
Si fa un gran parlare di guerre ibride, guerre asimmetriche, guerre remote, si dice che l’intelligenza artificiale e gli sciami di droni renderanno inutili tutti i nostri arsenali perché la guerra è ormai cambiata. Ma la guerra è davvero cambiata? Ci stiamo veramente preparando – come al solito – a combattere la guerra scorsa?
Il progresso tecnologico ha sempre avuto un effetto sui campi di battaglia. Al tempo dei Romani ci si affrontava con la spada, nel Rinascimento con l’archibugio, oggi con i carri armati e i computer. Nondimeno questa evoluzione non ha alterato i fondamentali della guerra ma solo l’efficacia dell’azione. Si tratta sempre di piegare la volontà dell’avversario alla propria utilizzando la violenza organizzata, e di colpirlo là dove è più debole, concentrando le proprie forze e agendo a sorpresa. Armi e mezzi più sofisticati consentono solo di massimizzare i termini di questa equazione, non di alterarli. Nel contempo, occorre tener presenti altri condizionamenti. La tecnologia non è di per sé la chiave assoluta della vittoria. Le armi migliori del mondo non servono a nulla se il soldato che deve usarle le getta nel fosso. Da cui l’assoluta preminenza del fattore umano. Di conseguenza, fidarsi troppo della tecnologia può condurre alla rovina, laddove l’avversario risponda in modo asimmetrico. Nello stesso tempo, l’innamoramento per la tecnologia conduce a dimenticare la vera natura della guerra, a renderla asettica, quasi accettabile. Altro errore clamoroso, che conduce a sottovalutare la dimensione etica, morale e giuridica del fenomeno. Oggi, poi, gli avvenimenti ci mostrano un ritorno al passato. Forse prepararsi alla guerra passata non è così sbagliato come poteva apparire l’anno scorso. Quantomeno, bisogna esserci preparati.
Il diritto internazionale rifiuta l’uso della violenza come mezzo per la risoluzione delle controversie tra gli stati, e lo stesso fa la nostra Costituzione. È fatto salvo, ovviamente, il diritto di difendersi. Sembra tuttavia che le nostre società vadano anche più in là, rifiutando a priori l’idea della guerra e della difesa armata. Da che cosa nasce questo atteggiamento, e può effettivamente eliminare il pericolo della guerra dal novero delle cose umane?
Rifiutare l’uso della violenza per risolvere le controversie internazionali è più che legittimo. È doveroso sulla base della Carta dell’ONU. Occorre cercare sempre il negoziato. Tuttavia questo non ci deve condurre a escludere a priori la possibilità di uno scontro armato, ignorando cioè la natura del mondo che ci circonda. Mondo che è popolato da soggetti che fanno la guerra senza porsi troppe domande, o perché la ritengono necessaria o perché fa parte del loro modo di essere. Filosoficamente l’Occidente ha rifiutato la guerra a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, e ciò per una serie di ottime ragioni. Altrove questo non è avvenuto, e ne vediamo oggi le conseguenze. In realtà la guerra è un fenomeno sociale che non si può eliminare, perché è connaturato alla natura umana. In buona sostanza, quando non si riesce a far prevalere la propria opinione, si ricorre alla violenza per affermarla. Di conseguenza, non basta una dichiarazione di intenti per allontanare la guerra. Occorre essere pronti a farla. Questa è la miglior difesa.
Matteo Bressan è analista presso la NATO Defense College Foundation, coordinatore didattico e docente presso la SIOI, docente di Studi Strategici presso la LUMSA.
Giorgio Cuzzelli è un generale di brigata degli alpini in congedo. Insegna a Napoli all’Orientale e a Roma alla LUMSA, all’UNINT e alla SIOI.