
Eppure lo studio sostiene la profonda convinzione che i diritti umani rappresentino la storia dell’intelligenza morale dell’umanità. Essi raccontano di ferite che hanno segnato molte generazioni di donne e uomini. L’appello ai diritti umani e il rimando evocativo alla «dignità dell’uomo», esprimono l’indignazione e la protesta verso le condizioni disumane vissute da milioni di persone. Sono figure di senso che spingono al dialogo e all’incontro la multiforme e plurale famiglia umana.
Ma a fronte dell’appello ai diritti umani intesi come rivendicazioni e di un ritorno nominale all’etica, la ricerca vuole suggerire la necessità di una ripresa della riflessione teologica il cui orizzonte trinitario dischiude l’originalità della «relazione» e dell’«intersoggettività» come chiavi di lettura della realtà. Da qui la ricostruzione del passaggio dal «diritto naturale» ai «diritti umani» ha messo in luce che un’adeguata analisi critico-ermeneutica del tema deve indagare l’articolazione dell’indissolubile legame fra natura e libertà, individuo e società, norma del «bene» e regola del «giusto». La naturale tensione che attraversa queste coppie concettuali – una griglia di lettura che la ricerca ha dimostrato connaturale ed essenziale al nostro tema – consente di individuare i reali presupposti e il portato antropologico, politico e normativo cui rinvia ogni appello ai diritti umani.
Quali elementi caratterizzano il rapporto tra cristianesimo e democrazia negli Stati Uniti d’America?
Fin dalla loro costituzione il cristianesimo con i suoi riti e il suo linguaggio ha plasmato il tessuto culturale degli Stati Uniti. L’America nasce cristiana e per la precisione protestante. Al centro dell’american way of life c’è una visione biblica di uomo che ha modellato le relazioni sociali e l’idea stessa di autorità e potere politico. Ciò non significa che gli Stati Uniti siano una christian nation. Significa piuttosto che a differenza del concetto di politica tipico del modello europeo – di origine francese – il cui dogma fondamentale è la laicità dello spazio pubblico, privo di ogni contenuto assertivo ma garantista e neutrale, con la conseguente riduzione dell’esperienza di fede nell’ambito privato, l’esperimento americano è incomprensibile senza ciò che essi stessi definiscono quasi come un ritornello, the Christian background, the religious grounding, l’ispirazione specificamente cristiana.
Certo, fin dalla Declaration of Indipendence del 1776 l’assioma della libertà religiosa e della non ingerenza del potere pubblico nella vita delle confessioni religiose, è un ingrediente fondamentale della cultura politica americana. È importante segnalare che questo principio si presenta come una novità sia nella storia delle dottrine politiche sia nel panorama dei rapporti tra chiesa e stato delle istituzioni occidentali. Non esiste nulla di simile in Europa. Lo strano legame – agli occhi di un europeo – tra cristianesimo e democrazia, è fondato sulla libertà di religione e sulla libertà dalla religione. È un connubio tipicamente americano, dove i loro ambiti di competenza e la reciproca contaminazione, si fondano sul postulato del Primo Emendamento chiamato «Not establishment clause».
Purtuttavia i racconti degli storici sui primi coloni americani mostrano la consapevolezza di una comunità che attraverso il linguaggio simbolico della Sacra Scrittura, si descrive come stirpe di Abramo in esilio, in fuga dall’Egitto (l’Europa) cui la Provvidenza ha preparato una terra promessa (le nuove colonie) su cui fissare le proprie tende. Essi sono il popolo che Iddio ha voluto piantare di propria mano in una terra predestinata e a cui ha affidato una missione. Il patto fondato sul concetto biblico di covenant è figura della società politica con la quale un sistema di regole e di leggi fa un tutt’uno. Alexis de Tocqueville nel 1840 descrive il puritanesimo come l’insieme di dottrina religiosa e teoria politica. La religione americana – la tipica combinazione di fede biblica, virtù repubblicane e democrazia – ha saputo coniugare esperienza di fede e funzione civile, in un complesso simbolico unitario che ha fatto da collante per la vita privata, ha educato alle virtù e ha plasmato la vita pubblica.
Quali sono i principali autori della teologia nordamericana relativa ai diritti umani?
La scelta degli Stati Uniti come la «regione teologica» della ricerca, si è presentata subito convincente e affascinante poiché dagli anni ’80 l’interesse ecclesiale per l’ambito socio-politico è divenuto particolarmente intenso e vivace. Le due lettere della Conferenza episcopale sulla pace e l’economia, infatti, hanno innescato un processo di trasformazione decisivo per lo sviluppo e la vita della comunità cattolica nordamericana. Terminato il periodo vissuto come «chiesa d’immigrati», i cattolici americani con i loro vescovi hanno avviato un percorso di affermazione della propria presenza e identità in un ambiente difficile se non apertamente ostile; hanno promosso il dialogo e il confronto con la democrazia liberale sui suoi temi specifici come la partecipazione, l’uguaglianza e la giustizia; hanno ripreso il patto fondativo dell’«esperimento americano» quale linguaggio comune capace di promuovere la responsabilità collettiva; si sono rivolti non solo ai credenti ma all’intera nazione americana tanto da essere riconosciuti come la «coscienza pubblica» del Paese. La simbologia biblica, le virtù repubblicane e la tradizione della legge naturale hanno predisposto la grammatica comune per riformulare un patto etico di cittadinanza condiviso e comprensibile per tutti. Il linguaggio dei diritti umani inoltre nel discorso pubblico della teologia cattolica e riformata degli Stati Uniti, è divenuto un riferimento costante e sintetico cui è affidato l’impegnativo compito di assicurare il nesso tra individuo e comunità, tra natura universale e libertà personale, e tra morale e diritto. Ciò ha permesso non solo il recupero dell’eredità dei padri fondatori, ma insieme all’idea di bene comune, il tema dei diritti dell’uomo costituisce tutt’oggi uno degli sviluppi più percorsi del confronto fra filosofia politica e teologia pubblica.
Come si può intuire da queste prime battute il reciproco rimando tra democrazia liberale e cristianesimo negli Stati Uniti si presenta subito affascinante e di grande interesse. In campo cattolico la riflessione teologica ha attinto a due fonti principali: il linguaggio biblico e la legge naturale. Fin dall’ampio dibattito inaugurato dalle lettere pastorali degli anni ’80, infatti, è possibile individuare la presenza di due scuole teologiche maggiori che la pubblicistica identifica per riguardo ai suoi autori, come the proportionalists e the new natural law theorists. Non è difficile incontrare altre correnti di pensiero ma considerando lo sviluppo storico della chiesa americana, queste rappresentano i riferimenti principali cui rinvia in genere la successiva riflessione pubblica della teologia accademica. Le due scuole per la verità nascono in concomitanza con la prima lettera dei vescovi sulla pace pubblicata nel 1983 e in seguito a un vivace dibattito sulla possibilità di far ricorso al principio del «duplice effetto» per giustificare la deterrenza di armi nucleari. La direzione intrapresa non interessa la nostra ricerca, tuttavia gli autori cattolici individuati – il gesuita David Hollenbach e il professor Robert P. George – pur conservando una loro indubbia originalità, sono rappresentativi dei due percorsi per il profilo ermeneutico scelto nell’affrontare il tema dei diritti umani entro il confronto teorico con la democrazia liberale. Il tema biblico del «bene comune» di padre Hollenbach e la tradizione della «legge naturale» del giurista George, descrivono i due paradigmi fondamentali con i quali la teologia cattolica ha dato e tutt’ora continua a dare il proprio contributo nel promuovere la coesione sociale dentro la multiforme e complessa società americana. L’affermazione di queste due fonti rappresenta inoltre un linguaggio familiare, pienamente comprensibile e condivisibile per la tradizione politica e teologica dell’«esperimento americano». Ai due intellettuali cattolici la ricerca ha affiancato il lavoro del teologo riformato Max L. Stackhouse valutando importante cogliere nella sua estensione il contesto plurale del profilo teologico e culturale degli Stati Uniti. È di estremo interesse segnalare inoltre che quest’ultimo considera i diritti umani non solo come uno strumento inclusivo di partecipazione e di uguaglianza, ma un linguaggio teologico non confessionale fondante il patto civile.