
Quando nel 1969 l’uomo raggiunge la Luna risulta chiaro che la frontiera di domani sarebbe stato il Pianeta Rosso. Già dal 1965 il programma Mariner ci restituisce le prime 22 fotografie ravvicinate della superficie di Marte inaugurando e per certi aspetti recuperando un interesse per il nostro pianeta ‘gemello’ che ha delle radici molto lontane. Andare su Marte come sfida dell’uomo verso sé stesso e non come sfida tra potenze, come è stato per la Luna, ci farà innanzitutto godere di quei benefici pratici che ci permetteranno di sviluppare nuove tecnologie destinate a cambiare, nel tempo, anche il nostro quotidiano in un vero e proprio boost al progresso. A questo si aggiunge l’elemento più importante per la ricerca, ovvero il fatto che conoscere meglio il Pianeta Rosso e il suo passato potrebbe aiutarci a immaginare quello che sarà il destino del nostro Pianeta Azzurro, ciò che andrà evitato, in una prospettiva che potrebbe dare qualche risposta concreta a tutti gli interrogativi che sono emersi dopo l’avvento dell’antropocene sul destino della Terra.
Tuttavia c’è un altro elemento, quello più umano, che ci permetterà di scrivere un’altra grande pagina di storia perché nessuna sonda, nessun drone, nessuna macchina potrà mai sostituire il gesto di piantare fisicamente una bandiera, di lasciare un’impronta e di segnare un’altra importante tappa tra le più grandi conquiste. Non un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza.
Quali sfide si pongono all’esplorazione marziana?
Raggiungere Marte è un’impresa che sarà sostenuta dallo stesso spirito che ha condotto l’uomo sulla Luna. Il senso della sfida, questa volta, ci porterà a mettere in campo sinergie più ampie e collaborazioni internazionali che metteranno assieme le eccellenze dei settori aerospaziale, ingegneristico, elettronico, biomedico e delle scienze dei materiali, per citarne alcuni. Non sarà un’impresa dei singoli, ma di squadra.
La sfida maggiore sarà rappresentata sicuramente dalla distanza da coprire e, di conseguenza, dalla durata totale del viaggio. Le imprese lunari sono state avvantaggiate da tempi relativamente contenuti, cosa che ha favorito indiscutibilmente anche il successo mediatico del programma Apollo. Per raggiungere il nostro satellite impieghiamo circa tre giorni e le comunicazioni tra il Ground Control e l’astronave non subiscono sensibili ritardi. Il caso di Marte è molto diverso in quanto il pianeta dista in media 140 milioni di chilometri dalla Terra, la Luna solo 384 mila, il che comporta un viaggio di sola andata tra i 6 e i 9 mesi. A questo, andrebbe poi aggiunta una permanenza sulla superficie di durata dipendente dalla seguente finestra di lancio, per poi considerare un ritorno di altrettanti 6 o 9 mesi, una missione, insomma, di almeno due anni in tutto. Inoltre, più ci si allontanerebbe dalla Terra, più le comunicazioni subirebbero ritardi radio che raggiungerebbero nei periodi di massima distanza Terra-Marte i 24 minuti.
Questo aspetto è sicuramente uno di quelli più controversi da risolvere, sia per la tenuta fisica degli astronauti, sia per le ripercussioni a livello psicologico di una permanenza così lunga nello Spazio. Ad oggi, infatti, il record di ‘soggiorno’ sulla Stazione Spaziale Internazionale è stato segnato dall’astronauta della NASA Mark Vande Hei, ed è di 355 giorni.
La presenza dell’uomo nell’equazione è quindi lo scoglio più critico da superare, quello che aumenta sensibilmente i rischi ed è la variabile prioritaria nell’analisi costi-benefici. Nel frattempo, però, Marte sarà sempre più popolato da sonde e rover che ci consentiranno nei prossimi anni di far fronte a queste difficoltà e di capire di volta in volta, missione dopo missione, come procedere.
Come si è articolata nel tempo l’idea della colonizzazione umana di Marte e quali prospettive offre oggi tale scenario?
L’interesse per Marte è dovuto al fatto che sotto certi punti di vista fa parte delle nostre aspirazioni a una colonizzazione dello Spazio.
Nel mio libro, il tema della colonizzazione è affrontato sotto due punti di vista, speculari tra loro: da un lato ho scelto di indagare quei temi vicini agli intrecci fantascientifici e pseudoscientifici che sostengono l’idea che la Terra, in un suo lontano passato, sia stata una colonia marziana, dall’altro, invece, ho cercato di approfondire quelle prospettive che hanno portato gli scienziati a immaginare come saranno realizzati i primi insediamenti sul pianeta.
L’idea che la prima colonizzazione della Terra sia stata marziana e che proprio a questa civiltà si deve lo sviluppo di una cultura molto avanzata ha alimentato il mito di Atlantide, le teorie sull’origine delle piramidi e sugli antichi astronauti consacrando questi temi all’immaginario con fascinazioni che persistono ancora oggi nella letteratura e nel cinema.
Quanto all’instaurazione della presenza umana su Marte, è giusto ricordare che alla fine degli anni Novanta viene fondata la Mars Society, un’associazione che promuove la conoscenza, l’esplorazione e la possibile colonizzazione del Pianeta Rosso e si rivolge soprattutto ai media e ai governi per cercare di convincerli dei vantaggi e della necessità delle missioni.
Nel 1999 è stata creata la bandiera di Marte, un simbolo identitario non ufficiale, ma approvato dalla Mars Society e dalla Planetary Society che sarà portato anche a bordo dello Space Shuttle Discovery dall’astronauta John Mace Grunsfeld. Questo particolare tricolore rosso, verde e blu vuole rappresentare il presente e l’auspicato futuro del pianeta, oggi arido e inospitale, un giorno, forse, ricco di vegetazione e acqua grazie a processi di terraformazione.
I marziani hanno abitato da sempre le fantasie umane: come si è sviluppata la riflessione sui nostri vicini alieni?
Il legame di Marte con la vita extraterrestre a partire dalla seconda metà dell’Ottocento è un vero e proprio tormentone e, transitato dalla scienza alla fantascienza per poi ritornare alla prima, diventa una presenza sempre più costante. Proprio in questo secolo le datazioni della Terra e dell’età dell’universo subiscono considerevoli dilatazioni a fronte dello studio sui fossili e sulle trasformazioni delle specie, in quanto non si escludeva che la vita si fosse sviluppata prima su altri pianeti. Anche dopo la rivoluzione evoluzionistica di Charles Darwin una parte della comunità scientifica non poteva escludere che Marte fosse ancora abitato da una civiltà più avanzata di quella terrestre, o che, comunque, lo fosse stato in passato.
Non è però stato solo merito dell’immaginazione se abbiamo potuto fantasticare sui nostri antenati alieni, o se abbiamo trattenuto il fiato nella prospettiva di una guerra spaziale contro Marte. Non solo la storia della letteratura, ma anche la storia della scienza ha dedicato al Pianeta Rosso alcuni carteggi dal grande spessore speculativo. Lo scambio epistolare tra Giovanni Virginio Schiaparelli e Percival Lowell intorno al tema dei canali marziani sconvolse e sconvolge i lettori ancora oggi in quanto le teorie sono frutto delle speculazioni di due protagonisti del panorama astronomico del secondo Ottocento. Proprio a quel tempo Marte inizia ad essere popolato da bizzarre fantasticherie, trame che si intrecciano con la notte dei tempi, suggestioni avveniristiche e presagi apocalittici che ci restituiscono una serie di immagini che vedono nella figura del marziano sia qualcuno che si è intrecciato con il nostro passato, ma anche qualcuno che potrebbe intrecciarsi nel nostro futuro.
Nel mio libro sostengo una tesi ben precisa su chi saranno i marziani e in questa idea che ho maturato proprio mentre scrivevo ho capito che l’elemento chiave era quello antropologico, il quale, alla luce di tutta una serie di considerazioni, mi ha permesso di ipotizzare delle risposte coerenti ad alcune delle domande più ricorrenti su questo tema.
Quando e come andremo su Marte?
Negli ultimi anni mi è capitato molto spesso di confrontarmi con diverse persone che interpellavo per interviste, confronti e suggerimenti a proposito di questo tema. Quando Piero Angela stava lavorando alla prefazione del libro che ho scritto sulla conquista della Luna mi disse che sarebbe stato importante scrivere anche su Marte, perché l’impresa sarebbe stata inevitabilmente meno sentita e c’era bisogno di qualcuno in grado di raccontarla. Personalmente credo che le nuove frontiere dell’esplorazione avranno il merito di coinvolgere una nuova generazione di appassionati e di curiosi che grazie allo sviluppo dei mass media riusciranno a vivere l’impresa da veri e propri protagonisti.
Il problema non è, quindi, se l’uomo andrà su Marte, ma quando questo avverrà, perché la sua colonizzazione è indiscutibilmente in continuità con quanto già avvenuto nel campo dell’esplorazione spaziale: più la tecnologia avanzerà, prima si avvicinerà questo evento. Alla luce delle recenti revisioni dei programmi spaziali, penso al lancio di Artemis e alla posticipazione del prossimo allunaggio, è difficile pensare ad un quando andremo su Marte, ma è fuor di dubbio che le tappe principali dell’esplorazione e della colonizzazione di un corpo celeste, quale esso sia, dovranno avvalersi delle esperienze fatte nelle precedenti missioni spaziali. Dopo i successi con le sonde robotiche, si procederà con i test con organismi viventi e solo all’ultimo si prenderà in considerazione il lancio di un equipaggio umano.
Sappiamo cosa aspettarci su Marte, ma le ipotesi sul come raggiungerlo sono, invece molto varie e vanno dall’itinerario diretto, al flyby (sorvolo ravvicinato) di Venere. L’idea di un gateway lunare che prevede la creazione di una base sul nostro satellite da usare come vero e proprio avamposto, unita all’installazione di stazioni spaziali intermedie, mi sembra, tra le varie speculazioni, quella più ragionevolmente praticabile e in linea con il calendario delle prossime missioni nello spazio.
È certo, però, che le colonie lunari, le stazioni intermedie e l’insediamento graduale su Marte ci permetteranno di diventare una vera e propria specie multi-planetaria.
Maria Giulia Andretta, PhD in Storia della Scienza e delle Tecniche. I suoi interessi riguardano i rapporti tra scienza, cultura e società con particolare attenzione alla letteratura, al cinema e al fenomeno delle fake news. Si è occupata delle ricadute culturali della conquista della Luna, è stata ospite alla NASA in occasione del 50 anniversario dell’allunaggio e la sua tesi di dottorato ha vinto il premio dell’IAU. È coautrice di Stregati dalla Luna, con prefazione di Piero Angela, scrive e racconta di storia e di scienze, collabora con importanti istituzioni, enti, fondazioni e musei.