“Didattica Blended. Teorie, metodi ed esperienze” di Maria Beatrice Ligorio, Stefano Cacciamani e Donatella Cesareni

Prof.ri Maria Beatrice Ligorio, Stefano Cacciamani e Donatella Cesareni, Voi siete autori del libro Didattica Blended. Teorie, metodi ed esperienze edito da Mondadori Università: in cosa consiste l’approccio Blended?
Didattica Blended. Teorie, metodi ed esperienze, Maria Beatrice Ligorio, Stefano Cacciamani, Donatella CesareniLetteralmente “blended” significa “miscelato”; quindi il riferimento si riferisce chiaramente all’idea di prendere elementi diversi e metterli insieme allo scopo di creare qualcosa di nuovo, che corrisponda a qualcosa di più e meglio della semplice somma. Questo termine acquista una certa popolarità con prodotti come il whisky o il caffè, che ricercavano fragranze sofisticate mescolando elementi in grado di esaltare l’uno il sapore, gusto e aroma dell’altro. La trasposizione di questo termine nei contesti formativi segnala la mescolanza tra online e offline, tra didattica in presenza e a distanza. Lo scopo è sempre quello di creare un prodotto che combini il meglio dei due metodi. Per ottenere questo risultato occorre conoscere bene sia le strategie didattiche in presenza sia le diverse modalità con cui è possibile erogare didattica a distanza. Operazione non semplice anche perché implica il dover specificare le caratteristiche di entrambi i versanti e fa sorgere nuovi quesiti: quali strategie didattiche selezionare? Come sequenziarle? Quali tecnologie? Come garantire che l’adozione di un versante garantisca anche il successo dell’altro?

Nel tentativo di rispondere a tali domande, si è compreso che il “blended” non riguarda solo la mescolanza tra online e in presenza ma anche tra strategie didattiche diverse, dalla lezione frontale, tipica della didattica in presenza alle diverse strategie di lavoro online. Inoltre, è attesa una certa varietà di strumenti adottati per l’erogazione delle informazioni e dei contenuti curriculari. Infine, in una accezione più recente, il blended learning sembra anche includere contesti diversi, in modo da creare connessioni tra il mondo della scuola e l’extra-scuola.

Quindi, non basta mescolare online e offline per ottenere un blended learning efficace. Infatti, il duplicare la stessa lezione in presenza e a distanza, che sia in tempo reale o con il ricorso alle registrazioni, non si configura come vero Blended. Il Blended Learning può dirsi tale quando crea ambienti di apprendimento dove quello che succede con il supporto delle tecnologie ha un effetto nelle dinamiche in presenza e viceversa, allo scopo di ottenere un contesto potenziato e arricchito che permetta un apprendimento più efficace di quello ottenibile con una sola modalità (online o in presenza).

Quali sono le teorie e le implicazioni psico-pedagogiche e socio-culturali del Blended Learning?
Per ottenere un apprendimento online efficace occorre avere dei riferimenti teorici adeguati. Tra le teorie più citate c’è sicuramente il modello della costruzione di conoscenza e quello, strettamente interconnesso, dell’apprendimento collaborativo. Due modalità non semplici da attuare già in una situazione in presenza, sia perché spesso fatte coincidere con la semplice formazione di gruppi sia perché spesso banalizzata nella letteratura rivolta ai docenti.

Nell’accezione data da Bereiter e Scardamalia, la costruzione di conoscenza significa andare oltre la semplice acquisizione di concetti e competenze, considerata come il passo iniziale a cui deve seguire la messa in atto di quanto appreso per far avanzare i confini della conoscenza stessa. L’apprendimento deve essere messo al servizio del progresso di idee, ipotesi e domande che caratterizzano la disciplina in oggetto. Occorre rendere gli studenti attivi, proporre compiti che stimolino esperienze significative e sfidanti, sostenere il pensiero critico e un apprendimento profondo. Questo però non vuol dire che non si siano sviluppati dei modelli psico-pedagogici su misura per la didattica in modalità blended quali, per esempio, l’approccio Trialogico che punta a potenziare le interconnessioni tra diversi contesti; il Rapid learning che propone di impostare la didattica per problemi e supporta i partecipanti nell’individuare il più rapidamente possibile la soluzione migliore contando anche sui big data; il Micro Learning che si occupa di unità di apprendimento relativamente piccole e attività focalizzate e a breve termine, utile nei contesti professionali dove occorre erogare formazione a lavoratori che dispongono di poco tempo e che, spesso, considerano l’apprendimento formalizzato come qualcosa del passato, con cui hanno perso dimestichezza.

Dal punto di vista socio-culturale, l’approccio Blended supporta un senso di comunità ampio e diversificato dove il senso di presenza acquisisce diverse sfumature; infatti, si parla di presenza sociale, cognitiva e didattica. Inoltre, è possibile far leva sulla costruzione di una identità digitale per meglio personalizzare i percorsi e per permettere a tutti di essere attivi e di partecipare allo sviluppo di una impresa comune sostenendo agency, intersoggettività e empowerment – tutti concetti esplicitati nel volume.

Il Blended ha comportato anche una sempre maggiore capacità dei siti Web di essere accessibili a tutti, indipendentemente dalle capacità/disabilità. L’attenzione è in particolare su come rendere accessibile il materiale didattico in modo da renderlo efficace non solo per le persone con bisogni speciali, ma anche per tutti gli studenti. Il Blended può rappresentare una grossa risorsa per un’educazione sempre più inclusiva permettendo, per esempio, la composizione delle classi sempre più multiculturali e globalizzate. Di fronte a questa diversità di popolazioni e bisogni, molti docenti stanno diventando consapevoli dell’importanza di tener conto delle dimensioni di multiculturalità e interculturalità nella progettazione delle attività online. Sicuramente uno dei problemi principali è la lingua: la maggior parte delle tecnologie sono pensate per utenti che parlino inglese e ricorrere alla traduzione non sempre risolve il problema, dato che si tratta di entrare nel flusso comunicativo con la sensibilità che solo i madre-lingua possono avere. A tal proposito, il Blended propone di utilizzare metodi di presentazione dei concetti visivi e iconici, predisponendo materiali culturalmente sensibili e intellettualmente stimolanti. Si raccomanda anche il ricorso a istruttori locali che possono facilitare l’apprendimento con una corretta traduzione dei materiali di apprendimento e, in generale, a utilizzare le sedi locali sia per una migliore organizzazione dei contenuti sia per una gestione ottimale dei percorsi. In sintesi, il Blended offre la possibilità di individuare la modalità con cui usufruire dei contenuti di apprendimento e con cui interagire con altri partecipanti tenendo conto di fattori cognitivi, emotivi e socio-culturali.

Quali strategie didattiche consentono di impostare un blended efficace?
Come già detto, la didattica blended non si limita a giustapporre distanza e presenza, ma intende proporre una mescolanza di metodologie didattiche ben calibrate a seconda degli obiettivi di apprendimento che ci si pone, della numerosità ed età dei componenti del gruppo, degli strumenti a disposizione, del contesto in cui si agisce. Non è quindi possibile definire a priori quali strategie didattiche siano più efficaci all’interno di un approccio blended. E’ tuttavia possibile affermare che tali strategie devono porre lo studente al centro del processo di apprendimento, favorendo nello stesso tempo l’agency del singolo e la collaborazione fra pari, intendendo con agency l’assunzione da parte dello studente di attiva responsabilità nei confronti del proprio processo di apprendimento. Quindi strategie di tipo euristico e collaborativo, che possono porsi a diversi livelli di complessità. Possiamo infatti parlare di approcci che si pongono ad un livello di macroprogettazione delle attività, che indirizzano cioè l’attività della classe nel suo complesso per un lungo periodo, pensiamo ad esempio alla Flipped classroom o al Project Based Learning, e strategie più mirate e specifiche, utilizzate per raggiungere determinati obiettivi all’interno di una progettazione di breve periodo.

Fra le metodologie che favoriscono l’apprendimento attivo e collaborativo possiamo citare ad esempio il Role Taking, assegnare cioè ruoli specifici e ben definiti agli studenti all’interno del lavoro nel piccolo gruppo, strategia che da una parte aiuta il singolo ad assumere la propria responsabilità nel gruppo, dall’altra consente una distribuzione dei compiti funzionale al raggiungimento degli obiettivi; il Brainstorming, tecnica che favorisce la formulazione del maggior numero di idee rispetto ad una tematica che si vuole sviluppare, o ad un problema che si vuole risolvere; il Jigsaw, il gioco di incastri che prevede la scomposizione di un contenuto in tanti sotto argomenti, la creazione di gruppi di esperti che esplorano quel sotto argomento per poi ricomporre la visione di insieme formando gruppi che hanno al loro interno un “esperto” per ogni specifica tematica; l’Indagine Progressiva, tecnica che guida il gruppo verso la formulazione di ipotesi rispetto alla soluzione di un problema, per poi ricercare informazioni a sostegno o a confutazione delle proprie o altrui ipotesi, arrivando ad una riformulazione delle stesse e così via verso la ricerca di nuovi problemi più specifici; la discussione, condotta sia in presenza sia a distanza attraverso l’uso dei forum. Ma non si devono tralasciare o bandire strategie didattiche di tipo “trasmissivo” come ad esempio la classica lezione, fondamentale in alcuni momenti, anche all’interno di metodologie che vedono lo studente al centro del processo. Non si vuole demonizzare la lezione frontale, condotta in aula o videoregistrata, che può costituire un buon punto di partenza per presentare un concetto o un aspetto teorico fondamentale, per chiarire alcuni punti problematici dell’indagine che gli studenti vanno percorrendo, o anche quando semplicemente si vuole appassionare e incuriosire gli studenti verso un determinata tematica. Importante è comprendere che la lezione non può essere l’unica strategia didattica, come spesso avviene, ma deve contribuire con le altre metodologie a quella opportuna “mescolanza” che consente di realizzare un blended di qualità.

Quali problematiche sollevano la progettazione e la valutazione del Blended Learning?
La progettazione di un’attività o un percorso formativo basato sul Blended Learning e la valutazione dei loro esiti richiedono un’accurata analisi in grado di affrontare efficacemente una serie di problematiche che delineeremo di seguito in breve.

Per progettare e allestire un ambiente di Blended Learning è necessario in primo luogo predisporre gli spazi fisici e digitali in cui, o attraverso i quali, i partecipanti lavoreranno insieme. La dimensione collaborativa implicata dai modelli di tipo costruttivista sociale, che sono alla base di tali percorsi, richiede il costituirsi tra i partecipanti di una vera e propria comunità, in cui lo spazio fisico e virtuale assumono una rilevante funzione di supporto all’interazione collaborativa.

Occorre inoltre prendere decisioni rispetto a elementi di fondamentale importanza relativi ai contenuti, alla strutturazione della comunità stessa e al coinvolgimento di figure professionali che possano affiancare i docenti. È necessario inoltre reperire contenuti, da poter mettere a disposizione della comunità e al di fuori di essa, proponendo materiali e risorse aperte e condivise nel web. È necessario, infine, definire le possibili modalità di organizzazione della comunità e di strutturazione delle attività e dei gruppi di lavoro, ricorrendo anche all’attribuzione dei ruoli e all’eventuale presenza di figure professionali a supporto della comunità, quali per esempio il progettista della formazione e il tutor online.

La valutazione è un elemento di cruciale importanza nella progettazione di un percorso di Blended Learning . Essa va pensata in base ai modelli teorici a cui ci si riferisce nel progettare il percorso formativo, agli obiettivi formativi che si intende perseguire e agli strumenti tecnologici che mediano l’attività. Un aspetto cruciale, che deriva dall’adozione di modelli teorici di matrice costruttivista sociale nella formazione basata sul Blended Learning è il riconoscere un ruolo attivo nei processi formativi al soggetto che apprende. In quest’ottica vanno ripensate sia la valutazione sommativa, che si basa sul bilancio attuato al termine di un percorso di apprendimento, sia la valutazione formativa, che si colloca in itinere, durante lo svolgimento del percorso di apprendimento, e ha la funzione di monitorare il percorso stesso e operare eventuali correzioni.

In tale prospettiva le tecnologie digitali utilizzate in percorsi di tipo blended consentono l’uso di strumenti che consentono di attribuire un ruolo attivo a chi apprende, come i portfolio digitali e le rubriche. Infine, un’opportunità da cogliere, riguarda il valorizzare la dimensione collaborativa dei percorsi di Blended Learning, mediante l’uso del feedback , sia quando viene fornito dal docente, sia quando è il frutto di un’attività di valutazione fra pari, condotta con il fine di fornire consigli costruttivi per il miglioramento dei prodotti personali o di gruppo.

Maria Beatrice Ligorio è professoressa ordinaria di Psicologia dell’Educazione e Psicologia dell’E-Learning per le organizzazioni all’Università di Bari

Stefano Cacciamani è professore associato di Psicologia dell’Educazione e Delegato Rettorale per l’E-learning all’Università della Valle d’Aosta

Donatella Cesareni è professoressa associata di Pedagogia Sperimentale e Tecnologie per l’Apprendimento all’Università Sapienza di Roma

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