“Dante. Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata” di Alberto Casadei

Prof. Alberto Casadei, Lei è autore del libro Dante. Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata edito dal Saggiatore: innanzitutto, perché Dante è ancora attuale?
Dante. Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata, Alberto CasadeiA questa domanda, che mi viene rivolta spesso durante lezioni o conferenze, cerco di rispondere alla fine del mio libro, dopo aver ripercorso tutta la produzione letteraria di Dante. La sua attualità non si coglie tanto nei contenuti delle sue opere o nelle sue convinzioni personali, che ovviamente risentono della cultura del suo tempo. Si coglie invece nel suo modo di presentarli, già nel primo capolavoro, la Vita nova, che sublima l’amore infelice per una donna, Beatrice, in una storia assoluta, quasi priva di connotazioni temporali, lungo la quale troviamo tutti i gradi e le situazioni di un rapporto amoroso, sino alla promessa finale di esaltare l’amata ormai scomparsa. Dante assolutizza alcuni aspetti antropologici tipici di ogni grande amore, e in questo ci parla ancora oggi senza che si sentano i secoli che ci dividono da lui. Nella Divina commedia questa prospettiva diventa ancora più grandiosa, perché la materia non è solo l’amore bensì ogni aspetto dei comportamenti umani, da quelli più abietti a quelli sublimi. In quest’opera, attraverso immagini e situazioni rapide e incisive, si coglie l’intera umanità incarnata in singoli individui: da questo punto di vista, è molto più vicina ai romanzi moderni che non all’epica antica.

Cosa ignoriamo della vita di Dante?
Potrei dire: quasi tutto quello che ci interesserebbe sapere! I dati disponibili sono pochissimi, anche se gli storici e gli studiosi sono riusciti a ricavarne tante ragionevoli ipotesi, ma purtroppo anche le migliori ipotesi non sono certezze. Non sappiamo esattamente cos’è successo con Beatrice Portinari (se davvero si tratta di lei), quando ha sposato Gemma Donati, cosa è capitato a un figlio di nome Giovanni, del quale si perdono le tracce nel 1314, se e quando Dante si è legato alla corte di Enrico VII, e tanto altro. Gli spostamenti durante l’esilio sono molto incerti, per esempio non sappiamo quanto a lungo ha soggiornato a Verona presso Cangrande della Scala (personalmente credo tra il 1316 e il 1318, ma altri hanno opinioni diverse) e poi a Ravenna. Persino sulla forma esatta del cognome familiare e sulle date di nascita e di morte ci sono dubbi. Ciononostante, quello che sappiamo dobbiamo farcelo bastare, mentre non dobbiamo accontentarci nel tentativo di interpretare sempre meglio le sue opere.

Di quale importanza sono le sue cosiddette ‘opere minori’?
Dante ci dice molto di più se lo seguiamo in tutta la sua produzione. Ho già detto dell’importanza della Vita nova, ma adesso posso aggiungere che, terminata quest’opera, il poeta si dedicò a testi che arrivano a mostrare un amore ossessivo, quello per la donna-petra, e sono spesso di una durezza che non ha uguali nella letteratura italiana: altro che dolce stilnovo! Poi, dopo l’esilio, Dante si dedica a trattati molto impegnativi, un grande testo di tipo filosofico, per la prima volta scritto in volgare e non in latino, cioè il Convivio; e un’analisi linguistica e retorica per arrivare a un volgare illustre, ossia a uno stile elevato ma in una sorta di super-lingua (non nel fiorentino parlato), e questa è oggetto del De vulgari eloquentia, incompiuto ma per molti aspetti ancora originalissimo. Poi, probabilmente durante il periodo in cui l’imperatore Enrico VII era in Italia, Dante scrisse per lui un trattato in latino di tipo filosofico-politico, la Monarchia. E ancora in latino scrive, negli ultimi anni della sua vita, due egloghe che anticipano l’imitazione umanistica di Virgilio. Insomma, Dante è uno degli scrittori più versatili e intraprendenti della nostra letteratura, ma lo capiamo meglio se conosciamo pure le sue ‘opere minori’.

Quando e in quali circostanze Dante scrisse la Commedia?
Innanzitutto, è meglio usare Divina commedia, perché Dante probabilmente non diede un titolo alla sua opera, anche se, in mancanza di meglio, molti cominciarono a indicarla come Commedia, ma senza capire bene perché si dovesse chiamare così. Infatti comedìa, nell’Inferno, sta sullo stesso piano di tragedìa in riferimento all’Eneide di Virgilio: come non è titolo questo, non lo è nemmeno quello. Semmai, andrebbe meglio “poema sacro”, usato da Dante nel Paradiso. Però come titolo, non d’autore ma di lunga tradizione, secondo me il migliore possibile è Divina commedia.

Premesso questo, attualmente si pensa che Dante abbia scritto il suo poema tra il 1307 e il 1321, e almeno è pressoché sicuro che l’abbia terminato a Ravenna qualche mese prima della sua morte (13-14 settembre 1321). Ma sull’inizio ci sono molti dubbi, perché già Boccaccio riportava la notizia che i primi canti dell’Inferno erano stati scritti prima dell’esilio e poi fortunosamente ritrovati e restituiti a Dante mentre si trovava in Lunigiana, grosso modo nel 1306. Di questa notizia si è spesso tenuto poco conto, ma io ho provato a reinterpretarla e credo ci siano molti motivi per pensare che in effetti Dante scrisse a Firenze, prima dell’esilio del 1302, non sette canti, come si legge in Boccaccio (ma erano i suoi informatori a essere inaffidabili), bensì i primi quattro. Questo spiegherebbe bene perché quei canti ci sembrano molto diversi dai successivi, a cominciare da quello di Francesca e Paolo.

Dopodiché in effetti Dante poté procedere a scrivere di seguito l’Inferno e buona parte del Purgatorio, a mio avviso terminato entro il 1312-1313, forse con qualche rallentamento nel periodo di scrittura della Monarchia. Poi, dopo la morte di Enrico VII, Dante probabilmente attese qualche tempo prima di dedicarsi interamente al Paradiso, ma lo fece all’incirca dal 1314 o 1315 sino alla morte.

Quali questioni rimangono aperte sulle opere di Dante?
Sono parecchie. A parte tanti dubbi interpretativi su singoli versi o passi, ci sono varie opere attribuite a Dante che però sono sempre state molto contestate. Fra queste, dovremmo considerare un’opera giovanile, il Fiore, nella quale viene trasposto in sonetti il Roman de la Rose, molto fortunato in Francia alla fine del Duecento: però ormai sono emersi consistenti elementi contro l’attribuzione a Dante. Così pure, alla fine della vita (gennaio 1320), dovremmo pensare che abbia scritto un piccolo trattato scientifico, la Questio de aqua et terra, che sarebbe stata discussa a Verona: peccato che, di recente, sia stato notato che, nella discussione, si fa riferimento a una teoria sviluppata solo dopo la morte di Dante. In effetti, attribuire a Dante opere più o meno significative era utile una volta che il suo poema era diventato famoso: un po’ dappertutto si cercarono tracce di sue presenze o testi da attribuirgli. Così dev’essere capitato anche con la famosa Epistola a Cangrande della Scala, cioè un testo che Dante avrebbe inviato al signore di Verona, da lui esaltato in effetti nell’ultima cantica: ma anche in questo caso esistono molte contraddizioni fra quanto si legge in quella lettera e quanto sappiamo di certo sulla vita e le opere dantesche, ed è molto più probabile che si tratti di un testo apocrifo, composto per far credere che il Paradiso fosse appunto dedicato a Cangrande.

Perché si può affermare che il capolavoro dantesco, per parecchi aspetti genuinamente medievale, è compatibile con le multiformi immaginazioni della nostra contemporaneità?
Sviluppo questo argomento nel capitolo finale del mio libro, facendo vedere quanto Dante è stato fruttuoso nello sviluppo di tante opere, letterarie ma anche pittoriche, musicali, teatrali ecc., soprattutto a partire dal Romanticismo: quando l’arte libera l’immaginazione nel senso più ampio del termine, la Divina commedia diventa un modello ricchissimo. Per il nostro tempo, vale ancora questa tendenza, anche se ormai l’immaginario visivo si nutre soprattutto di altre immagini. Ma per fortuna quelle legate al poema dantesco sono davvero suggestive: non a caso il creatore di manga Go Nagai lo ha illustrato partendo dalle immagini di Doré che tanto lo avevano impressionato da bambino. Ma anche illustratori di tipo fantasy o videoartisti oppure rapper possono trovare spunti significativi in Dante, perché il suo poema offre tante storie delineate solo per un aspetto fondamentale, però ricchissime di implicazioni appena accennate e sviluppabili da nuovi lettori. Un po’ come avviene in tante saghe o serie televisive contemporanee.

Quali diverse riletture sono state fornite del capolavoro dantesco e quali spunti di riflessione queste ci offrono?
Come ho accennato, le riletture sono state molte, anche se Dante ha avuto pure periodi di sfortuna, specie a partire dal periodo in cui ha trionfato il classicismo umanistico (che naturalmente ha suoi parametri molto nobili, però poco compatibili con quelli danteschi). Ma nell’Ottocento Dante è diventato in Italia un padre della patria, per esempio per la sua celebre invettiva Ahi serva Italia… nel canto sesto del Purgatorio, e poi un grande modello nell’uso del volgare, che è servito come base per la lingua italiana, benché per lungo tempo sia stato occultato da quello di Petrarca. A livello europeo e mondiale, Dante è diventato il sinonimo dello sperimentalismo stilistico, del poter parlare di tutto, persino di Dio, in termini ‘comici’ (il che, fra parentesi, non è proprio vero, dato che il Paradiso è scritto in uno stile elevatissimo: ma tutto nasce dall’equivoco del titolo…), e così via. Adesso, assieme a Shakespeare, Dante è uno dei pochi ‘classici’ capace di resistere persino in un’epoca di globalizzazione. Per fare un esempio, il Ministero degli Esteri sta realizzando, con gli Istituti Italiani di Cultura, un’antologia di canti della Divina commedia in forma di audiolibro: bene, saranno oltre trenta le traduzioni proposte, perché davvero Dante può risuonare in tutte le lingue del mondo ed essere compreso, grazie alla forza antropologica universale del suo racconto.

Alberto Casadei insegna Letteratura italiana all’Università di Pisa. Si è occupato di testi dal Tre al Cinquecento (in particolare di Ariosto), nonché di poesia e narrativa contemporanee, anche in una prospettiva comparatistica e teorica. Il suo studio Biologia della letteratura. Corpo, stile, storia (2018) è stato segnalato in premi nazionali e internazionali come il “Mondello”, di cui ha vinto la sezione “Saggistica”. Su Dante ha pubblicato numerosi articoli e i volumi Dante oltre la “Commedia” (2013), Dante: nuovi accertamenti e punti critici (2019). È uscito nel 2020 per il Saggiatore Dante. Storia avventurosa della “Divina Commedia” dalla selva oscura alla realtà aumentata.

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