argentine emerge con nettezza il carattere velleitario delle ambizioni italiane.
La storiografia ha giudicato, in modo quasi unanime – salvo alcune eccezioni – come fallimentare il tentativo del fascismo italiano di “inquadrare” la popolazione di origine italiana, per poterla utilizzare come strumento di diffusione del fascismo in Argentina, ed ha individuato le cause di questo insuccesso nell’accelerazione dell’integrazione e dell’assimilazione culturale degli immigrati nel paese che in quegli anni si stava realizzando, alla quale ho già fatto riferimento. Come in altri paesi con forti presenze di emigrati italiani, il mito della patria fascista ha avuto, complessivamente, una presa piuttosto debole sulle collettività italiane all’estero. A mostrarsi particolarmente sensibili al messaggio fascista sono stati settori nazionalisti, i cui programmi, come messo in evidenza anche da Federico Finchelstein e da altri storici, hanno finito per incorporare aspetti del corporativismo, del ruolo della violenza politica e, più in generale, della “religione politica” fascista, ma si sono comunque configurati come tentativi di porre le basi di originali esperienze autoctone. In definitiva, nel lungo periodo ad affermarsi non saranno né il messaggio panamericano veicolato attraverso la diplomazia culturale statunitense, né il modello antagonista, permeato dal panlatinismo fascista e dal panispanismo di matrice franchista. Prevarrà invece una tendenza propriamente “argentina”, che assumerà le forme di quel fenomeno estremamente complesso che sarà il populismo peronista.
Laura Fotia è Research Fellow in Storia e Istituzioni dell’America Latina e docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. È stata Fellow e Visiting Researcher presso diversi istituti di ricerca e dipartimenti universitari europei e americani. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su nazionalismo, regimi autoritari e politiche repressive in America Latina; processi di pace e transitional justice in America Latina; diplomazia culturale tra Argentina, Stati Uniti e Italia; diritti umani e attività delle organizzazioni non profit in America Latina.