
Mi sembra che lo stato degli studi sia ottimo, vi è tutta una tradizione italiana che vede storici del calibro di Arsenio Frugoni e poi Raoul Manselli, al quale si deve l’inizio di una serie di convegni svoltisi annualmente all’Aquila dal 1984 agli anni Novanta del secolo scorso, portati avanti dopo la sua prematura morte (1984) dalla studiosa ungherese naturalizzata italiana Edith Pásztor e da Walter Capezzali, allora direttore della Biblioteca Provinciale dell’Aquila ed attualmente a capo della Deputazione di Storia Patria per gli Abruzzi,. Vi sono biografie di diverso livello, da quella di Peter Herde, ancora nel secolo scorso – troppo critica nei confronti del pontificato celestiniano – a quelle più recenti di Paolo Golinelli e Alessandra Bartolomei Romagnoli (direi di non considerare quella di Barbara Frale, discutibile anche nel titolo L’inganno del gran rifiuto). Infine ad Agostino Paravicini Bagliani, noto studioso dei papi del basso Medioevo, si deve l’iniziativa del Corpus Coelestinianum, una raccolta di tutte le fonti di diversa tipologia su Pietro del Morrone-Celestino V, iniziata con i due tomi del primo volume, l’edizione critica delle fonti riguardanti il processo di canonizzazione, curati da me e – nel primo tomo – anche da Alessandra Bartolomei. Sono volumi di grande impegno anche editoriale (SISMEL, Edizioni del Galluzzo di Firenze), pubblicati nel 2015 e 2016, accessibili anche a lettori di media cultura, dato che le fonti latine hanno la traduzione italiana a fronte. Ci si augura che l’iniziativa possa proseguire secondo il progetto, trovando i finanziamenti necessari.
Si può affermare che la notorietà di Celestino V sia inversamente proporzionale alla brevissima durata del suo pontificato: come si è articolato il dibattito storico intorno a «colui che fece per viltade il gran rifiuto»?
Direi che questo verso dantesco, di non sicura interpretazione, non ecciti più accesi dibattiti, come nella prima metà del Novecento. Credo che. in linea teorica, il “gran rifiuto” si adatterebbe alla perfezione a Ponzio Pilato, ma il problema è che tale ipotesi è di studiosi moderni. Il fatto che i primi commentatori della Commedia, di pochi anni successivi alla morte di Dante (1321), propendano per Celestino V, rende l’attribuzione credibile. Un ultimo dibattito si è avuto fra Paolo Golinelli e Chiara Frugoni, la quale non ha accettato una lettura del primo, che però ritengo interessante: la “viltade” di Celestino indicherebbe le sue origini “vili”, contadine, poco gradite all’aristocratico Dante. Dunque la rinuncia al pontificato, il “gran rifiuto”, deriverebbe dalle origini sociali del pontefice, che non avrebbe retto l’alta dignità pontificia.
Quale dibattito si sviluppò in seno alla comunità francescana sulla rinuncia di Celestino V?
A questo tema è dedicato il capitolo secondo della seconda parte del mio libro. Celestino aveva favorito alcuni gruppi di spirituali francescani, permettendo ad alcuni di essi, con a capo Angelo Clareno, di uscire dall’Ordine, costituendo per essi una nuova congregazione, quella dei “pauperes heremitae domini Coelestini”. Per cui l’Ordine dei Frati Minori vide con favore le sue dimissioni. Ovviamente gli spirituali ne furono colpiti nel modo peggiore, a maggior ragione a causa dell’elezione come successore di Bonifacio VIII, che cassò tutte le decisioni del predecessore. Per cui gli spirituali si schierarono in gran parte con il partito antibonifaciano che riteneva impossibili le dimissioni di un papa, quindi non valide, rendendo così invalida l’elezione del successore. Su questa posizione erano soprattutto gli spirituali del centro Italia, con a capo Corrado d’Offida; anche Iacopone da Todi era con loro. Ma il capo riconosciuto degli spirituali, noto teologo ed esegeta formatosi all’università di Parigi, il provenzale Pietro di Giovanni Olivi, compose una quaestio sulla rinuncia del papa, dimostrandola canonicamente valida, ed intervenendo con una lettera molto decisa a Corrado perché evitasse la ribellione.
Quale significato assunse la rinuncia di Celestino V nell’attesa escatologica del secolo XIII?
A questo tema è dedicata la terza parte del mio libro. Nel XIII secolo vi era una forte attesa di una riforma della chiesa, affidata all’avvento di un papa capace di attuarla, in quanto lontano da sete di potere e da corruzione. Ruggero Bacone si affidava a papi colti e riformatori del curriculum degli studi, Dante auspicava un ritorno ai Vangeli ed ai dottori della Chiesa di fronte all’eccesso di diritto canonico. Le aspettative popolari andavano nella direzione di una minore ricchezza della Chiesa, se non proprio di una sua povertà. La rinuncia di Celestino non solo fece cadere queste aspettative, ma provocò una grande delusione, dato che il suo pontificato sembrava presentarsi proprio come l’attuazione di quelle aspettative. Ne derivò una mitizzazione della figura di un futuro pontefice riformatore, che sarebbe dovuto arrivare contro i papi che si cominciò ad indicare come anticristi.
Come morì Pietro del Morrone?
A questo interessante tema è dedicato il capitolo terzo della seconda parte del mio libro, che non posso riassumere in poche parole. Pochi anni dopo la morte di Celestino (1296), prigioniero di Bonifacio VIII nel castello di Fumone, si diffuse la voce che egli fosse stato fatto uccidere dal Caetani per evitare ogni opposizione al suo pontificato, ritenuto invalido – come detto sopra – dato che il legittimo papa era ancora in vita. Abbiamo testimonianze di queste accuse già nel 1300. Successivamente si disse che tale uccisione sarebbe stata fatta tramite un chiodo conficcato nel cranio del vecchio eremita (aveva quasi novant’anni). Il fatto è che nel cranio di Celestino è davvero presente un foro della misura di un grosso chiodo e ciò ha fatto credere a questa accusa contro Bonifacio anche in secoli successivi. Tuttavia le analisi condotte sul cadavere già a fine Ottocento, poi con criteri recenti di patologia nel 2013 hanno dimostrato che tale buco è stato fatto successivamente alla morte, non avendo provocato fenomeni infiammatori nel corpo. Sulla causa di questo buco si discute, con differenti ipotesi dovute alle peripezie del corpo dopo la morte. Ma Pietro del Morrone morì molto probabilmente di morte naturale, certo favorita, oltre che dall’età, dalle durissime condizioni di detenzione cui era sottoposto. I biografi che scrissero la sua vita nei primi anni del Trecento, suoi discepoli dell’Ordine dello Spirito Santo da lui fondato (i “Celestini”), non fanno alcun cenno ad una uccisione, pur essendo molto critici sul trattamento a lui riservato da Bonifacio VIII.
Come si diffuse il mito di Celestino V Pastor Angelicus?
In realtà i contemporanei non videro Celestino come il pastor angelicus e non si trovano testimonianze in tal senso nel Trecento, probabilmente nemmeno nel Quattrocento, almeno nella tradizione aquilana, particolarmente legata al santo che volle essere incoronato papa all’Aquila e non a Roma (rinvio ancora alla terza parte del mio libro). Come detto prima, la rinuncia di Celestino e la profonda delusione che provocò furono la causa della nascita del mito del pastor angelicus, che però avrebbe dovuto essere un papa futuro, diverso quindi da Celestino ormai morto; né si penso ad un “Celestino redivivo” (come avvenne, invece, per le aspettative di ritorno di Federico II di Svevia).
Alfonso Marini (Caserta 1949) è stato docente di Storia medievale alla Sapienza Università di Roma. Si occupa di storia religiosa bassomedievale e coordina ricerche sulle clarisse in Italia nel sec. XIII, sui temi dell’imitatio Christi, sul monastero romano di San Lorenzo in Panisperna. Alcune sue pubblicazioni: Sorores alaudae. Francesco d’Assisi, il creato, gli animali (Assisi 1989); Storia della chiesa medievale (Casale Monferrato 1991); Agnese di Boemia (Roma 1991); sezioni in Claire d’Assise, Écrits, Vies, documents (Paris 2013) e in Sainte Agnès de Prague (Paris 2013); Francesco d’Assisi, il mercante del regno, Roma 2015, 20192; Il processo di canonizzazione di Celestino V, I, 1 (con A. Bartolomei Romagnoli), I, 2, Firenze 2015 e 2016; “Se ti dimentico. Gerusalemme”. Bernardo di Clairvaux e la Terrasanta, Roma 2019; Dall’eremo al mito. Studi su Pietro del Morrone – Celestino V, Canterano (Roma) 2020.