
Se l’ispirazione compositiva è tutta fiorentina, il trattato del Barbaro affonda però le sue radici e trova spinta ideologica e finalità pratica nel contesto socio-politico della Repubblica di Venezia del primo Quattrocento. Agli albori del secolo XV, infatti, il tema del matrimonio, pilastro indispensabile alla conservazione e all’ampliamento dello Stato, e la connessa delicata questione della ‘scelta della moglie’ risultano particolarmente attuali nella città lagunare che, in seguito a una forte crisi demografica e a fronte di un’inarrestabile inflazione degli importi dotali prestati a usura per lucrare credito e accesso al potere da parte delle ricche famiglie popolari, vede il governo della Serenissima strenuamente impegnato a definire, sulla base di ben precise norme di appartenenza, lo status di nobilis, e l’ereditarietà del potere, prerogativa esclusiva dell’oligarchia patrizia.
Se in senso traslato il titolo De re uxoria ha un significato più generale che abbraccia il valore universale della vita coniugale e della famiglia, guardando ai criteri elettivi, e ai compiti e ai ruoli della moglie, dal punto di vista tecnico esso allude, invece, proprio alla valenza giuridica dell’istituto dotale all’interno del patriziato nella Venezia del primo Quattrocento.
Qual è il contenuto dell’opera?
Preceduta da un’epistola dedicatoria al novello sposo Lorenzo dalla quale emerge la finalità pratica del trattato, ossia il desiderio di avviare correttamente i nobili coetanei patrizi alle responsabilità familiari e governative, individuali e collettive della Repubblica, l’opera del Barbaro si articola in due sezioni distinte: la prima è riservata alla scelta della moglie ideale secondo parametri di valutazione estetico-morali; la seconda parte tratta, invece, dei comportamenti, dei doveri e dei compiti della bona uxor dentro e fuori le mura domestiche.
Nel proemio, che ruota intorno alla definizione di coniugium, Barbaro precisa altresì l’oggetto e il motivo base del trattato, ritenendo il matrimonio quale vincolo indissolubile tra l’uomo e la donna, una fusione di due obiettivi, naturale (coniunctio procreandae sobolis) e morale (vel vitandae fornicationis causa), finalizzato alla virtuosa procreazione e alla prevenzione della lussuria.
Protagonista assoluto della prima parte del trattato è l’uomo impegnato a selezionare la bona uxor secondo criteri, tanto fisici quanto morali che, coralmente consigliati dalle fonti antiche e sperimentati nella pratica, concorrono a fare di lei lo speculum aequum, decoro confacente all’onore etico e sociale della famiglia e della casata aristocratica. Elementi rilevanti per una scelta oculata della donna sono i suoi costumi (mores), l’età (aetas), la condizione sociale (genus), l’aspetto (forma) e le ricchezze (opes), tutti parametri organizzati secondo una gradazione progressiva per valore decrescente.
Nella pars altera, centrata, invece, sulla vita coniugale vera e propria, Barbaro elenca le qualità indispensabili alla compagna perfetta: il caritatevole amore nei confronti del marito, una condotta di vita moderata, l’industriosa e sollecita cura della res domestica, e soprattutto la cura e l’educazione dei figli. Nel triplice ruolo di moglie, madre e ‘massaia’, ma principalmente in quanto responsabile, già durante la fase di gestazione e allattamento, della trasmissione alle generazioni future delle qualità morali e intellettuali della stirpe agnatizia, presupposto indispensabile al consolidamento e alla perpetuazione del potere oligarchico, la donna barbariana, senza eccedere però in un superbo protagonismo, e purtuttavia forgiata secondo i bisogni della famiglia e i desideri del coniuge, si conquista nel De re uxoria uno spazio tutt’altro che residuale e riceve un primo significativo apprezzamento.
Quale ruolo svolse il De re uxoria nel recupero degli auctores, greci in particolare?
Citazioni e reminiscenze ricorrono puntuali in ogni pagina del De re uxoria per comporre un’ideale summa sapienziale e onnicomprensiva, plurima e polifonica che è tipica della migliore tradizione umanistico-rinascimentale.
Tra le fonti greche, un ruolo di primo piano spetta a Senofonte e Aristotele, i cui scritti ‘economici’ guidarono l’umanista nell’interpretazione della donna massaia, incaricata di provvedere alla res domestica e di vigilare sulla salute dei servi e della prole. Un posto di rilievo spetta anche a Plutarco, che il Barbaro ebbe modo di conoscere grazie a Guarino e il cui studio sfociò nelle traduzioni delle Vite di Aristide e di Catone Maggiore. L’umanista attinge con abbondanza sia dalle Vite parallele sia dalle opere minori, ma sono soprattutto le citazioni dagli scritti sulle virtù femminili a costituire nel De re uxoria un bottino ampio e significativo. Accanto a Plutarco, va ricordato anche lo Ps. Plutarco – tale non per il Barbaro – del De liberis educandis, tradotto da Guarino tra il 1411 e il 1413, opuscolo che fornì al De re uxoria una cospicua quantità di citazioni, soprattutto per l’allestimento dell’ultimo capitolo intitolato De educatione liberorum. Tra i modelli classici, sempre grazie al tramite del magistero guariniano, sono ben presenti anche Omero, Esopo e soprattutto la Repubblica di Platone: il ms. Reginense latino 1131, con la traduzione dell’opera greca, contiene postille autografe di Guarino le quali non solo sarebbero coeve all’allestimento del De re uxoria ma riguarderebbero molti argomenti affrontati nel trattato.
All’arsenale fornitissimo degli auctores greci e latini e dei Patres cristiani si affianca poi sovente anche la voce del diritto e dei contemporanei, nonché la tradizionale e attualissima quaestio de matrimonio sotto un duplice profilo, vale a dire il problema della scelta della moglie e in merito alla condotta da tenere verso la consorte dopo le nozze.
Quale fortuna ebbe il De re uxoria?
Soprattutto tra Quattro e Cinquecento il De re uxoria fu una delle opere più lette e conosciute entro e oltre i confini italiani. Le corrispondenze epistolari dei grandi umanisti recano esplicite testimonianze di onori e apprezzamenti rivolti al trattato che, come provato da analogie ideologico-contenutistiche e puntuali prelievi testuali, costituì altresì lo spunto tematico per alcuni episodi dei grandi capolavori della letteratura umanistico-rinascimentale quali i libri De familia dell’Alberti, l’Orlando Furioso dell’Ariosto e il Cortegiano del Castiglione. Non pochi e spesso suffragati da precisi rinvii e riferimenti sono gli omaggi alla praeceptio del De re uxoria che si colgono in buona parte della trattatistica sulla ‘scientia oeconomica’, e in quella sul matrimonio e sulla famiglia, due generi che conobbero a partire dal Quattrocento una stagione di grande fioritura prima di caricarsi del misoginismo dilagante della cultura Cinquecentesca.
L’eccezionale fortuna arrisa al trattato del Barbaro in età umanistico-rinascimentale non si esaurì all’ambito strettamente letterario, ma coinvolse presto anche il piano della produzione artistica. Il De re uxoria è stato, infatti, individuato tra le fonti ispiratrici del ciclo di affreschi eseguito da Paolo Caliari, detto il Veronese (1528-1588), tra il 1560 e il 1561 nella villa di Daniele e Marcantonio Barbaro, a Maser in provincia di Treviso; intorno a tali affreschi sono stati fatti alcuni progressi interpretativi.
Come si è sviluppata la tradizione manoscritta e a stampa dell’opera?
L’immediato successo che arrise al trattato è testimoniato dall’ingente quantità di codici sparsi in tutto il mondo: la vasta e variegata tradizione manoscritta annovera attualmente 129 testimoni distribuiti in 68 biblioteche, italiane e straniere. L’opera del Barbaro circola sovente insieme a due tra i più importanti trattati educativi del primo Quattrocento, costituendo con essi una vera e propria «trilogia pedagogica» dell’avanguardia umanistica: il De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescentiae dell’umanista pedagogo Pier Paolo Vergerio il Vecchio, e il De liberis educandis dello Ps. Plutarco nella traduzione latina di Guarino Veronese; oltre al frequente accorpamento del De re uxoria ad altri importanti trattati pedagogici, etico-civili e filosofici, la tradizione manoscritta mostra poi un altrettanto abituale accostamento alla traduzione latina degli Oeconomica pseudoaristotelici, e in generale agli scritti di tematica matrimoniale, favorevoli o contrari all’universo femminile. Un felice risultato del censimento è l’emersione di una circolazione del De re uxoria anche in forma compendiata.
Dopo l’editio princeps, data alle stampe a Parigi nel 1513, l’opera fu stampata ancora a Parigi (1514), ad Hagenau (1533), ad Anversa (1535), a Strasburgo (1612) e, infine, ad Amsterdam (1639). Dal Cinquecento in poi si succedettero numerosi rifacimenti nelle varie lingue nazionali: del 1536 è l’originale rimaneggiamento tedesco informato ai precetti della dottrina protestante del luterano Erasmus Alber; nel 1537 uscì una traduzione francese, ristampata due volte nel 1538 e nel 1560; del 1548 sono invece i Prudentissimi et gravi documenti circa la elettion della moglie, l’elegante volgarizzamento del ferrarese Alberto Lollio, ripubblicato a Vercelli (1778), a Vicenza (1785) e a Napoli (1806); nel 1667 uscì una nuova traduzione francese, seguita nel 1677 da un’anonima versione in lingua inglese. Nel corso del Novecento l’opera del Barbaro ha continuato a godere di una certa fortuna: nel 1915, Attilio Gnesotto ne licenziò la prima edizione critica; in pieno regime totalitario il tedesco Percy Gothein, dopo aver allestito una ponderosa monografia sul Barbaro (1932), nel 1933 diede alle stampe la prima traduzione del trattato in tedesco moderno, di forte portata normativa ed eugenetica. All’inizio degli anni Cinquanta alcuni excerpta tratti dal volgarizzamento del Lollio sono stati inclusi da Eugenio Garin nella sua raccolta dei Prosatori latini del Quattrocento. La traduzione inglese, a cura di Benjamin G. Kohl e Ronald Witt, dell’epistola prefatoria e della Pars altera del trattato è stata, invece, accolta nell’antologia The Earthly Republic: Italian Humanists on Government and Society (1978). Più recente è, invece, la prima traduzione integrale moderna in lingua inglese uscita nel 2015 a cura di Margaret King.
L’originalità dell’approccio alla materia trattata, secondo una prospettiva etica e sociologica che influenzerà tanta produzione successiva, unitamente alla molteplicità delle tradizioni culturali che vi confluiscono sono elementi che concorrono a fare del De re uxoria un’opera che rappresenta un vero e proprio unicum nella produzione letteraria del primo Quattrocento italiano, un testo importante per la storia del costume e della cultura occidentale, senz’altro gradevole anche per un lettore ‘curioso’ dei nostri giorni.
Chiara Kravina ha conseguito il Dottorato in Discipline filologiche e linguistiche moderne presso la Scuola Normale Superiore. È autrice di numerosi contributi relativi al Barbaro e all’Umanesimo veneziano, alla tradizione manoscritta della Commedia, all’Epistolario di Guarino Veronese, alla ricezione dell’Ariosto tra Cinque e Seicento, nonché a carteggi otto-novecenteschi su Dante e Petrarca.