
Come conquistò il potere?
Desiderio, bresciano, era un fedele del re Astolfo, e come tale ricoprì probabilmente delle cariche a corte; non apparteneva, però, alla più alta aristocrazia del regno. Quando nel 756 Astolfo morì improvvisamente per un incidente di caccia, Desiderio si trovava in Toscana per incarico regio, alla testa di contingenti militari sufficientemente vasti da spingerlo a effettuare una sollevazione armata per impadronirsi del regno, in contrapposizione al fratello di Astolfo, Ratchis. Questi era stato già re in precedenza ma poi, nel 749, aveva abdicato ritirandosi a Montecassino. Evidentemente gli ambienti friulani – della regione alla quale appartenevano sia Ratchis che Astolfo – temevano di perdere il ruolo dominante che avevano ricoperto negli anni precedenti ed avevano spinto quindi Ratchis a lasciare il monastero e a tornare sulla scena politica. E in effetti il nord Italia si strinse intorno a lui, mentre Desiderio si trovava sempre in Toscana, dove aveva i suoi sostenitori. A questo punto egli mostrò tutta la sua abilità politica: fece appello al papa e ai Franchi di Pipino, promettendo loro di dare alla Chiesa di Roma una serie di terre e città dell’Italia centrale, ex-bizantine, che Astolfo aveva mantenuto sotto la sua autorità, nonostante che, dopo le due sconfitte subite per mano di Pipino, avesse promesso di consegnarle. Così, con il sostegno franco-papale e senza spargimento di sangue Desiderio la ebbe vinta: su invito del papa, Ratchis ritornò a Montecassino e lui poté essere eletto re, nel mese di marzo del 757. Quindi Desiderio fu portato sul trono proprio da coloro che sarebbero stati i suoi avversari lungo tutto o quasi il suo regno.
Quali eventi condussero alla fine della dominazione longobarda in Italia?
Come ho già detto, sia pure con gradazioni e modalità diversa dall’uno all’altro, l’ambizione dei papi di questo periodo (Stefano II, Paolo I, Stefano III, Adriano I) era in sostanza quella di sostituire il potere ormai svanito dell’Esarca – il rappresentante in Italia dell’imperatore di Bisanzio – e di impadronirsi del potere nelle regioni un tempo bizantine (soprattutto Romagna, Emilia, Marche, Umbria, la stessa Roma), con in più la tentazione ricorrente di allargare la propria azione anche al di là, in particolare verso i due ducati centro-meridionali di Spoleto e Benevento. Dal canto loro, i Franchi erano intervenuti in Italia già all’età di Astolfo, con due spedizioni di Pipino nel 754 e nel 756: entrambe le volte si erano mossi in alleanza con i papi e a sostegno delle rivendicazioni della Chiesa di Roma, ma al tempo stesso con la volontà di estendere quanto meno una sorta di protettorato sul regno longobardo e sull’intera penisola. Pur partendo da questa situazione di grande debolezza, Desiderio riuscì a mantenersi a lungo al potere, e a nutrire anche ambizioni egemoniche in ambito italiano, sfruttando una serie di eventi e circostanze a lui relativamente favorevoli: dapprima la non volontà di Pipino di intervenire una terza volta in Italia, poi, alla morte del re, lo scoppio della rivalità fra i due figli. Il re longobardo seppe inserirsi fra loro, stabilendo per un certo tempo un’alleanza con Carlo contro Carlomanno. Ma la morte prematura ed improvvisa di quest’ultimo, che lasciò Carlo padrone del regno, spalancò la via alle ambizioni politiche del nuovo, unico re dei Franchi. In accordo con papa Adriano I, Carlo scese in Italia nel 773 e sconfisse facilmente Desiderio alle Chiuse, giacché la forza militare dei Franchi, abituati alla continua guerra sulla frontiera orientale del loro regno, li rendeva nettamente superiori ai Longobardi dal punto di vista militare. Dopo un lungo assedio, che durò dall’autunno del 773 all’estate del 774, Carlo prese Pavia, la capitale del regno, dove Desiderio si era rifugiato.
Come si concluse la sua vicenda umana e regale?
Conosciamo poco della sua sorte. Sappiamo solo che Desiderio fu catturato da Carlo Magno a Pavia e fu esiliato in Francia, insieme con la moglie Ansa e una figlia. Certamente il re longobardo fu rinchiuso in un monastero, che era il luogo classico dell’esilio dei sovrani deposti; ma non sappiano in quale, e la notizia che abbia passato i suoi ultimi anni a Corbie è troppo tarda perché possa essere presa in considerazione con qualche certezza. Forse proprio a causa dell’indeterminatezza della sua sorte, fiorirono leggende sulla sua pietà religiosa, che trasformarono quello che i testi papali avevano bollato come un nemico della Chiesa in un pio re, che avrebbe trascorso i suoi ultimi anni nella preghiera e nel raccoglimento. Quello che è certo è che né Desiderio né Ansa – che pure era predestinata ad essere sepolta in S. Salvatore di Brescia, un monastero fondato dalla coppia regale – tornarono mai in Italia.
Cosa significò per la storia d’Italia il crollo del regno longobardo?
Il fallimento dell’azione politica di Desiderio significò la fine della possibilità di costruire un regno italiano che includesse tutta o quasi la penisola. Certo, il regno longobardo non finì con la sconfitta di Desiderio: lo stesso Carlo e poi suo figlio Pipino presero il titolo di re dei Longobardi e, sia pure cambiando progressivamente il suo nome in “regno d’Italia” nel corso del secolo IX, la struttura politica fondata dai Longobardi sopravvisse per parecchi secoli. Tuttavia la sconfitta finale di Desiderio ebbe due conseguenze estremamente rilevanti per la storia d’Italia. Da una parte si ebbe l’aggancio, in posizione subordinata, del regno longobardo-italico ad una potenza straniera (il regno franco, poi impero); dall’altra, nell’Italia centrale si affermò un’ancora informe sovranità politica papale su molte terre e città, che rappresentò l’embrione dal quale, nel corso dei secoli, nascerà lo Stato della Chiesa. È inutile sottolineare quanto questi due elementi (il collegamento con un potere politico estraneo e il dominio territoriale del papato) abbiano influito profondamente sull’intero corso della nostra storia nazionale.
Qual è il lascito della civiltà longobarda in Italia?
Non è facile rispondere a questa domanda, in quanto il concetto stesso di “civiltà longobarda” può risultare ambiguo, almeno secondo i criteri della ricerca storica contemporanea. Infatti non riteniamo più i Longobardi un popolo barbarico chiuso in se stesso, estraneo alla civiltà mediterranea e progressivamente ‘civilizzato’ dalla popolazione italica. I Longobardi del VI secolo, quelli che invasero l’Italia, erano sostanzialmente un gruppo militare di federati barbarici dell’impero, e come tali erano già, sia pur rozzamente, aperti da tempo agli influssi della cultura romana. Inoltre, essendo etnicamente non omogenei, si fusero rapidamente con la popolazione italica. Nell’VIII secolo, al tramonto del regno, il termine ‘longobardo’ indicava tutti gli uomini liberi del regno, viventi a legge longobarda e di condizione economica sufficiente ad armarsi e a rispondere alla chiamata all’esercito da parte del re. In questa situazione storica – che è molto diversa da quella dipinta dalla storiografia otto-novecentesca – è difficile quindi distinguere un apporto ‘longobardo’ nel senso che di solito si dà a questa parola, ossia barbarico. In senso stretto, possiamo parlare di un lascito dell’età longobarda in senso politico, perché quello fu il periodo in cui si creò il primo regno italico. Dal punto di vista archeologico e monumentale, ai corredi funerari – che non erano prova di paganesimo, ma manifestazione di status sociale nei confronti della comunità – delle numerose necropoli di VI-VI secolo possiamo accostare monumenti di tipo diversissimo, dall’altare di Ratchis al Tempietto longobardo, entrambi a Cividale, ai monasteri di S. Sofia di Benevento e di S. Salvatore di Brescia. Cosa c’era di ‘longobardo’ in tutto ciò? Sono semplicemente espressioni di un’epoca, non manifestazioni della cultura di un popolo; un popolo che, è bene ribadirlo, non è ‘scomparso’, ma ha semplicemente cambiato, nel corso del tempo, la sua identità politica.