“Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria

Il trattato Dei delitti e delle pene è pubblicato anonimo nell’estate del 1764 a Livorno ed ha subito una immediata diffusione e un grande successo. Tradotto in varie lingue, solo in Italia ebbe più di trenta edizioni. L’opera ha inoltre la fortuna di vedere tradotti i suoi principi in fatti concreti, quando l’editto del 30 novembre 1786, promulgato da Pietro Leopoldo, rende attiva in Toscana la riforma della legislazione penale. Ma, accanto allo straordinario successo, suscita anche forti dissensi negli avversari dell’Illuminismo, tanto che il trattato viene messo all’Indice il 3 febbraio del 1766.

I contenuti

Il trattato è diviso in 42 capitoletti. L’intento dell’opera è la riforma complessiva del sistema penale per sottrarre ai giudici un’arbitraria interpretazione delle leggi. L’opera, attraverso uno stile argomentativo, rigoroso, tipico del trattato filosofico esprime un atteggiamento fondamentalmente etico: espone una tesi umanitaria utilizzando le riflessioni dei filosofi illuministi sui principi della morale e sui sentimenti umani per aprire uno spiraglio di luce sul groviglio delle leggi penali fino ad allora trascurate. Proprio in questo sta la novità dell’opera e la ragione del suo successo.

Nell’opera Beccaria dichiara l’assoluta necessità che un codice giuridico ben chiaro, esplicito e noto a tutti regoli la determinazione dei delitti e delle relative pene, evitando così il pericolo di abuso delle interpretazioni ispirate al vago «spirito delle leggi». Il diritto di punire deve essere proporzionale al danno sociale del delitto commesso e deve astenersi dall’infliggere qualsiasi tipo di maltrattamento, di umiliazione, di rigore carcerario agli indiziati prima che siano riconosciuti colpevoli. Quanto ai processi devono essere pubblici per garantire la legalità e la giustizia della procedura, inoltre è da eliminare il ricorso alle accuse segrete che incentivano solo il tradimento e la vendetta. Beccaria condanna del tutto la pena di morte perché non è uno strumento socialmente utile: una pena istantanea è meno efficace della detenzione perpetua, perché nessuno, secondo la morale cristiana, ha il diritto di disporre della vita altrui, pertanto egli vuole persuadere «i monarchi benefici» ad abbandonare il potere di comminare la morte ai propri sudditi.

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