
Vi sono ovviamente gruppi sociali che non si identificano come vittime di uno stato oppressivo perché sono stati da questo favoriti, e grazie ad esso hanno avuto benefici e prebende. In particolare, vi sono strati di popolazione che si riconoscono ancora nel messaggio rivoluzionario e che non solo non cercano sostanziali modifiche dello status quo, ma che anzi guardano con sospetto qualsiasi tentativo di cambiamento come una possibile e non voluta abiura della Rivoluzione Islamica. A questo segmento appartengono, fra gli altri, i basij, corpo paramilitare formato da giovani provenienti perlopiù dai ceti bassi e i pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, un tempo incaricati solo di proteggere e salvaguardare la “islamicità” della società, ora divenuti una vera e propria potenza economica che gestisce i gangli della finanza iraniana, divenendo quasi uno stato dentro lo stato. piccoli dettagli danno il polso delle molte incoerenze tra le quali si dibattono gli iraniani, quali, altro esempio, il vedersi precluso l’accesso ai social network come Facebook, dove però le massime cariche dello stato, compresa la Guida Suprema, l’ayatollah Kamenei che di fatto inibisce l’uso della piattaforma ai propri concittadini, mantengono un loro profilo.
Ad ogni modo, la società ha aggirato i divieti ufficiali per la libera espressione ricorrendo a internet, facendo divenire il persiano la quarta lingua mondiale per la diffusione di blog. Attualmente ci sono oltre settecentomila blog registrati che utilizzano la lingua persiana, e anche se molti sono gestiti all’estero, la partecipazione dei giovani e non dall’Iran è comunque altissima. Lo stesso discorso vale per la televisione: nonostante i canali nazionali siano da sempre saldamente in mano all’ala oltranzista (e perlopiù inguardabili), l’introduzione delle parabole (ufficialmente proibite ma onnipresenti) consente la diffusione di oltre quaranta canali in lingua persiana all’interno della nazione.
Tehran in particolar modo vive il contrasto tra una città che, come la descrive Lei, “non dorme mai” pur sotto lo sguardo vigile dei manifesti raffiguranti la Guida Suprema.
Tehran è una vera e propria città stato che rappresenta tanto le contraddizioni dell’Iran contemporaneo quanto i suoi aspetti migliori, soprattutto nel campo culturale e sociale. A Tehran si trova tutto, nel bene e nel male, ed è il grande polmone che fa marciare il Paese.
C’è spazio per l’emancipazione femminile in Iran?
In Iran si è formata una società assai diversa da quella di 38 anni fa, altamente istruita, urbanizzata e tecnologizzata, in cui le donne rappresentano un segmento cruciale. Queste ultime sono ormai più scolarizzate dei compagni, hanno accesso virtualmente a ogni professione (tranne quelle occupabili solo da clerici ovvero quella di alto magistrato) e sono particolarmente attive nel settore culturale, non solo nel comparto creativo (come scrittrici, artiste visive, attrici, registe ecc.), ma pure in quello imprenditoriale (come editrici, galleriste, produttrici cinematografiche ecc.). Questo attivismo femminile socio-culturale, oltre che contribuire a un panorama artistico fra i più interessanti e fertili dell’area, ha altresì contribuito a forgiare un diverso atteggiamento nei confronti delle questioni di genere da parte della popolazione, che le ha ormai elaborate non come mera superfetazione di origine occidentale, ma come nodo centrale per superare la dicotomia tra modernità e tradizione. Mentre gli studi di genere in Iran si stanno sviluppando, producendo nuova conoscenza a livello elitario, a livello popolare il mutato ruolo delle donne nella società costringe anche i ceti tradizionali a rivedere le posizioni in materia di parità di diritti tra uomo e donna.
Questi cambiamenti vengono operati ad un duplice livello: da una parte, la progressiva laicizzazione della società, vissuta come resistenza al regime, spinge gli iraniani ad implementare nuove idee in materia di diritti a favore delle donne. Esemplare di questa tendenza è il diverso atteggiamento che molti uomini iraniani hanno nei confronti del lavoro extra domestico delle mogli, una volta subito come necessità economica, ora sentito sempre più come naturale sbocco delle aspettative e della preparazione professionale delle loro compagne. Dall’altra è da notare un profondo cambiamento nel modo di vivere l’islam da parte di ceti più tradizionali. L’islam non ufficiale, (ovvero non quello elaborato dal regime) è divenuto moderno, praticando estensivamente l’ijtihad (forma di interpretazione giuridica indipendente), in modo da superare la dicotomia tra modernità e religione. Questa operazione è avvenuta anche con l’aiuto di alcuni membri del “clero” sciita, i cui autorevoli pronunciamenti in materia di diritto offrono supporto e forza argomentativa a chi vuole conciliare fede e modernità. Alcune figure di spicco del “clero” sciita si avventurano in una nuova ermeneutica da applicare non nell’ambito dei diritti della società, compresi quelle del suo segmento femminile. A questa corrente si rifanno le donne che animano una corrente di pensiero conosciuta in occidente come “femminismo islamico” e che propone una lettura dei loro diritti all’interno di una cornice etica islamica. Le studiose e attiviste facenti capo a questa corrente di pensiero sono credenti, spesso con un passato di accese sostenitrici della Rivoluzione in quanto auspicata fautrice di miglioramento della condizione femminile, ma perlopiù deluse dai cambiamenti in negativo arrecati dal post rivoluzione, specialmente in materia di diritto di famiglia. Le nuove femministe lanciano l’idea della necessità di un’istruzione religiosa da parte delle donne, che consenta loro la conoscenza, e l’eventuale reinterpretazione, dei testi dell’islam su cui si basa la shari’a.
Nel Suo viaggio Lei descrive l’incanto di città e deserti ricchi di storia e di fascino: quali bellezze nasconde l’Iran?
L’Iran è un paese di straordinaria bellezza, dove struggenti paesaggi in un deserto cinto da rassicuranti montagne si alternano ai più grandi capolavori dell’arte islamica, in cui ti accoglie una popolazione gentile e la vita pulsa di gioventù e di voglia di vivere.
L’Iran è una terra di grandi contrasti e raramente chi vi si avvicina non ne rimane affascinato e conquistato. Entusiasmarsi per l’Iran è facile, bastano un albero che si erge maestoso e solitario in una spianata abbacinata dalla luce, il riflesso del sole che accende i colori di una cupola maiolicata, due ragazze che ti sorridono per la strada chiedendoti da dove vieni e che cosa pensi del loro Paese. A questo proposito, sottolinerei che la popolazione iraniana è totalmente diversa da quella forgiata nell’immaginario collettivo in queste decadi, un’immagine negativa plasmata e alimentata da una intensa campagna di stampo iranofobico dettata dalla realpolitik americana fin dai tempi di Carter, ma acuitasi sotto i Bush e ora ricominciata con Trump. Tutti i visitatori hanno riscontrato gentilezza, disponibilità verso gli stranieri, ospitalità da parte di una società estremamente avanzata e sofisticata.
In Iran vive una forte minoranza araba sunnita: com’è la convivenza con gli sciiti?
Nel sud dell’Iran, dove sunniti e sciiti vivono insieme, non si ha certo l’impressione di due comunità in conflitto, molti iraniani che vivono nel sud dell’Iran mi hanno confessato che non ci sono problemi fra sunniti e sciiti locali. ora però vedremo se la situazione internazionale e i recenti avvenimento (gli atti di terrorismo a Tehran) non provocheranno strascichi negativi a questa convivenza.
Le recenti elezioni presidenziali hanno visto la riconferma del “moderato” Rouhani: come va interpretata questa vittoria e quale sarà a Suo avviso il futuro dei rapporti tra la Repubblica islamica e l’Occidente?
Il Presidente Rouhani nel precedente mandato ha sdoganato il suo Paese riportandolo dal limbo degli “stati canaglia” al suo ruolo di interlocutore internazionale; e anche se l’accordo sul nucleare non si è ancora concluso, la serie di visite da parte di alte cariche di stati stranieri (inclusi molti europei) e la lunga teoria di aziende ed enti internazionali pronti a riprendere gli scambi commerciali e imprenditoriali con Tehran, dopo un blocco durato anni causa delle sanzioni lanciate contro l’Iran proprio a causa del suo contestatissimo programma nucleare, fanno capire come il mondo si sia -parzialmente- reso conto del ruolo cruciale e positivo che questo Paese può rivestire nell’economia del benessere in Medio Oriente e oltre. Quest’apertura politica ha riportato il turismo sull’altopiano iranico e questi due ultimi anni hanno segnato un boom nelle presenze di stranieri che hanno visitato l’Iran. Certo rimangono problemi gravissimi che il Paese deve affrontare, quali la disoccupazione, l’inflazione, il tasso d’inquinamento assai critico soprattutto nella capitale, nonché la cronica carenza di benzina e di combustibile, un paradosso in una nazione che dispone di ingenti risorse del sottosuolo.
Anna Vanzan insegna Cultura araba nell’Università Statale di Milano