
Che ruolo svolgono, nella musica, gli intervalli?
Con questa domanda si entra nel cuore dell’argomento di cui tratto nel volume, che è, appunto, la melodia. E ne tratto, come spiega il sottotitolo, considerando prima gli aspetti grammaticali, poi quelli sintattici. Come a dire: prima vivisezionando una musica, smontandola come una bicicletta, facendola a pezzi e considerando ciascun pezzettino per sé; poi cercando di rimontarla, di capire come funziona e soprattutto perché è stata composta proprio così e non in un altro modo. Perché una correlazione esiste, fra il modo in cui la musica è stata com-posta (il modo in cui i suoi pezzi sono stati posti insieme), e la maniera in cui agisce su di noi. Per tornare alla domanda, quando si prende in esame una melodia, i pezzettini, i mattoncini del LEGO di cui si compone sono gli intervalli. Occorre però precisare che, per intervallo, in questo contesto non si intende il lasso di tempo che intercorre fra quel che viene prima e quel che viene dopo, ma la distanza, in termini di altezza del suono (parametro che si misura in Herz), fra un suono grave (comunemente detto “basso”) e un suono acuto (detto “alto”). Detto questo, possiamo tornare alla domanda: che ruolo svolgono gli intervalli? Lo stesso ruolo che svolgono i tasselli in un mosaico, i mattoni in una casa, le tessere in un puzzle. Si combinano fra loro a formare disegni (in questo caso disegni melodici) complessi e dotati di senso per chi li concepisce e per chi li recepisce. Naturalmente tutte queste operazioni di smembramento, vivisezione, smontaggio e rimontaggio sono piuttosto pericolose, perché la musica è un tutto, come recita il bel titolo di un libro di Daniel Baremboim, e a farla a pezzi si rischia di azzerarne l’effetto. Ma insomma: da qualche parte occorre pur cominciare, se ci si vuol fare intendere da chi non è specialista in materia, e a rimettere insieme tutto c’è pur sempre l’ascolto finale (che, se il metodo funziona, dovrebbe essere più consapevole di quello iniziale). A un certo punto dichiaro che per me la soddisfazione maggiore consiste nel sentirmi dire che, dopo aver letto questo libro, il lettore ha l’impressione di ascoltare la musica con maggiore attenzione: se così fosse, al di là dei singoli argomenti specifici di cui parlo, mi riterrei davvero soddisfatta.
Quali potenzialità espressive può assumere il suono ribattuto?
Il ribattuto consiste nella ripetizione (insistente, implacabile, ossessiva) di uno suono della stessa altezza: lo stesso suono ripetuto. In questo intervallo fra la frequenza del primo suono e quella del secondo non vi è nessuna differenza. Che cosa possa esprimere, ovviamente, dipende dal contesto musicale in cui è inserito. In un contesto sacro, può assumere la funzione tipica della declamazione, o della cantillazione: una modalità intonativa a metà strada fra il cantato e il parlato, che agevola la comprensione del testo musicato e gli conferisce un senso di solennità. Nella canzone di un rapper può esprimere noia, frustrazione, alienazione. In altri contesti può essere impiegato semplicemente per sincerarsi che il testo intonato, o una parte particolarmente importante di esso, risulti chiaramente intelligibile. In genere questo accade nei canti dal carattere solenne, ieratico, celebrativo: dove un determinato testo (o, in contesto sacro, un passaggio di particolare pregnanza dottrinale) deve essere ben compreso dagli ascoltatori. In ogni caso, il ribattuto non compare mai da solo, ma si combina con altri elementi del discorso musicale (il ritmo, il timbro, gli accordi) che contribuiscono a connotarlo e a conferirgli carattere e personalità. Lo spiegano bene Elio e le storie tese nella memorabile Canzone mononota che, a dispetto del fatto di basarsi su una sola nota, non finisce di sorprendere l’ascoltatore con continui colpi di scena e sorprese, sempre squisitamente musicali.
Quali sono gli intervalli musicalmente più significativi?
Tutti e nessuno. Ogni intervallo ha una sua personalità e, ricomparendo nel corso della storia della musica all’interno di musiche di segno diverso, si è “caricato” di una particolare potenza espressiva. D’altro canto, tutta la musica parla d’altra musica, tutti i motivi ricordano altri motivi. Ma davvero è il contesto musicale a risultare in ultima istanza determinante. È pur vero che, nel corso del libro, mi sono soffermata a descrivere i tanti passaggi in cui una quarta ascendente, posta in apertura di una melodia, le conferisce slancio, infonde ottimismo e conferisce alla melodia di turno una baldanza speciale: si pensi all’attacco di Bandiera rossa: “Avanti popolo…”, oppure all’inizio dell’inno sovietico, o ancora alle prime note dell’inno di Forza Italia – tutte melodie che vogliono infondere speranza negli ascoltatori e creare un senso di coesione fra di essi. C’è chi dice che l’intervallo di quinta giusta intonato in senso ascendente sia allegro (infonda allegria), in senso discendente sia triste (infonda tristezza): naturalmente si tratta di generalizzazioni, per non dire banalizzazioni. Eppure alle volte simili osservazioni aiutano a comprendere che alcuni intervalli possono veicolare emozioni diverse rispetto a quelle veicolate da altri e contribuiscono a far sì che, durante l’ascolto, si presti maggiore attenzione a questi aspetti rispetto ad altri.
Come può essere congegnata una melodia e in base a quali criteri la si può costruire?
Non vi è volume che possa rispondere a questo quesito in maniera esauriente, tanti sono gli aspetti che meriterebbero d’esser presi in esame. Certo è che la melodia è un organismo complesso, congegnato il più delle volte in maniera assai consapevole e accorta: anche il motivetto apparentemente più banale risponde, come minimo, a criteri di equilibrio e simmetria che ne fanno un costrutto musicale semplice ed efficace. Come accennavo poco sopra, il mio libro si divide in due parti: la prima affronta elementi grammaticali, la seconda affronta alcuni semplici problemi sintattici. Che cosa ce ne facciamo di tutti gli intervalli di cui si è parlato nella prima parte, una volta che abbiamo imparato a riconoscerli? È il tema affrontato nella seconda parte. Una sezione che prende l’avvio da alcuni meccanismi costruttivi elementari come, ad esempio, la ripetizione. Se la musica è un discorso, una volta pronunciata una frase potrò rispondere con una frase diversa, ma anche limitarmi a ripetere la prima. Molto spesso il compositore combina questi due approcci e ripete la stessa frase, introducendo, spesso alla fine, una piccola variante: la chiameremo ripetizione? O la chiameremo variazione? Io la chiamerei risposta variata. Quello che faccio, nel libro, è portare alcuni esempi, tratti per lo più dalle più celebri canzoni dei cantautori degli anni Settanta e Ottanta, in modo da chiamare in causa, quale ultimo giudice, l’orecchio di ciascuno. Come sempre, anche in questo caso lo scambio con l’ascoltatore avviene grazie a un terreno musicale comune e condiviso.
Di quali stratagemmi si può talvolta servire la musica?
Il termine “stratagemmi”, che compare in questa domanda, consente di introdurre il tema della manipolazione: la musica – ahinoi! – può manipolarci o contribuire alla nostra manipolazione. A che pro? Mille sono i fini possibili per cui la musica può essere usata (primi fra tutti, naturalmente, fare quattrini e avere successo: dunque a scopo pubblicitario o propagandistico). Al pari d’altre strategie visive, anche la musica concorre a manipolare l’ascoltatore per indurlo a comprare merendine stomachevoli, votare per un candidato improponibile, iscriversi a un partito senza radici e senza storia. Alle volte basta un jingle azzeccato, un motivetto formato da un paio d’intervalli, per farmi imprimere nella mente il nome di un prodotto, un candidato o un partito. Da lì in poi non potrò scordarlo mai.
Naturalmente la musica più è dozzinale, più è prevedibile: ecco allora che, nella seconda parte del libro, ho provato a “smontare” alcuni semplici meccanismi musicali, usati con scopi extra-musicali, per provare a capire come funzionano e, così facendo, disinnescarli. Qualcuno mi ha detto che l’esperimento è funzionato: a questo punto non mi resta che invitare il lettore a sottoporsi allo stesso esperimento e poi dire la sua.
Marina Toffetti è professore associato di Teorie musicali presso l’Università di Padova, dove insegna anche Analisi delle forme musicali e delle tecniche compositive e Paleografia musicale. Si è diplomata in Pianoforte, Direzione di coro, Composizione e Lettere moderne e ha conseguito il dottorato di ricerca in Filologia musicale. Vincitrice di concorsi e borse di studio, ha tenuto seminari in Italia, Europa e negli Stati Uniti. Con Carocci ha pubblicato anche Due parole sulla musica. Noi e il lessico musicale (2020), con LIM-SEdM il volume Introduzione alla filologia musicale (2022).