“Dialogo sopra I massimi sistemi quantistici. Il dibattito sull’epistemologia della meccanica quantistica” di Francesco de Stefano

Prof. Francesco de Stefano, Lei è autore del libro Dialogo sopra I massimi sistemi quantistici. Il dibattito sull’epistemologia della meccanica quantistica edito da Mimesis; un saggio scritto in forma dialogica, come il famoso Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei, al quale si richiama del resto sin dal titolo: quali sono i fondamenti filosofici della fisica quantistica?
Dialogo sopra I massimi sistemi quantistici. Il dibattito sull’epistemologia della meccanica quantistica, Francesco de StefanoInnanzitutto direi che più che parlare di fondamenti filosofici della meccanica quantistica (d’ora in poi MQ) è più opportuno parlare di “implicazioni filosofiche”. Mentre infatti, nella storia della fisica, tutte le maggiori rivoluzioni scientifiche sono state in qualche modo suggerite da nuove visioni filosofiche su idee o concetti fino ad allora ritenuti essenziali (penso per esempio alla critica al concetto di tempo assoluto che sta alla base della teoria della relatività ristretta di Albert Einstein), la MQ nacque essenzialmente per risolvere alcuni problemi che l’uso della fisica classica non consentiva di dirimere. Come ad esempio il celebre problema del “corpo nero”, ovvero la questione di come un corpo riscaldato emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. Pertanto la MQ nasce all’interno della visione filosofica della fisica classica. Tuttavia, proprio nel risolvere tali problemi, la MQ introduce alcuni mutamenti significativi nelle visioni filosofiche di alcune idee portanti del pensiero scientifico precedente. Prima tra tutte la visione “continuista” delle grandezze fisiche, cioè che ad esempio l’energia possa essere assorbita e ceduta secondo quantità piccole a piacere e variabili con continuità. Il fatto che invece essa possa essere scambiata solo per “pacchetti discreti” (i quanti, appunto) è già un grosso colpo inferto a una delle idee filosofiche fino ad allora date per scontate. Poi si deve citare senz’altro il celebre “dualismo onda/particella”, introdotto sia da Einstein nel 1905 sia da Louis de Broglie nel 1924, in base al quale il mondo microscopico esibisce un’ambiguità di fondo, potendo una particella (come ad esempio un elettrone) comportarsi anche come un’onda e una radiazione (come un’onda elettromagnetica) esibire comportamento particellare. Anche questa è una profonda conseguenza filosofica della MQ, in quanto nella fisica classica il mondo delle onde e quello delle particelle sono intrinsecamente diversi e irriducibili l’uno all’altro. Ma la più rilevante conseguenza di ordine filosofico della MQ riguarda la relazione tra il soggetto conoscente (l’osservatore in un esperimento) e l’oggetto conosciuto. Mentre infatti lo sfondo filosofico della scienza classica teneva nettamente separati questi due elementi, in MQ tale confine risulta molto più incerto, al punto da attribuire al soggetto conoscente la capacità (tramite l’esperimento) di modificare la realtà fisica dell’oggetto conosciuto. E questo si collega a una visione radicalmente nuova del concetto di probabilità. Mentre infatti in fisica classica (e anche nella nostra intuizione quotidiana) la probabilità è associata a una scarsa conoscenza da parte nostra dei dettagli particolari di un sistema (o una situazione), in MQ essa assume un aspetto molto più radicale. Per fare un esempio, mentre nel mondo classico se affermiamo che nel lancio di un dado non truccato vi è una probabilità pari a 1/6 di avere ad esempio come esito il numero 3 (in quanto vi sono 6 possibili risultati e a noi va bene solo uno), e questa stima probabilistica è dovuta solo alla nostra ignoranza di quali siano, istante per istante, il movimento del dado e le sue interazioni con l’aria e col suolo, in un fenomeno quantistico questa probabilità sarebbe in qualche modo “ontologica”. Per usare una metafora (presente nel mio libro) sarebbe come dire che, nel lancio di un “dado quantistico”, le sue facce non avessero mai un valore ben preciso, ma questo emergesse, del tutto casualmente, solo quando il dado impatta il terreno! È a questo che si collega il famoso “principio di indeterminazione” formulato dal tedesco Werner Heisenberg nel 1927.

Quale rilevanza assume, nella meccanica quantistica, il problema della misurazione?
Con questa domanda ci colleghiamo direttamente alla parte finale della risposta al quesito precedente. Il ruolo della misurazione in MQ diventa assolutamente centrale proprio perché questa teoria permette di assegnare solo distribuzioni di probabilità ai risultati di misurazioni che vengono effettuate. E, per quanto detto poc’anzi, queste probabilità sono totalmente indipendenti dalla nostra ignoranza sul sistema (si parla di probabilità “non epistemiche”, ovvero non connesse alla nostra conoscenza, ma intrinseca alla realtà stessa dei microsistemi): pertanto nell’atto della misurazione il sistema quantistico studiato “assume”, del tutto a caso, uno dei possibili valori che la grandezza misurata può avere. Ho detto “assume” e non “rivela a noi” questo valore che esisterebbe “prima della misura”, ma a noi fosse ignoto! In un certo senso è come se il sistema stesso “non possedesse” tale valore ma lo “acquistasse” solo nel momento della misurazione. Come si vede, non ci potrebbe essere differenza più grande con la visione classica, in cui invece il ruolo della misurazione è semplicemente quello di “rivelare” i valori a noi sconosciuti delle grandezze caratteristiche di un sistema. Valori che però il sistema stesso “possiede” anche prima della misurazione e non li acquista con la misurazione stessa. Come si può comprendere quindi questo ruolo cruciale della misurazione in MQ modifica radicalmente anche la nostra idea intuitiva, e sempre confermata dall’esperienza quotidiana, che la realtà esterna sia da noi del tutto distinta e possieda proprietà proprie e indipendenti dal fatto che qualcuno le vada a misurare o meno. Potremmo dire, con un linguaggio cinematografico, che mentre nella fisica classica (quella che va da Galileo alla fine dell’Ottocento) il ruolo dell’osservatore è quello di uno spettatore del film che sta guardando, in MQ egli diventa un attore protagonista della scena che si svolge nel film.

Cos’è l’entanglement?
Anche per questa domanda ci possiamo in modo naturale collegare alla questione posta in precedenza. Innanzitutto traduciamo in italiano il termine “entanglement” che è diventato d’uso talmente comune che anche nella nostra lingua usiamo la parola inglese. Esso significa “intreccio, ingarbugliamento” ed è a sua volta la traduzione inglese del termine comparso per la prima volta in tedesco in un celeberrimo articolo scritto da Erwin Schrödinger (uno dei fondatori della MQ) nel 1935 (“Verschrankung” significa infatti proprio “intreccio”). In questo lavoro, il fisico austriaco affermava che l’entanglement è non “un aspetto” della MQ bensì il suo “tratto caratteristico” e foriero però di problemi concettuali (e quindi filosofici) estremamente pregnanti. Qui non posso non fare ricorso ad alcuni aspetti più formali della MQ, ma spero di rendere la cosa il meno “matematicamente indigesta” possibile! Del resto la sfida principale del mio libro è proprio quella di cercare di illustrare il dibattito epistemologico sulla MQ nel modo più divulgativo possibile, cercando però di mantenere un certo rigore (ai lettori la sentenza!). Ricordando quanto detto nella risposta alla prima domanda, possiamo affermare che in MQ, proprio perché per esempio un elettrone non ha una posizione ben precisa, la sua situazione fisica (il suo “stato”, nel linguaggio tecnico) è descritto da un’espressione matematica (detta “funzione d’onda” o “di stato”) che risulta essere la somma delle funzioni corrispondenti ai singoli valori della posizione che l’elettrone “assumerebbe” qualora andassimo a cercare dove si trova. Nel gergo dei fisici si dice che lo stato dell’elettrone è dato da una “sovrapposizione” di stati possibili. Ora vediamo come nasce l’entanglement. Nel mondo microscopico descritto dalla MQ siamo in grado di produrre facilmente coppie di particelle descrivibili proprio con funzioni di stato che sono sovrapposizioni di stati ben precisi, ma che, proprio a causa di tali sovrapposizioni, non permettono di attribuire proprietà ben definite alle singole particelle. Le due parti del sistema sono quindi “intrecciate” tra loro. Se ora separiamo queste due particelle, prodotte insieme o che hanno interagito tra loro, portandole a una distanza reciproca arbitraria (facendo attenzione però che in questo viaggio esse non interagiscano con altre particelle od oggetti) ed eseguiamo misurazioni di una grandezza fisica su una sola di queste (facendole assumere quindi, per quanto detto prima, un valore ben preciso di tale grandezza), istantaneamente e a distanza, anche la seconda particella assumerà un valore ben preciso della stessa grandezza. Potremmo dire, metaforicamente, che le due particelle sono telepaticamente connesse, nel senso che quando la prima acquista il valore che emerge dalla misurazione, lo trasmette all’altra in modo che questa assuma un valore strettamente connesso (si dice “correlato” in fisichese!) a quello posseduto dalla prima. Immagino lo sconcerto di chi leggerà quanto ho appena descritto. Tutti gli esperimenti eseguiti finora però confermano questa “spettrale azione a distanza”, come la definì ironicamente Einstein che non credeva alla sua possibilità. Ora, se a un certo punto potremmo anche accettare (obtorto collo!) questa stranezza del mondo microscopico, essa sarebbe invece fonte di situazioni paradossali se ammettessimo che l’entanglement si potesse esprimere anche nel nostro mondo macroscopico. È quello che però dovrebbe verificarsi, dato che in linea di principio la MQ governa tutti i sistemi fisici, quelli del mondo microscopico e quelli del nostro mondo, dato che tutti gli oggetti e noi stessi siamo costituiti da atomi, molecole e particelle microscopiche. Pertanto, tornando al problema della misurazione, se un sistema quantistico in entanglement interagisce con un apparecchio di misura, anche quest’ultimo dovrebbe ritrovarsi “ingarbugliato” col sistema stesso (proprio in virtù dell’equazione fondamentale che governa la MQ, cioè l’equazione di Schrödinger). Quindi l’indice dell’apparecchio che fornisce il valore della misura stessa non dovrebbe (come invece accade sempre) indicare uno specifico valore, ma trovarsi, per così dire, in una situazione “zombie” in cui esso ballonzola tra i possibili valori che la grandezza potrebbe assumere. Dato che questo non si verifica mai, ciò significa che, quando passiamo dal livello micro a quello macroscopico, l’entanglement sparisce e gli strumenti segnano sempre solo uno dei possibili valori. Il problema venne segnalato in modo eclatante dallo stesso Schrödinger con la formulazione del celebre “paradosso del gatto” in cui, sempre a causa dell’entanglement, un gatto si dovrebbe trovare nella spiacevole situazione di essere “vivo più morto”, fino a quando un osservatore va a vedere in quale stato si trovi. Dato che Schrödinger considerava assurda tale situazione “felina”, con questo paradosso egli sottolineò la necessità di trovare una descrizione del passaggio dal micro al macroscopico che andasse al di là della MQ standard.

Quali sono le più diffuse concezioni della meccanica quantistica?
Nel mio libro ne descrivo molte (non proprio tutte, sia per ragioni di spazio sia perché alcune di queste sono di recente proposizione e dunque me le devo studiare bene anche io!). La prima storicamente (e quella ancora considerata “ortodossa”) è l’interpretazione di Copenaghen-Gottinga (che prende il nome dalle città dove operarono il danese Niels Bohr e il tedesco Max Born), per la quale il problema dell’entanglement nella misurazione si supera con un postulato, detto “di collasso della funzione d’onda”, in base al quale la famosa somma di stati si riduce a un solo termine con la misurazione. Senza però spiegare né come né perché. Un’altra interpretazione è quella a “molti mondi”, dell’americano Hugh Everett III del 1957, secondo la quale l’entanglement non si rompe mai, al prezzo però che, ad ogni misurazione, l’universo di divida in tanti rami incomunicabili in ognuno dei quali ci sarebbero per esempio tanti “cloni” dell’osservatore, dello strumento di misura, eccetera, in cui ognuno rileverebbe solo uno dei valori possibili (per esempio io in uno di questi mondi vedrei il gatto vivo, mentre in un universo parallelo una copia di me lo vedrebbe morto). Poi c’è un’interpretazione di tipo “psichico” per così dire. È quella contenuta nel cosiddetto paradosso “dell’amico di Wigner”, proposta nel 1961 dal fisico premio Nobel Eugene Wigner. In essa alla situazione del paradosso del gatto si aggiunge un essere umano, l’amico di Wigner appunto, al quale Wigner chiede se vede il gatto vivo o morto. Poiché in teoria l’entanglement dovrebbe coinvolgere anche il soggetto umano, l’amico di Wigner non potrebbe dire di aver visto il gatto vivo o morto finché Wigner non glielo chiede. Però Wigner osserva che tale situazione è impossibile, perché il suo amico deve sapere se ha visto il gatto vivo o morto anche prima che lui glielo chieda. Quindi per Wigner ciò che fa collassare la funzione d’onda è la coscienza dell’osservatore umano. Ecco perché parlo di soluzione “psichica”.

Quale importanza riveste la GRW, la teoria elaborata nel 1986 da Gian Carlo Ghirardi, Alberto Rimini e Tullio Weber?
Il ruolo della GRW è davvero straordinario. Essa infatti risolve sia il problema della misurazione sia quello dei paradossi che abbiamo citato (del gatto di Schrödinger e dell’amico di Wigner), e supera anche la necessità di introdurre un postulato ad hoc (come quello del collasso della funzione d’onda) come fatto da Bohr e Born. Il prezzo da pagare è però quello di modificare l’equazione fondamentale della MQ (cioè quella di Schrödinger) introducendo un termine che appunto garantisce la scomparsa dell’entanglement a livello macroscopico. Ovviamente la teoria effettua previsioni empiriche leggerissimamente diverse, nel mondo microscopico, da quelle della MQ standard. E proprio a causa di questa piccolissima differenza non è ancora stato possibile corroborarla. Si stanno comunque allestendo molti esperimenti in questa direzione. Purtroppo né Ghirardi né Rimini (scomparsi recentemente) potranno avere l’eventuale soddisfazione di una conferma della loro teoria. Personalmente mi auguro (come ex allievo e amico personale di Ghirardi) che la GRW venga confermata e che quindi magari l’amico Tullio Weber possa essere insignito del premio Nobel, per dire dell’importanza concettuale ed empirica della GRW.

Che ruolo svolge, la meccanica quantistica, nelle dimensioni biologiche e neuropsicologiche?
Questa è la classica domanda da un milione di dollari! Rispondo solo osservando che, da pochi anni, è nata una nuova disciplina, la biologia quantistica, tramite la quale si stanno studiando importanti fenomeni biologici che sono spiegabili solo con l’uso della MQ. Per esempio è ormai assodato che il sistema di orientamento degli uccelli migratori è dovuto a un fenomeno quantistico. Così come la fotosintesi clorofilliana. Anche le mutazioni del DNA, che influiscono sul nostro codice genetico, sono descrivibili correttamente con il cosiddetto “effetto tunnel” quantistico. La biologia quantistica si sta occupando ovviamente anche di alcuni aspetti neurobiologici, come ad esempio il meccanismo della visione o addirittura quello che produce la nostra coscienza. A quest’ultimo riguardo esisteva già dagli anni Ottanta una teoria quantistica sviluppata dal fisico matematico inglese Roger Penrose, recente premio Nobel per i suoi lavori sui buchi neri. Come si vede la ricerca non ha mai fine.

Francesco de Stefano è stato docente di Matematica e Fisica al Liceo Scientifico “G.Marinelli” di Udine dove ha tenuto anche per più di vent’anni un corso pomeridiano di Storia e Filosofia della Scienza. Laureato in fisica teorica a Trieste, si è sempre occupato dei problemi filosofici della meccanica quantistica. Ha pubblicato diversi articoli in riviste nazionali e internazionali. Ha collaborato per diversi anni alle pagine della scienza del Messaggero Veneto di Udine ed è stato recensore di libri scientifici per “Le Scienze”. Da diversi anni si interessa di neuroscienze.

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