
Quale contributo possono fornire i racconti mitistorici all’indagine archeologica?
I racconti mitistorici e i dati archeologici costituiscono sistemi di fonti di informazione diversi e da mantenere distinti. Il che non significa che non possano essere considerati complessivamente, come abbiamo fatto per le origini di Roma. La cospicua documentazione archeologica relativa alla prima età regia, raccolta a partire dalla fine del secolo scorso, rivela che la creazione dei primi luoghi e monumenti pubblici della città si data su solide basi alla metà circa dell’VIII secolo a.C. ovvero al periodo che per gli Antichi vedeva all’inizio dell’età regia. Pertanto, gli elementi fondativi di uno Stato – quali spazi per la politica (Comizio e Foro) e spazi sacri (il santuario di Vesta) – sembrerebbero esistere già in quest’epoca
I nuovi dati attestano anche un processo di cambiamento, in atto a partire dalla metà circa dell’VIII secolo a.C. perché la nascita di questi edifici e luoghi “centrali” e pubblici si accompagna alla distruzione di settori dell’abitato più antico. Tutto ciò permette ipotizzare che questa trasformazione fosse connessa ad un mutamento di tipo politico/istituzionale. Per queste ragioni abbiamo proposto di datare la “nascita di Roma” nel corso della seconda metà dell’VIII secolo a.C. Possiamo definire questo processo con nomi diversi, ma una soluzione di continuità nella storia dell’abitato di Roma intorno alla metà dell’VIII secolo a.C. è documentata nel terreno di Roma stessa.
Altra cosa è comparare questa trasformazione, attestata e riconosciuta archeologicamente, con il racconto che i Romani elaborarono per illustrare le proprie origini (la cosiddetta “leggenda di Roma”). Ci siamo chiesti quale relazione potesse eventualmente esistere tra le due diverse serie documentarie, stratigrafie e racconti/tradizioni. Abbiamo voluto iniziare a considerare globalmente e sistematicamente tutti i prodotti materiali e culturali dell’età delle origini o relativi ad essa. Ciò naturalmente non implica un’accettazione acritica della narrazione mitico-leggendaria. La Leggenda di Roma è stata variamente datata (dal VI al IV secolo a.C., per alcuni ancor prima) e diverse sono le proposte avanzate per la sua redazione/definizione/formazione/evoluzione. Noi invece crediamo che si possa datare il nucleo della leggenda alla stessa epoca che vede la trasformazione dell’abitato rivelata dall’archeologia. Possiamo supporre che due avvenimenti contemporanei – apparire dei luoghi pubblici a Roma e prima elaborazione della leggenda – siano uno il riflesso dell’altro e viceversa? Noi crediamo di si, altri lo negano. Ad ogni modo, l’analisi archeologica dell’evoluzione dell’abitato porta a risultati autonomi, a prescindere dalla valutazione della “tradizione” e del suo valore “storico” che si voglia preferire. Il fenomeno di fondazione/formazione della città è cosa ben distinta dal mito della fondazione, così come ci è stato conservato nelle varianti delle nostre fonti, e verificabile indipendentemente da esso. Per altro verso, se la leggenda di Roma è stata elaborata nel momento in cui l’abitato di Roma diveniva un centro politicamente centralizzato, essa può aiutarci a comprendere la prospettiva culturale nella quale i Romani avevano deciso di conservare e trasmettere la propria storia.
Quale importanza riveste il monte Germalus per la fondazione di Roma?
Si può comprendere l’importanza del Germalus per la fondazione di Roma se consideriamo la profonda stratificazione di elementi mitici ad esso connessi a e la sua storia rivelata dalla documentazione archeologica e storico letteraria. Il Germalus – un settore della cima occidentale del Palatino con le pendici sottostanti – è il luogo dove sarebbe stata celebrata una parte del rito di fondazione della città. Ma questo rito fondava una nuova città in un luogo già ricco di memorie e centrale per l’abitato di Roma precedente la città e per l’intero Lazio. Qui avrebbe agito Fauno, uno dei re divini mitici del primo Lazio; qui spadroneggiava il brigante mostruoso Caco. Inoltre, il Germalo, sempre secondo il mito, sarebbe stato parte dell’abitato fondato dai Greci provenienti dall’Arcadia guidati dal re Evandro e questo re avrebbe fondato sul Germalo i primi culti a Vittoria e allo stesso Fauno. Qui avrebbe agito Ercole, liberando Evandro e gli Arcadi dalla tirannia di Caco e nei suoi presi sarebbe sbarcato Enea con i Troiani superstiti. Qui infine era venerata Pales, un’antichissima dea dei pastori e delle selve. Successivamente, il Germalo fu rappresentato dalla leggenda di Roma in un pascolo abitato da pochi pastori quali Faustolo, che vi avrebbe allevato Remo e Romolo. In realtà esso era un rione del grande abitato che si sviluppò sul sito di Roma a partire dal IX secolo a.C., con capanne e nuovi luoghi sacri che occuparono uno spazio nel quale si ambientavano miti ancora più antichi. Di questo rione, tranne i santuari, la nascita di Roma cancellò fisicamente le tracce, creando al loro posto le memorie della fondazione. Questa insieme di elementi mitici e sacrali connessi ai primordi della cultura latina, la storia dell’abitato precedente Roma, che gli archeologi definiscono proto-urbano, e la presenza nello stesso luogo della capanna del fondatore e del rito di fondazione di Roma dimostra che la nuova città nacque in rapporto molto stretto con le memorie primitive del Lazio ma in opposizione all’abitato – reale perché archeologicamente attestato – che l’aveva preceduta.
Come si sviluppò il toponimo Roma?
Sappiamo che sulle rive del Tevere esisteva un grande abitato unificato dal IX secolo a.C. e che, assai probabilmente, il suo nome antico era Septimontium. Si trattava di un ampio aggregato, esteso a tutte le alture sulle quali si sarebbe poi sviluppata la città, ad eccezione di Campidoglio ed Aventino che in origine erano parte dei distretti rurali più prossimi all’abitato. Il rito di fondazione ricordato dalla Leggenda aveva la funzione di ottenere da Giove la trasformazione di un’area specifica – il Palatino – in una urbs/città. Questo spazio, che si riteneva trasformato per intervento divino, si definiva “inaugurato” e il suo limite – sacro e ritualmente invalicabile – si chiamava pomerium. Dunque, si trattava di una parte di Septimontium trasformata ritualmente in una urbs cui venne attribuito il nome Roma. Il Palatino è il luogo delle origini della città anche dal punto di vista toponomastico.
Come si articolò e cosa ha rappresentato la rifondazione augustea della città?
Furono numerosi gli atti di Augusto che sancirono un nuovo inizio (gli Antichi avrebbero detto una “nuova era”) per la città. Dal punto di vista ammnistrativo, nel 7 a.C., divise la città in 14 parti (Regiones) che abbracciavano una superficie più ampia di quella che fu poi cinta dalle Mura fatte costruire dall’imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo d.C. Dal punto di vista architettonico-urbanistico furono numerosi i restauri, le ricostruzioni o i nuovi edifici in diversi settori della città – dal Campo Marzio al Circo Flaminio, il Foro Romano e lo stesso Foro di Augusto – che egli promosse è effettuò personalmente e che rinnovarono il paesaggio urbano. Diffondendo allo stesso tempo il messaggio politico e l’immagine del princeps. Dal punto di visto ideologico, infine, la creazione più pregnante fu proprio la sua casa sul Palatino.
Di quali significati si ammantava il palazzo di Augusto?
Ottaviano scelse di abitare sul Palatino di fronte al santuario dove si conservavano un’ara e una capanna che mantenevano la memoria dell’atto di fondazione e della casa del fondatore/primo santuario di Marte. Ma un fulmine cadde in questa casa e Ottaviano interpretò l’avvenimento come la richiesta di Apollo di abitare in quel luogo. Per questo motivo, tra il 36 e il 28 a.C., la casa venne sepolta e fu costruito un nuovo e grandioso edificio, il primo palazzo imperiale di Roma. Questa residenza divenne una riproduzione in miniatura dei luoghi centrali dello stato romano. C’era un luogo per ospitare il Senato (la biblioteca, inaugurata come richiedevano le norme giuridico sacrali), un culto dedicato a Vesta e un portico (il Portico delle Danaidi) grande come un piccolo foro e assimilabile al Foro perché connesso ad un santuario di Vesta e a una Curia/Biblioteca. Questo “piccolo centro urbano”, si trovava dunque presso e sopra le più antiche memorie del Germalo e la fossa di fondazione della città. Ma c’è di più. Esso rappresentava, simbolicamente e in scala ridotta, la Roma quadrangolare che si credeva Romolo avesse fondato sul monte Palatino, definita quadrata dal poeta Ennio. In quest’area (quadrata) era una teca contenente gli strumenti della rifondazione augustea della città, sovrastata da un’ara, quadrata anch’essa, entrambe repliche della fossa con ara quadrata creduta della fondazione di Romolo che si trovava sul lato del palazzo, in cima alle scale dette “di Caco”. Per queste ragioni, il palazzo di Augusto inaugura una nuova storia fondata sull’intera tradizione latina e romana.
Paolo Carafa è professore di Archeologia classica presso la Sapienza Università di Roma