
Quali furono le radici culturali dell’esperienza imprenditoriale di Enrico Mattei?
Certamente pesava la volontà di incidere nella modernizzazione di un paese la cui economia era ancora molto lontana dagli standard occidentali e risentiva di ampie zone di sottosviluppo. Ed era una volontà che, appunto, veniva dall’Università Cattolica, insieme all’esigenza di orientare la modernizzazione, grazie all’innesto delle scienze socio-economiche in un insieme ragionato e condiviso di principi sociali. Le radici culturali dell’esperienza imprenditoriale di Mattei sono individuabili nelle riflessioni che i docenti della Cattolica hanno sviluppato sin dagli anni Trenta, studiando forme di mercato alternative alla libera concorrenza, a partire dalla critica del liberismo e dei rischi connessi all’affermazione di monopoli e oligopoli. Per questi intellettuali, allo Stato spettava il compito di garantire la giustizia sociale, programmando l’attività economica anche come soggetto produttore di beni e servizi, con lo scopo di reperire gli strumenti necessari al funzionamento del sistema produttivo. La connessione tra economia ed etica, centrale nella scuola di Francesco Vito, indirizzava verso l’economia regolata e acuiva l’attenzione per le aree arretrate. Il mercato, per gli economisti della Cattolica, non andava eliminato, ma governato verso finalità che l’economia, scienza dei mezzi, deve mutuare dall’etica, cui spetta il compito di determinare i fini sociali. Del resto, l’evoluzione dell’economia moderna aveva dimostrato che lo Stato doveva vigilare per garantire l’esistenza dei soggetti più deboli, in nome dell’interesse generale. In questo percorso è inseribile il radiomessaggio di Pio XII del Natale del ’42, che ha sollecitato le riflessioni su quale tipo di ordinamento socio-economico fosse conforme ai principi cattolici. Il personalismo, che in Cattolica era arrivato attraverso Maritain, sembrava implicare, in ambito economico, l’equa ripartizione dei beni, la scomparsa di pericolose egemonie e la socializzazione delle risorse essenziali allo sviluppo. Era lo Stato, in questa prospettiva, a dover promuovere il bene comune, integrando l’iniziativa dei singoli nell’interesse della prosperità collettiva. L’elaborazione scientifica portata avanti in Università Cattolica veicolava, insomma, una visione della scienza economica non avulsa dagli interrogativi etici e dalle problematiche contemporanee, e dunque indirizzata a fornire strumenti teorici utili per guidare gli interventi di politica economica.
Quali caratteristiche ebbe la «politica estera» dell’Eni in Medio Oriente, Unione Sovietica e Africa?
L’Eni di Mattei si distingue per la capacità di interagire con realtà umane, sociali e politiche molto diverse, senza imporre un modello di rapporto fondato sul mero ‘risarcimento’, coltivando invece la collaborazione con le autorità locali per valorizzare le risorse naturali esistenti. Era una prospettiva guidata non solo da esigenze di mercato, ma dall’obiettivo di coltivare il ‘valore’ nazionale riscattandolo dalla subalternità economica. Intuendo le dinamiche del processo di decolonizzazione, Mattei è riuscito ad entrare nel gioco delle multinazionali dell’energia e, allo stesso tempo, a stimolare l’autonomia dei paesi con cui stringeva relazioni commerciali, emancipandoli da potentati economici stranieri e spezzando il monopolio di questi ultimi, con vantaggio sia dell’Italia, sia dei paesi emergenti. L’Eni di Mattei, dunque, ha collegato il benessere di mondi tanto diversi, le cui disparità rischiavano di mettere a repentaglio la pace appena raggiunta. Se la «politica estera» di Mattei in Unione Sovietica, pur mirando ad ottenere all’Italia forniture di petrolio a prezzi convenienti, partiva dalla convinzione che le relazioni economiche potessero porre le premesse di un dialogo politico che avrebbe migliorato la situazione religiosa sovietica (lo ha notato Paolo Valvo), in Medio Oriente l’incontro fra «Iran e ENI – come ha scritto Riccardo Redaelli –, grazie alla “formula Mattei”, assume un valore quasi epifanico, che trascende i meri interessi economici e commerciali, per creare un ponte di relazioni e contatti che si estenderà a ogni livello, da quello energetico a quello politico e culturale». Si tratta di «una politica coraggiosa e forse anche un poco spregiudicata, che fu considerata come oltraggiosa dalle cosiddette “sette sorelle” ma che frutterà grandi successi alla nostra compagnia petrolifera in tutto il Medio Oriente». Del resto il messaggio di Mattei, come rileva Bruna Bagnato, aveva una «prevalente dimensione politica», avviando «una rivoluzione dei rapporti tra Stati produttori e Stati consumatori». Anche in Africa Mattei si muove lungo queste coordinate, che presuppongono l’«attenzione alla crescita economica del partner» attraverso «norme contrattuali relative alla preparazione della manodopera locale», implicanti «l’impegno a aiutare le generazioni più giovani ad acquisire competenze specifiche per porsi efficacemente alla guida del loro paese» e «gli sforzi per facilitare la conoscenza e il dialogo fra le maestranze italiane e le collettività sociali che le accoglievano sul loro territorio». La diversità di lingua, cultura e storia emerge, nella prospettiva di Mattei, come una ricchezza per tutti, che può essere un incentivo importante per lo sviluppo economico e che può aiutarci, anche oggi, a fare i conti con i problemi dei paesi in via di sviluppo, da cui provengono i più importanti flussi migratori diretti verso l’Europa.
Quali erano i capisaldi della cultura d’impresa di Eni?
Vorrei sottolineare che la «formula Mattei» non significava solo una diversa ripartizione dei profitti, perché trasformava i paesi produttori in soggetti attivi, facendoli partecipare alla ricerca e all’estrazione dei giacimenti, con la condivisione – come ricorda Redaelli – di «tecnologie, metodologie, onori e oneri», elemento fondamentale per l’emancipazione da dipendenze coloniali. Tutto ciò, tuttavia, presupponeva un investimento sull’educazione e la formazione, individuate come condizioni dello sviluppo. È un elemento che mi sembra da rivalutare, specie in un momento difficile dal punto di vista della crescita economica, che ha dimostrato i limiti di un economicismo tecnicistico incapace di garantire la tenuta del sistema economico e la ricaduta in termini di vita ‘buona’ per i tanti esclusi dal benessere. La storia dell’Eni di Mattei dimostra che sono da coltivare quelle possibilità di crescita personale che costituiscono un vero e proprio incentivo per l’incremento dell’economia di un paese. Questo volume vuole appunto contribuire a riscoprire questa sorta di ‘giacimento’ valoriale, fatto di riferimenti civili e sociali importanti per la ripresa economica. Gli stessi problemi del continente africano, le cui ricadute sono ben percepibili nel nostro paese, andrebbero affrontati a partire da una visione ampia, capace di mettere in connessione le questioni geo-politiche non solo con l’economia e la distribuzione della ricchezza, ma anche con la cultura. La storia raccontata in questo libro sottolinea che l’educazione e la formazione sono via privilegiata al dialogo e al confronto, necessari per costruire un futuro migliore in paesi dilaniati da violenze che sembrano non finire. Il rapporto tra Eni e Università Cattolica, insomma, mette in luce la capacità di chi ne stato protagonista di rispondere alle esigenze di un passaggio storico davvero difficile e complesso: è un insegnamento prezioso in un tempo come il nostro, nel quale grandi cambiamenti di dimensione mondiale richiedono il coraggio di un impegno capace di rinnovata creatività, ma non privo di quella ispirazione ideale che è necessaria per costruire il bene comune.