“Dante, il Medioevo e il nostro tempo” di Gian Mario Anselmi

Prof. Gian Mario Anselmi, Lei è autore del libro Dante, il Medioevo e il nostro tempo, edito da Pàtron: in che modo il nostro immaginario è profondamente legato a Dante?
Dante, il Medioevo e il nostro tempo, Gian Mario AnselmiLa storia culturale del nostro paese, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue varie articolazioni geografiche e localistiche, è innanzitutto storia letteraria: la let­teratura è il luogo in cui confluiscono le esperienze più importanti di molte disci­pline e di molti saperi, in una misura che non è paragonabile a quella di nessun altro paese. Pensatori di primo piano come Machiavelli, Galilei, Vico, Benedetto Croce, Gramsci, ad esempio, sono anche classici della nostra letteratu­ra: l’esperienza letteraria è, in un certo senso, il punto fondante dei vari saperi, il futuro di ogni apprendistato culturale e, non a caso, ha rivestito e riveste, da sem­pre, nella scuola un ruolo centrale. Studiamo “italiano” e “letteratura italiana” non solo perché ci corre l’obbligo di approfondire le radici della nostra lingua madre ma in particolare perché, attraverso questo studio, possiamo ripercorrere le tappe dell’intera identità culturale del nostro vissuto. Come si può ben comprendere, quindi, si tratta di uno studio tutt’altro che erudito o astratto: bensì di un modo per penetrare dentro le ragioni e i percorsi che hanno edificato il nostro stesso pre­sente e la nostra identità. Il viaggio attraverso i classici è affascinante proprio per questo, fra l’altro: perché, anche dopo tanti secoli, essi ci parlano, e noi li consul­tiamo su questioni fondamentali che sono al centro della nostra stessa vita: l’amore, la morte, il senso profondo di ciò che facciamo, il desiderio di volare con la fantasia oltre il reale e il possibile, l’anelito a raggiungere vette altissime di specu­lazione senza rinnegare il nostro corpo e la nostra “fisicità”. Tutto ciò era già pie­namente presente nel grande poema dantesco: in Dante la letteratura italiana ini­zia immediatamente con questa ambizione conoscitiva ed esplorativa a vastissimo raggio e Dante segna perciò in modo indelebile le caratteristiche della nostra tra­dizione letteraria e della sua centralità rispetto ad ogni altro sapere.

Cosa lega davvero Dante alla lunga stagione medievale?
Dante e la sua Commedia, fin da quando egli era in vita, sono soggetti ad una sorta di “infinita esegesi”. Come capita ai classici grandissimi e ai testi sacri verrebbe da dire. E la Commedia è, a suo modo, un testo “sacro”. Lo si è visto ovviamente anche lungo il 2021, l’anno centenario della sua morte. Impossibile dar conto delle iniziative, congressi, seminari, cicli di lezioni, performances, libri e saggi e mostre dedicati all’evento in tutto il mondo e in Italia in particolare. Volutamente questo libro esce dopo il 2021: per tener conto delle tante suggestioni che quell’anno ci ha proposto ma e al contempo per verificare se sia comunque sempre possibile parlare di Dante, anche oltre un anno così intenso. È possibile certamente se solo lo si affronti tentando qualche nesso, qualche “varco” che dischiuda le vie che Dante ci ha aperto prima ancora di capire con quali vie noi arriviamo a Dante. Una è certamente clamorosa: Dante opera ai confini estremi tra l’epoca medievale e l’inizio (cui lui stesso negli ultimi tempi della sua vita dà l’avvio) di una nuova stagione, che noi siamo abituati a chiamare umanistica e rinascimentale. Ma la lunghissima stagione che l’ha preceduto, il Medioevo, è imprescindibile per capirne le radici. Il Medioevo ci intriga del resto oggi in modo capillare: siamo come rapiti da quell’epoca, quasi più dei romantici, e non solo leggiamo saggi storici ponderosi sul Medioevo ma soprattutto notiamo che la cultura pop se ne è impossessata senza limiti. Basta un elenco sommario: serie televisive, saghe filmiche, romanzi storici (col formidabile archetipo del Nome della rosa di Umberto Eco nel 1980), sagre di paese, festival medievali, evocazioni di battaglie e cerimonie, rilancio di miti evergreen a cominciare dai Cavalieri della Tavola rotonda, di Artù, Merlino, Ginevra e Lancillotto con le loro avventure e passioni per passare alla Cavalleria, alle crociate, a Carlo Magno, agli ordini religiosi, ai monumenti e cattedrali e l’elenco sarebbe sterminato. Di quella lunghissima e oggi così popolare stagione Dante ci offre molte chiavi per comprenderne i tratti ma è in quell’epoca che troviamo radici formidabili per avvicinarci a Dante, al My Way della sua tormentata vita. Certo Dante, proprio in quanto erede di un millennio di cultura medievale, ci appare ed è soprattutto studiato come poeta rivoluzionario, teologo, profeta, allegorista, scienziato, filosofo, politico, persino ideologo, polemista e via discorrendo. Non sempre si mette in luce però un dato eclatante: prima di tutto Dante è un grandissimo narratore! Crea infatti per certi versi, con la Vita nova, la prima autobiografia dell’Occidente moderno dando vita a un genere che conoscerà un successo quasi ininterrotto fino ai nostri giorni e con la Commedia mette in campo una narrazione “totale” senza eguali né allora né oggi (l’unica che le accosterei nel senso di narrazione “totale” è la Recherche di Proust). Proprio nei nostri tempi, così intrisi di narrazioni e di generi narrativi ovunque pervasivi, Dante “narratore” ci balza innanzi con una forza inedita e dirompente. E appunto in questo libro cerco di indagare, fra le altre cose, proprio le linfe, le fonti esplicite e implicite di cui si è nutrito il Dante narratore, specialmente le suggestioni medievali talora meno esplorate rispetto alle notissime fonti classiche (in primis Virgilio, Lucano e Ovidio). Le sorprese non sono poche: non dimentichiamo che Dante stesso, pur consapevolmente orientato a fornirci un poema allegorico e “sacro”, ci ricorda che il primo livello di lettura che dobbiamo operare nell’accostarci al suo poema, è innanzitutto quello “letterale” ovvero del testo narrativo così come ci si presenta, lasciandoci andare, per dirla con Roland Barthes, al “piacere” del testo in quanto tale per poi, in un secondo tempo, andare oltre la sua lettera e ritrovare così i vari strati allegorici e finalistici che vi sono connessi. Se Dante allora racconta la Storia e le storie ecco balzarci innanzi la sua consuetudine con narrazioni cronachistiche e storiografiche classiche e medievali da cui apprende consumate tecniche narrative: vite di Santi, di Sovrani e di eroi (il glorioso genere biografico da cui lui trarrà ispirazione per narrare anche la sua stessa autobiografia esemplare, appunto la Vita nova) ma anche cronache che ebbe modo di consultare, ad esempio, nel soggiorno veronese e spesso incentrate sulle vicende di Ezzelino e degli altri signori dell’area padana. Quei testi furono fondamentali (e tra le fonti di Dante meno indagate oggi) per la sua formazione di narratore. Ma faremmo un torto a Dante se non citassimo anche il sicuro apprendistato (non studiato sempre con la dovuta attenzione) che egli condusse non solo sul terreno della storiografia ma anche su quello della narrativa d’ordine guerresco, cavalleresco, avventuroso e fantastico così ampiamente diffusa in tutta Europa fin dall’XI-XII secolo in avanti e che ancora oggi presiede a tratti non secondari del nostro immaginario: parliamo ovviamente soprattutto del ciclo dei poemi arturiani di circolazione quasi “popolare” anche al tempo di Dante e che egli mostra di conoscere con assoluta naturalezza (le citazioni ad esempio esplicite di Merlino nel famoso sonetto “Guido, i’ vorrei…” o del bacio fra Ginevra e Lancillotto nel canto forse più famoso della Commedia, il quinto dell’Inferno con Paolo e Francesca). Fu grandissima l’influenza di queste narrazioni e dei loro protagonisti per il Dante narratore: stupisce anzi che non proliferino monografie sul Dante “arturiano”. Dante infatti è Merlino per certi aspetti (come spieghiamo nel libro) così come certe figure eroiche laiche e religiose della Commedia caratterizzate da forza e “dismisura” (ed educate alle regole cavalleresche), seppure nell’ardore di sconfiggere le ingiustizie, non possono che essere ricondotte all’archetipo fondativo rappresentato dal popolarissimo Lancillotto; e la stessa “magnanimità”, dote così cara a Dante e celebrata dal Limbo fino appunto agli spiriti “eroici” e santi del Paradiso era proverbialmente la dote precipua di Re Artù (che è accostato a questa dote ancora con forza nel The Faerie Queen di Spenser in pieno Rinascimento inglese). E ancora: la malìa dello sguardo femminile che volge quasi alla “magia” incantatrice è fortemente in debito con figure come Morgana o con la Dama del Lago. Ma tutto l’universo della “magia bianca” di cui si nutre il Dante “scienziato e naturalista” in opposizione alla “magia nera” e alla negromanzia (di cui pure fu accusato ed ebbe fama) è intriso dell’eco delle infinite e mirabolanti vicende magiche e fantastiche dei poemi arturiani e dei suoi protagonisti, in particolare Merlino e Morgana. Fra i quali le donne (Sovrane, Dame e Damigelle, Maghe, Fate) svolgevano un ruolo decisivo negli snodi della narrazione. Non si dimentichi, ed è solo uno dei tanti esempi, che è Ginevra, nei poemi arturiani più noti, dopo un lungo “interrogatorio” disvelatore a baciare, quasi sospinta dal cavaliere Galeotto, per prima sulla bocca uno spaesato e timido Lancillotto diradando il suo imbarazzo di innamorato quasi paralizzato di fronte all’amata (e cavaliere per di più al servizio di Artù, sposo di Ginevra). E in un gioco di specchi funambolico e vertiginoso, da supremo narratore in gara col modello arturiano, Dante, rendendo immortale il momento decisivo del bacio della bocca fra amanti, inverte i ruoli nel quinto dell’Inferno: la donna, Francesca, è dominante come Ginevra (è lei, indiscussa protagonista, a narrare la storia d’amore, Paolo non parla) ma è Paolo che per primo ha il coraggio “tremante” di baciarla nel racconto che ce ne dà Francesca. Meravigliosa e spiazzante riscrittura di uno dei momenti più noti e popolari della cultura cortigiana medievale e del suo immaginario amoroso. Beatrice e le donne dantesche e stilnovistiche hanno diversa consistenza ma l’immaginario arturiano ha consegnato a Dante e ai suoi sodali una centralità “femminile” indiscutibile e straordinaria.

Quali aspetti di Dante e dell’epoca in cui è vissuto ci parlano anche nel nostro presente?
Solo da questi pochi accenni appare evidente come ci sia ancora molto da esplorare nella straordinaria partitura narrativa della Commedia. Che è la grandiosa narrazione di un viaggio ultraterreno e delle sue plaghe “inesplorate”, di un Narratore alle prese con ogni sorta di incontro e di avventura, dalle più terribili alle più sublimi, di personaggi e vicende che hanno ben poco da invidiare alle narrazioni classiche e medievali che siano materiate di realismo come di fantastico. Questo vuol dire, in definitiva, “ritrovare” con piacere la “lettera” del testo dantesco e gustarla come una immensa e ineguagliata narrazione “totale” (altri direbbero “opera mondo”). Ed è proprio questa caratura dell’opera dantesca, una preziosa peculiarità, che ne ha soprattutto propiziato la immensa ricezione anche popolare specialmente dall’epoca romantica in poi e oggi addirittura in modo dirompente in tutta la vasta gamma delle “narrazioni” e dell’immaginario visivo (dai romanzi, come si diceva, ai film alle serie televisive ai graphic novel, a tutto l’universo narrativo e artistico seriale oggi dominante). L’impasto vertiginoso che nella Commedia Dante sa creare tra narrazione letterale, conoscenze storiche, naturalistiche e matematiche e ricchezza senza fine di rimandi allegorici ai significati “sottotraccia” di natura filosofica, teologica, religiosa, finalistica, “sacra” appunto, resta la chiave per comprendere l’influenza che il grande poema dantesco ha finito per esercitare non solo sulle migliori prove letterarie ed artistiche del nostro mondo ma anche sul nostro approccio alla comprensione stessa del mondo, laddove oggi più che mai i saperi della letteratura risultano fondativi (come Dante ben aveva squadernato nel poema) della “conoscenza” non meno di altri saperi filosofici, scientifici, religiosi.

Cosa rende, dunque, Dante perenne?
Appunto questa sua straordinaria capacità di “leggere” il Mondo e l’uomo nella loro matrice più profonda, trasformando l’insieme delle conoscenze in un grandioso affresco narrativo e poetico che continuamente ci sollecita domande e ci intriga nel profondo: anzi egli apre squarci vertiginosi su tutto ciò che ci è peculiare e che resterà peculiare per sempre. A partire dagli abissi del Male, dal “lato oscuro” e ineliminabile della nostra natura fino al sublime amoroso che conduce alla possibile salvezza paradisiaca.

Gian Mario Anselmi è Professore dell’Alma Mater Università di Bologna dove è stato a lungo Ordinario di Letteratura italiana e di Letteratura italiana medievale. Si è occupato di Rinascimento, di Machiavelli, di Illuminismo ma anche di letteratura e immaginario contemporanei, tutti ambiti a cui ha dedicato molte monografie, saggi, edizioni di testi. Fra i suoi ultimi volumi ricordiamo: L’immaginario e la ragione, Roma, Carocci, 2017; I passaggi e la cronologia ragionata della letteratura italiana, Bologna, Pàtron, 2021; in uscita in questi giorni: White Mirror. Le serie TV nello specchio della letteratura, Roma, Salerno Editrice, 2022.

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