
I mistici, allora, di cui la storia della santità cristiana è piena, stanno a ricordarci che la loro è un’esperienza particolare di Dio. Potremmo dire, un’esperienza in cui Egli si rivela in maniera pregnante, sensibile e profonda, per rivelare in maniera assolutamente particolare i misteri fondamentali della nostra fede. Essi sono, in fondo, uomini e le donne contemplativi: sono quelli che hanno la capacità di guardare la realtà e le cose dal punto di vista di Dio, per aiutarci a capire – con le loro parole e le loro esperienze – che Dio non vuole soltanto essere studiato o capito in maniera fredda ed impersonale, ma vuole essere sperimentato e amato con un realismo pari a quello dell’amore che provano due persone, l’una per l’altra.
Quali errate convinzioni allignano sull’argomento?
Per averne un’idea, basta accedere ad internet e scrivere su un qualsiasi motore di ricerca la parola misticismo e spiritualità, che sono termini strettamente connessi: le verranno fuori una serie di risultati confusi e spesso assolutamente in contraddizione gli uni con gli altri: mistico è colui che propone di acquistare corsi di benessere olistico e chi invece offre una mescolanza confusa ed indistinta di varie dottrine e credenze orientali e non (solitamente senza mai appurare la storicità o la veridicità di certe informazioni); spirituale è quel massaggio che apre i chakra e il sito che parla dei miracoli di Padre Pio, o ancora mistico è tutto ciò che è segreto, che può essere spiegato soltanto a qualche eletto: mistico è il reiki e lo yoga, la preghiera del rosario e i siti di culti pagani che tanto successo riscuotono anche oggi; ci sono libri, giochi per adolescenti e addirittura ristoranti che hanno, nel loro titolo, il termine mistico; ci sono anche siti che spiegano in pochi e chiari punti, come diventare, in poco tempo, dei mistici.
La spiritualità e la mistica sarebbero quasi da intendere come una fuga in un’imprecisa e nebulosa situazione di pace e di benessere, quasi messi a galleggiare in un’impersonale brodo divino alla ricerca di qualche consolazione o pacificazione interiore: su questo, purtroppo, i movimenti new age degli scorsi decenni ed oggi soppiantati da altre proposte commercial-spirituali hanno condizionato molto l’idea stessa di misticismo e spiritualità.
Per molti il misticismo sarebbe una via di accesso al proprio inconscio, a quelle parti del proprio sé che non sono ordinariamente accessibili, e che grazie a queste esperienze fuori dal comune diventerebbero fruibili e note. Non bisogna dimenticare che in certi periodi nemmeno troppo lontani nel tempo, non pochi hanno cercato l’accesso all’esperienza mistica, all’illuminazione persino attraverso droghe e stupefacenti, per forzare un’esperienza che, di per sé, è un dono assolutamente gratuito e che non si può provocare da se stessi.
Persino nella Chiesa, ancora oggi, per molti il termine mistico o misticismo evoca qualcosa di sospetto, di negativo e da cui stare in guardia. Non pochi teologi storcono il naso quando si accenna alla dimensione mistica della vita cristiana, quasi che essa possa essere pericolosa in quanto potrebbe allontanare dalla strada ordinaria dalla retta fede.
Da cosa si riconosce un mistico?
Purtroppo una certa informazione sensazionalistica o agiografica di maniera ci ha abituato a guardare ai mistici come a personaggi fuori dal comune: se si leggono, ad esempio, alcune biografie di san Pio da Pietrelcina, l’elemento straordinario, miracoloso e meraviglioso è sottolineato in maniera tale che, alla fine, si perde il vero profilo umano e la ricchezza spirituale di un uomo che ha vissuto la sua vita cercando di conformarsi a Gesù Cristo.
Se ci aspettiamo di vedere persone con esperienze straordinarie o che hanno manifestazioni fuori dal comune, che levitano o che parlano come degli oracoli, probabilmente resteremo delusi; i mistici non sono affatto questo tipo di persone. Personalmente ho conosciuto diversi mistici: due di queste, in particolare, sono madri di famiglia perfettamente inserite nella vita di ogni giorno, con i suoi problemi, le sue sfide e le sue contraddizioni. Però, quando parlo con queste persone o le ascolto, mi rendo conto di trovarmi di fronte a persone di una grandissima ricchezza interiore: l’amore per Dio che esse vivono è talmente grande che emerge da ogni parola, da ogni gesto o da ogni scelta che esse compiono nella loro vita quotidiana. Per intenderci: è come essere davanti ad una montagna altissima e maestosa, e sentirsi piccoli piccoli.
In che modo l’esperienza che alcuni uomini e donne mistici hanno fatto di Dio ci è d’aiuto per conoscerlo?
Ciascuno di noi ha un fiuto particolarissimo per riconoscere, quando sentiamo parlare di Dio, di valori o di ideali, se chi ci sta parlando di questi argomenti lo fa perché ne ha esperienza personale oppure perché lo ha semplicemente letto su qualche libro. L’esperienza diretta di Dio – che i mistici vivono persino nel loro corpo – è talmente concreta e reale che quando essi ne parlano riescono a trasmettere un vissuto che è proprio l’esperienza che noi facciamo quando parliamo a qualcuno delle persone a cui vogliamo più bene o che ci sono più care nella vita.
Allora, quando un mistico parla di Dio, parla di una persona viva, reale e che conosce bene; non di un’idea astratta e lontana dalla realtà. Mosè non sapeva realmente chi era Dio perché lo aveva confuso con le sue personali idee su Dio stesso. Soltanto quando gli ha permesso di purificare i suoi occhi è stato in grado di vederlo realmente, per quello che è ed è stato in grado di trascinare gli ebrei in un’epopea gloriosa di liberazione e di riscatto. Mosè ha conosciuto Dio personalmente, direttamente, ci ha camminato dentro: queste persone fanno nascere in noi una nostalgia, un desiderio di poter fare anche noi la stessa esperienza così intima ed amorevole di Dio.
Il Suo libro presenta cinque personaggi che, della mistica, vanno a comporre una sorta di cartina di tornasole: Mosè, Guglielmo di Saint-Thierry, Caterina da Siena, Teresa di Lisieux, Francesco d’Assisi: quale ingresso privilegiato offre ciascuno di loro al mistero della contemplazione?
Come ho specifico già nell’introduzione del libro, la scelta delle figure presentate nei vari capitoli potrebbe sembrare arbitraria, ed in un certo senso lo è proprio. Forse i criteri che mi hanno portato a scegliere queste figure potrebbe essere discutibile o non proprio scientifica, e sicuramente – nel firmamento delle figure mistiche di cui la bimillenaria storia cristiana è piena – altre figure avrebbero potuto prestarsi altrettanto bene (se non addirittura meglio!) per spiegare con chiarezza cosa sia l’esperienza mistica. Quindi, la scelta dei personaggi di cui parlo in ogni capitolo è legata ad un criterio personale: potremmo dire di simpatia. Ho scelto i personaggi di cui ho parlato e di cui ho descritto l’esperienza mistica perché, in qualche modo, li sento vicini in qualche modo. Ma, evidentemente, vi è anche un criterio più profondo: ognuno di questi personaggi – a mio avviso – ci consegna un modo assolutamente peculiare di vivere quell’esperienza profonda e intensa che è il misticismo. Mosè, ad esempio, insegna con la sua storia che Dio non vuole essere solo conosciuto razionalmente, come se fosse semplicemente qualcosa da studiare: vuole entrare in relazione con noi e addirittura offre a Mosè una possibilità che nessuno, prima di lui, aveva avuto: quella di camminare, letteralmente, dentro Dio per scoprire il suo mistero d’amore. Ed è proprio l’amore l’elemento distintivo di ogni autentica esperienza mistica: Guglielmo di Saint-Thierry, nel suo commento al Cantico dei Cantici ci dice che Dio ci cerca e vuole con noi un rapporto profondo, stretto, intimo nel quale abbracciarci e baciarci come il più tenero degli amanti farebbe con la sua amata. Ma non basta: ci sono figure di santità e di mistica, come Caterina da Siena che ci costringono a rivedere le nostre idee riguardo a chi siano i mistici. La vergine senese è l’esempio più emblematico di quanto l’autentica esperienza mistica sia connessa con la realtà, con la storia sociale e politica degli uomini e dei popoli e addirittura con le contraddizioni che queste, inevitabilmente, portano con sé. Teresa di Lisieux, dal canto suo, ricorda nel il suo diario spirituale che l’ambito in cui si avvera ogni autentica esperienza assoluta di Dio – quale quella mistica – è proprio l’ordinarietà, la normalità. È proprio in quella straordinaria monotonia quotidiana che si può compiere l’atto d’amore più grande, come ha fatto Gesù: quello di sedersi a tavola con i peccatori (per usare un linguaggio familiare a Teresa) per condividerne il pane amaro e il buio in cui essi vivono, per portare loro un po’ di luce. Infine Francesco d’Assisi, uomo fatto preghiera e totalmente trasformato – persino nel corpo – nella persona di Cristo crocifisso. Il Poverello d’Assisi ci ricorda che quando si lascia entrare Dio nella propria vita e lo si ama con tutti se stessi, veniamo introdotti in un’esperienza talmente tanto profonda e coinvolgente, che persino il nostro corpo ne partecipa pienamente: le sue stimmate ci ricordano, dopo tanti secoli, che il nostro percorso esistenziale si realizza pienamente soltanto quando ci trasformiamo progressivamente in Lui attraverso un amore così forte e totalizzante che ci tocca persino nel nostro corpo.
Quale esperienza straordinaria e totalizzante descrive Guglielmo di Saint-Thierry?
Per capire la novità e la grandezza del messaggio di Guglielmo di Saint Thierry, dobbiamo anzitutto pensare al nostro rapporto con Dio. Diciamoci la verità, anche se spesso non l’ammettiamo nemmeno con noi stessi: noi, solitamente, di Dio abbiamo paura. Ce ne teniamo alla larga, ad una distanza di sicurezza, quasi che Egli debba venire a scombinare i nostri piani nel momento in cui lo facessimo entrare nella nostra vita. Per questo, di solito, cerchiamo di tenercelo buono con qualche preghiera o qualche atto di culto, ma in realtà non vogliamo davvero che ci si avvicini troppo. Per questo facciamo fatica a capire che, invece, Dio vuole avere con noi un rapporto stretto, di grande confidenza e di amicizia. Diciamo pure di complicità e di amore, proprio come quello che intercorre tra due amanti. Per questo, Gugliemo è il primo, commentando il testo biblico del Cantico dei Cantici, ad affermare che nella nostra capacità di amare e di donarci totalmente ad un’altra persona vi è il segreto per capire l’amore che Dio ha per noi. Un amore, appunto, totalizzante e straordinario proprio come quello di due persone che si amano e che passerebbero il loro tempo vivendo e nutrendosi della loro stessa passione: Dio vuole tenerci stretti in un abbraccio d’amore che nessun amante, o padre o madre sarebbe capace di dare, e baciarci teneramente per farci capire quanto ci tiene a noi. Ciò, evidentemente, può risultare scandaloso per molti di noi, abituati a pensare a Dio come ad un’idea astratta e comunque molto lontana dalla nostra vita e dalla nostra quotidianità.
Cosa rende straordinaria la “piccola via” di Teresa di Lisieux?
Paradossalmente, proprio la sua ordinarietà. Ad una lettura superficiale del diario intimo di Santa Teresa, quasi si resta perplessi, di fronte all’apparente normalità del suo rapporto con Dio. Non ci sono estasi, né folgoranti matrimoni spirituali, e nemmeno intuizioni profonde provenienti da carismi di conoscenza straordinari. Eppure, proprio in quella ordinaria monotonia nella quale Santa Teresa visse la sua breve vita, si manifestò pienamente la profondità di un’esperienza di unione con Dio assolutamente unica. Dio, insegna Teresa, va cercato proprio nella normalità e nelle contraddizioni della nostra quotidianità, perché è proprio lì che Egli ama vivere ed attenderci. Di fronte alla tentazione di sentirsi grandi e maturi nella fede (idea che tra le suore del Carmelo di Lisieux serpeggiava in maniera persistente), Teresa propone una via mistica improntata, invece, proprio sulla debolezza e sul riconoscersi incapaci di grandi imprese spirituali. L’unica cosa è attendere che Dio, nella sua bontà, si chini sopra di noi. Soltanto allora il cuore si dilata, e si diviene capaci dell’atto di amore più grande che si possa fare: sedere alla tavola con i peccatori. È un’espressione, questa, che dice tutta la profondità dell’esperienza mistica di Teresa di Lisieux: quando si accetta di percorrere le strade buie e tenebrose che i lontani, i senza Dio ed i peccatori percorrono senza speranza, per camminare al loro fianco e per accendere una luce nella loro anima, allora finalmente si diventa proprio come Gesù – che ha donato la sua vita per noi – ed allora la nostra trasformazione in Lui è perfetta.
Francesco vive il misticismo nella completa conformazione a Cristo: in che modo il santo di Assisi ci è d’esempio in un tempo come il nostro?
Indubbiamente, tutti proviamo istintivamente grande simpatia per il Poverello di Assisi; c’è da dire che – come osservava lo storico Franco Cardini in un suo famoso libro sulla figura di san Francesco – pochi santi assieme a Gesù Cristo sono stati interpretati, riletti, forse anche fraintesi, come lui. Ogni epoca ha avuto il suo San Francesco, di volta in volta reinterpretato e riletto secondo la moda del momento o addirittura secondo una precisa lettura ideologica che però spesso si focalizzava su un aspetto della vita del santo, tralasciando di leggere con attenzione tutta la sua vicenda umana e spirituale. Quello che si deve tener presente, per comprendere una figura mistica così complessa come san Francesco, è la scelta fondamentale che guidò tutto il suo percorso: vivere e diventare sempre più uguale al Signore Gesù povero e crocifisso, nato povero in una mangiatoia e morto ancora più povero sul legno della croce. In questa dinamica spirituale si comprendono anche le scelte di vita di Francesco e i passaggi che lo porteranno, man mano, a configurarsi sempre di più a Gesù. Questo fino alla trasformazione suprema del Poverello nell’immagine del Cristo crocifisso per mezzo delle stigmate. San Bonaventura, biografo ufficiale del santo, spiega con una frase icastica l’evento delle stigmate: “il verace amore di Cristo aveva trasformato il corpo dell’amante in quello dell’Amato”. Temi come l’ecologia, il rispetto per il creato e l’amore universale possono essere facilmente fraintesi se non si parte da questa idea centrale, per la vita di Francesco d’Assisi: tutto è in funzione dell’amore ardente e totale per il Cristo crocifisso. L’attualità del santo di Assisi si comprende proprio in quest’ottica: il medioevo, in fondo, non era così diverso dalla nostra epoca, caratterizzata da un profondo relativismo e crisi di punti di riferimento: ora, come allora, il Poverello ci aiuta a ricordare che nella conversione personale, nell’amore per Cristo e per i più poveri e dimenticati si trova la chiave della vera felicità: soltanto allora quella trasformazione interiore a cui tutti aspiriamo può avvenire realmente. Francesco ha vissuto questa trasformazione persino nel suo corpo, ma la nostra – se vissuta con lo stesso amore per il Signore – non sarà meno reale e autentica.
Roberto Fusco è docente di Teologia Spirituale, materia in cui ha conseguito il dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana. Tra le sue pubblicazioni, per le Edizioni San Paolo, Tornare a casa (2018) e L’amicizia (2020).