“Demoni, mostri e meraviglie alla fine del Medioevo” di Claude-Claire Kappler, a cura di Franco Cardini

Demoni, mostri e meraviglie alla fine del Medioevo, Claude-Claire Kappler, Franco CardiniÈ viaggio nell’immaginario medievale, fatto di mostri e meraviglie, quello in cui ci guida Demoni, mostri e meraviglie alla fine del Medioevo di Claude-Claire Kappler, edito da Jouvence a cura di Franco Cardini.

Un immaginario fatto di «Astomori (esseri con un forellino al posto della bocca, che aspirano il nutrimento con una cannuccia), Blemmi (esseri acefali, con il volto sul petto), Panozi» (uomini dalle orecchie così lunghe da potervisi avvolgere) o Sciopodi (esseri con un solo piede) come di unicorni, sfingi, draghi o figure anguiformi e, naturalmente, diavoli.

I mostri permeano l’immaginario medioevale: «nella prospettiva medievale, i mostri sono parte integrante della creazione, da annoverare fra le molte cose che popolano l’universo. […] Per l’uomo del Medioevo, il mostro è un’“anomalia normale”, una metamorfosi inevitabile, testimonianza misteriosa ma non drammatica dell’immaginazione e della creazione divine.»

«Il meraviglioso si trova raramente entro i confini dell’orizzonte da noi conosciuto: quasi sempre, infatti, esso nasce proprio là dove il nostro sguardo non può arrivare. E proprio per questo motivo fiorisce nelle “estreme regioni” del mondo, si tratti delle regioni polari, delle zone terrestri periferiche o semplicemente delle terre misteriose, inesplorate, ai confini del mondo conosciuto.»

I resoconti di viaggio suscitano infatti nel medioevo un appassionato interesse; compaiono «viaggiatori di ogni ordine e di ogni ambiente. Una prima generazione di missionari include uomini di grande valore: Giovanni da Pian del Carpine (1245), Nicola Ascellino (1246), Simone da San Quintino (1247), Guglielmo di Rubruck (1253). Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck erano uomini di notevole temperamento e ci hanno lasciato relazioni avvincenti.» Segue poi una seconda ondata di missionari: Giovanni da Montecorvino (1289), Odorico da Pordenone (1314), Giordano da Séverac (1320 c.), Pasquale di Victoria (1338 c.), Giovanni dei Marignolli (1342).

blemmio
Blemmio

«Questi rapidi accenni possono dare un’idea della ricchezza del corpus costituito dai resoconti di viaggio. Tutti coloro di cui abbiamo parlato sono autentici viaggiatori; e tuttavia i loro racconti non hanno conosciuto quella fama che attraversa i secoli. Paradossalmente, è invece un “viaggiatore attorno alla sua camera”, Giovanni di Mandeville, ad aver redatto la narrazione più celebre, i Viaggi (1356). […] Egli si presenta afflitto dai reumatismi, attanagliato da una “gotta artritica” […] Per quanto egli non abbia mai veduto i paesi di cui parla, non ha nessun timore di moltiplicare le proteste di dire la verità: “E quanti sono stati in quel paese […] mi crederanno e sapranno bene se dico il vero”. L’opera conobbe un successo straordinario: possiamo contare più di trecento manoscritti in dieci lingue (francese, inglese, latino, tedesco, olandese, danese, boemo, italiano, spagnolo, irlandese) oltre a quattro edizioni anteriori al 1600.»

«Il “viaggio” consiste quasi esclusivamente in una raccolta, un “concentrato” di mirabilia» tanto da divenire un topos letterario: «L’incontro con i mostri resta dunque una delle pietre di paragone dell’autenticità di un’esperienza di viaggio: chi non ha visto dei mostri evidentemente non ha viaggiato.»

I mostri che popolano l’immaginario medievale colpiscono per il numero e la diversità.

astomore
Astomore

C’è il «Basiliskos, “Piccolo Re”, nelle testimonianze iconiche – abbastanza rare, salvo che nei trattati d’alchimia – è rappresentato come un serpente coronato e dalle ali di gallo; o, più raramente, da un gallo coronato e dalla coda di serpente. Nella tradizione alchemica, il basilisco (simbolo del fuoco che distrugge le impurità, con ciò preparando i metalli alla trasformazione) è trattato come un animale effettivamente esistente, per quanto la sua esistenza rappresenti un adynaton: nasce difatti da un uovo che dev’essere stato deposto da un gallo di età molto avanzata (sette o quattordici anni) e covato da un rospo. Lo sguardo e l’alito del basilisco sono mortiferi: entrambi uccidono. Lo sguardo, in particolare, ha le stesse caratteristiche di quelle di Medusa: per questo un modo di ucciderlo consiste nel mettergli dinanzi uno specchio, che riflettendo la sua immagine lo rende vittima della sua stessa potenza. Da tali caratteristiche, nella riflessione simbologica il basilisco è divenuto simbolo di molte cose: del potere (la corona sulla sua testa), che annienta chi vi si oppone (lo sguardo che uccide) e corrompe chi lo frequenta (l’alito mefitico); la dissolutezza; la rovina di se stessi, simbolizzata dal contemplarsi nello specchio dei propri vizi, i pericoli dell’esistenza, dai quali solo gli angeli possono salvare (per questo il basilisco è uno dei simboli del demonio).Se si parla di simbolica dei rettili, però, il pensiero corre subito al drago: pochi sono infatti gli animali fantastici dallo statuto tanto ricco, ma anche dall’aspetto tanto variabile, quanto il drago. Possiede delle zampe (due o quattro nella tradizione che attraverso Babilonia, la Bibbia e il medioevo giunge fino a noi; cinque in quella cinese, dove il drago è simbolo del potere imperiale), è alato e vomita fuoco. Nell’universo simbolico di varie culture esistono serpenti alati e ignivomi: ma tali caratteristiche, unite in un solo animale fantastico, costituiscono con sicurezza l’identità del drago in quanto unico a presentarsi in contatto con tutti i quattro elementi empedoclei: terra (le zampe), acqua (la lunga coda-timone), aria (le ali), fuoco (le fiamme uscenti dalle fauci). Incontriamo il drago sia nei cieli (dove una costellazione reca il suo nome), sia negli abissi delle acque dai quali talora paurosamente emerge, sia nelle profondità sotterranee nelle quali è custode dei tesori, cioè dei segreti.»

Intorno ai mostri si sviluppò una ricca interpretazione allegorica, orientata nel senso dell’esegesi e della moralizzazione: «ogni mostro diveniva un vocabolo del discorso che Dio, attraverso la natura, rivolgeva all’uomo. Tommaso di Cantimpré suggeriva anche una variante sociale di questo sistema allegorico: per cui, ad esempio, nel gigante – ch’è grande e orgoglioso – si poteva vedere il simbolo dei grandi e alteri signori del tempo e così via. Mostri “buoni” e mostri “cattivi”, quindi, a seconda dei vizi o delle virtù che indicavano: allo stesso modo, il discorso esegetico-simbolico si articolava e si complicava in una fitta rete d’implicazioni, e v’erano animali dal significato positivo (come i quattro che costituivano il “tetramorfo”, rispettivamente riferendosi a un evangelista) o solitamente negativo (come il lupo) e animali che potevano addirittura giocare su entrambi questi livelli (come il serpente, che poteva significare il diavolo ma anche il Cristo; o il leone, che gli era opposto e complementare, come avrebbe ricordato Chrétien de Troyes ne l’Yvain). I Bestiari insegnano appunto a leggere la natura intesa come sistema di segni che rimanda al discorso ininterrotto che Dio rivolge all’uomo».

panozio
Panozio

La forza evocativa del mostro non si esaurisce però nel medioevo: «quando si pensi per esempio alla pittura allegorica o alla scienza araldica, ci si renderà conto dello straordinario spessore e della non meno straordinaria importanza di un tale linguaggio in tutto il nostro mondo preindustriale. E ancora oltre, forse, perché – si badi bene – le strutture del nostro immaginario ne sono ancora permeate. In un curioso libro di qualche anno fa, Massimo Izzi ha raccolto un certo numero di prove desunte dalla pubblicità allora e in gran parte ancor oggi corrente, che sottolineano la persistente presenza dei mostri come un dato diffuso nella nostra cultura e nel nostro quotidiano. Un dato familiare, anzi potentemente moltiplicato dai cartoons, dal cinema, dalle tales of horror, dai games informatici: insomma dall’ipertrofia surreal-affabulatrice nella quale siamo avvolti e dove ci troviamo evidentemente a nostro agio.»

Il libro di Claude-Claire Kappler è dunque sì «un lungo viaggio tra le fantasie e le illusioni dell’europeo del Basso Medioevo, ma – proprio per questo – finisce col rintracciare in quelle fantasie e in quelle illusioni le radici di problemi, di psicosi, di miti che sono i medesimi dei quali ancor oggi viviamo.»

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