
Dante viveva in un contesto culturale molto ricco, complesso e stimolante. Oltre alla letteratura latina e alla produzione letteraria contemporanea, che fioriva nell’Europa centro-occidentale, Dante mediante il suo maestro, Brunetto Latini, e i rapporti intessuti con uomini di cultura, ebbe modo di conoscere, e di apprezzare, anche la fiorente letteratura araba. Gli Arabi nel XIII secolo erano presenti in tutti i porti più importanti, e non, del Mediterraneo e, come avviene, insieme con le merci si scambiavano anche idee, convinzioni religiose, opere letterarie. Non è escluso che lungo le coste adriatiche, presso le famiglie più facoltose, circolassero testi arabi e, tra questi, il Libro della scala, che Dante ebbe modo di conoscere almeno in due versioni: quella tradotta in latino e in francese da Bonaventura da Siena, e quella scritta dal nipote di Maometto Abdallah Ibn al – Abbàs. C’è da aggiungere che nel libro tradotto da Bonaventura Maometto incontra due fiere, la lupa e il leone, che mancano nella versione di Abdallah. Dante, per inserirle nella simbologia cristiana con uno specifico riferimento al libro dei Salmi, vi aggiunge la lonza. Di queste si dà opportuno ragguaglio nella seconda sezione del libro.
Particolare rilievo riveste la prima parte, nella quale il Dott. Hafez Haidar, in maniera molto accattivante, immagina come il libro sia arrivato nelle mani di Dante. Più che il modo, però, interessa il testo, che lo studioso ha scovato in una libreria in Libano ed ha tradotto per la prima volta in italiano. Questo libro, scritto in arabo antico, è il primo e più antico Libro della Scala, al quale si sono rifatti, in maniera più o meno libera e autonoma, i vari scritti successivi. Questo evento proietta una luce particolare sulla Divina Commedia, la quale, nonostante mostri molte vicinanze e palesi influenze, rimane tuttavia un capolavoro originale per il pensiero, per la poesia, per l’immaginazione e per la dottrina nel complesso panorama della letteratura mondiale di tutti i tempi. Bisogna chiarire che rintracciare le fonti di un’opera non significa assolutamente sminuirne il valore e l’originalità. La Divina Commedia, nonostante Dante abbia attinto e, a volte tradotto, da diverse fonti, rimane sempre per valore e originalità un unicum nella lunga e travagliata storia del pensiero umano. Dal Libro della scala Dante ha certamente attinto la legge del contrappasso, fondamentale per la lettura di moltissimi brani della Divina Commedia.
Il lettore di oggi, soprattutto con la traduzione integrale ammannita dal Dott. Hafez, ha un sicuro e saldo punto di riferimento tanto per quanto concerne il prodotto letterario arabo, difficile da rintracciare nel mercato librario europeo, tanto sull’uso geniale di Dante.
Accanto al Libro della scala Dante ha avuto davanti agli occhi l’ascesa al cielo di San Paolo. Il Poeta, infatti, traducendo il brano, che si legge nella seconda Lettera ai Corinti XII 4, Par. I 5-6 scrive: …e vidi cose che ridire / né sa né può chi di là sù discende.
All’epoca di Dante, inoltre, la letteratura escatologica, soprattutto in ambito cristiano, deteneva un ruolo di primo piano. Basti pensare a Bonvesin de la Riva, autore del Libro delle tre scritture, e a Giacomino da Verona, che scrisse De Ierusalem caelesti e De Babilonia infernali.
Questo complesso mondo culturale, che cercava di galvanizzare l’attenzione dell’uomo verso il mondo ultraterreno, ha trovato in Dante un interprete originale e geniale. Il grandissimo Poeta fiorentino, seguendo i dettami della filosofia scolastica e, in modo particolare, della teologia tomista, ha sistemato in modo rigoroso peccati, pene e meriti.
Quale storia viene narrata nel libro del nipote del profeta Muhammad?
Il nipote del Profeta, Abdallah Ibn al – Abbàs, descrive l’ascesa al cielo di Muhammad. Il Profeta dormiva nella Santa Moschea, a La Mecca, e venne trasportato da un cavallo alato, Burak, nella Moschea remota, a Gerusalemme, città santa per eccellenza tanto per gli Ebrei, quanto per i Cristiani e per i Musulmani. In questa fu eretto lo splendido tempio di re Salomone in onore di Dio, prima che Tito lo radesse al suolo. Gerusalemme è sempre stata il cuore della religione ebraica prima e cristiana dopo. Ogni buon cristiano desiderava ardentemente di vedere i luoghi santi prima di morire. Anche Muhammad considerava il luogo privilegiato, perché Dio ha dato al suo popolo la Palestina, la Terra Promessa, e la città santa, dove volle che si costruisse il Tempio in suo onore. L’autore del Corano, in almeno due luoghi, parla della Terra Promessa e, di conseguenza, di Gerusalemme: il primo si legge in Corano 17 104, dove è scritto: «Dicemmo poi ai figli di Israele: “Abitate la terra”. Quando si compì l’ultima promessa, vi facemmo venire in massa eterogenea»; la seconda in 5 21: «O popolo mio entrate nella terra santa che Allah vi ha destinata».
Dovendo compiere il viaggio ultraterreno, il Profeta non poteva non passare da un altro luogo se non da Gerusalemme. In questa straordinaria impresa spirituale Muhammad viene accompagnato dall’arcangelo Gabriele. C’è da osservare che tutti coloro, che hanno compiuto il viaggio nel mondo ultraterreno, hanno avuto un accompagnatore o hanno dovuto eseguire ordini precisi, la violazione dei quali costava molto cara all’incauto viaggiatore. Enea viene accompagnato dalla Sibilla cumana.
Muhammad comincia la salita al cielo guidato dall’arcangelo Gabriele, il quale, dopo aver attraversato sette cieli sferici, giunge a poca distanza da Allah, che ha la sua dimora nell’ultimo cielo, il più alto partendo dalla terra. In ogni cielo sono collocate anime, che hanno più o meno amato intensamente Dio. Le anime, che hanno amato di più e si sono sacrificate per la gloria del Signore, sono più vicine ad Allah. I cieli sono situati tutti a eguale distanza tra loro e sono tutti limpidi e trasparenti. È, questo, il Paradiso musulmano.
Dopo un volo veloce e impercettibile, Muhammad viene accompagnato a pochissima distanza da Allah, ma non osa guardarlo in faccia. Si accontenta di vedere tutta la grandezza della sua gloria dalla serenità e dalla grazia che regnava in quel luogo.
Dopo aver percepito in tutta la sua potenza e grandezza la visione beatifica di Allah, Muhammad intraprende il viaggio verso il mondo sotterraneo, dove sono condannati i peccatori. Questo luogo corrisponde all’Inferno cristiano. Anche i dannati sono distribuiti in sette cerchi concentrici, nel più basso dei quali sono condannati quelli, che hanno commesso peccati molto gravi. La zona dei dannati si apre sotto Gerusalemme. Anche i dannati sono divisi in rapporto alla gravità dei peccati commessi dall’uomo durante la vita.
Il viaggio finisce col risveglio del Profeta, che viene di nuovo accompagnato a La Mecca.
Nella religione musulmana, come presso gli Ebrei e il Cristianesimo più antico, manca il Purgatorio, del quale i biblisti hanno ravvisato tracce già nel Vecchio Testamento. I Novissimi, infatti, secondo l’insegnamento della Chiesa sono: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso.
Il nipote di Muhammad aveva un’ottima conoscenza della Bibbia e degli scritti vergati dai Padri della Chiesa, che sfrutta in maniera eccellente e originale.
Del Purgatorio si parla con maggior ampiezza nella seconda parte del volume.
Per quale motivo Dante, estimatore dei pensatori musulmani e della cultura arabo-islamica, mise il Profeta nell’Inferno della sua Commedia?
Dante, più di ogni altro, fu un grande estimatore della cultura araba, alla quale bisogna attribuire il merito di aver introdotto in Europa la conoscenza della filosofia aristotelica, le scienze e la medicina. E non è strano che, quando il sommo Poeta italiano si accinse a scrivere la Divina Commedia, non fosse suggestionato, nello stesso tempo, dalla Bibbia e dalla cultura araba, che, come si è già accennato, era nota in tutti i centri commerciali del bacino mediterraneo. Anche se Dante teneva in grandissima considerazione i grandi intelletti arabi e le loro opere, colloca tuttavia nell’Inferno Maometto, tra i seminatori di discordie. Su questo brano del Poema si è scritto molto e si scriverà ancora, perché tra gli studiosi c’è grande disparità di vedute. Dalla plastica ed incisiva rappresentazione dantesca, emerge evidente un certo disprezzo tanto per la scelta piuttosto sgradevole della pena, quanto per le cruente e raccapriccianti immagini utilizzate. Maometto, sventrato da un diavolo, è collocato tra i seminatori di discordie, in un luogo molto buio dell’Inferno.
Qui non mi addentro sull’analisi letteraria, psicologica, artistica e figurale, ma vorrei soffermarmi solo sull’aspetto religioso e politico, che ha dettato, o imposto, una scelta così traumatica e traumatizzante. Non bisogna dimenticare ancora la formazione filosofica e teologica di Dante, il quale, proprio con questo episodio, intende richiamare l’attenzione su due realtà, le quali, se nell’apparenza, sono in contraddizione, di fatto si completano a vicenda, per espresso volere di Dio: Impero e Papato, due realtà apparentemente estranee al complesso mondo islamico e orientale. Dante, filosofo e teologo, tiene costantemente presente la reductio ad unum, insegnato dalla filosofia scolastica.
Maometto, in realtà, è l’ultimo profeta di Allah e ha incrementato la sua conoscenza tra gli uomini. Con la diffusione dell’islamismo sotto gli Omayyadi e la conquista di molti territori abitati da cristiani ha contribuito in modo determinante alla lacerazione della cristianità. Non si dimentichi che l’ambiente, dove hanno operato i seguaci del Profeta, era profondamente imbevuto di cristianesimo. Per la reductio ad unum tutti i Cristiani devono sottostare all’autorità del Papa, il quale garantisce loro grazia e salvezza. Il Profeta, però, con la diffusione del culto di Allah, ha creato uno scisma, lacerando l’unità della Chiesa. All’epoca di Dante correva voce che Maometto fosse stato addirittura un cardinale cattolico, il quale, frustrato per la mancata elezione a pontefice, per vendetta sarebbe diventato apostata e scismatico. Dante, inoltre, sapeva bene che i Musulmani con le rapide conquiste avevano sottratto al controllo della Chiesa una grandissima massa di cristiani.
La fondazione dello stato islamico, che, col passar degli anni, era diventato sempre più esteso, aveva operato una devastante divisione all’interno dell’Impero, voluto da Dio, perché gli uomini, sotto la guida dell’Imperatore, vivessero nella giustizia e nella pace.
È bene ricordare che accanto a Maometto c’è il genero Alì, la ferita del quale parte dal punto nel quale termina quella del Profeta. Dato che durante il medioevo la figura di Alì non era molto conosciuta, l’episodio permette di capire che Dante aveva dell’Islam una conoscenza molto più ampia e completa di quanto si possa ancora pensare. La presenza di Alì, che doveva essere il successore del Profeta, causò un vero scisma tra gli sciiti, suoi seguaci, e i sunniti. Da ciò si deduce che Dante conosceva bene anche gli scismi all’interno dell’Islam a differenza dei coetanei, che consideravano Maometto un eretico. Nonostante il Profeta abbia in tutti i modi incrementato il culto di Allah, da Dante non è collocato tra gli scismatici.
C’è un’ulteriore considerazione, sulla quale è opportuno fermare l’attenzione: nel presentare il Profeta col petto squarciato dal colpo di spada, induce a pensare che Dante avesse in mente la leggenda musulmana, secondo la quale due angeli, per purificare il petto di Maometto ancora bambino dalla macchia del peccato, gli avrebbero aperto il petto. Dante, per concludere, aveva una conoscenza del mondo e della cultura araba più ampia e profonda di quanto si possa immaginare.
Orazio Antonio Bologna è membro dell’Academia Latinitati Fovendae della Pontificia Accademia Latina; è inoltre vicedirettore scientifico della rivista «Collectanea Philologica» dell’Università di Łódź. È presidente della Laurea Apollinaris Poetica, onorificenza conferita annualmente presso l’Università pontificia salesiana al miglior poeta italiano.