
In che modo il panico si diffuse a Parigi e in Europa?
Le voci che nacquero alla fine di aprile non si spensero e anzi alimentarono un forte panico tra la popolazione, che dalla capitale si diffuse alle province e dalle province ad altri territori europei. Come facciamo a dirlo? Innanzitutto, le gazzette: le cronache sui giornali dell’epoca ci restituiscono le immagini di persone spaventate, che scapparono da Parigi e cercarono rifugio sui monti, sperando sarebbero stati risparmiati da un innalzamento delle maree, di donne in preda al panico e di cittadini che corsero dall’Arcivescovo a chiedere una veglia per assicurare le proprie anime al Paradiso. Poi abbiamo le corrispondenze private, che corrono lungo tutta Europa e ci testimoniano che del saggio lalandiano se ne parlò in Francia, ma anche in Italia, in particolare nel Regno di Napoli, e finanche nelle terre germaniche. Infine, non mancano componimenti poetici, racconti, epistole fittizie e testi teatrali, occasionati proprio dal terrore che aveva investito la capitale francese. Né vanno tralasciate le traduzioni delle Réflexions: tre in lingua italiana uscite a poca distanza l’una dall’altra nel Regno di Napoli (e una quarta a Venzia, ma nel 1778) e una in lingua tedesca stampata a Zurigo. La presenza di queste traduzioni ci segnala che l’interesse per lo scritto di Lalande non restò confinato alle fasce più colte della popolazione, capaci di destreggiarsi con il francese, lingua della scienza nel Settecento. La decisione degli stampatori di mettere sul mercato librario delle traduzioni rispondeva alla domanda di un pubblico eterogeneo, curioso di leggere il saggio lalandiano e di conoscerne il contenuto.
Quale dibattito si generò nella comunità scientifica sulla scia di Lalande?
Il saggio lalandiano e il panico che ne derivò sollecitarono una serie di dibattiti tra gli uomini di scienza e di lettere, che si concentrò su alcune, fondamentali questioni. Uno dei punti più discussi fu quello relativo all’innalzamento delle maree. Secondo Lalande, l’avvicinamento di una cometa sarebbe bastato per provocare un sensibile aumento del livello delle acque. Ma non tutti i suoi colleghi erano d’accordo: Dionis Du Séjour, per esempio, stese un trattato in cui confutava l’ipotesi del bressano, sostenendo che il veloce passaggio della cometa non sarebbe stato sufficiente ad esercitare una qualche forza attrattiva. Un secondo punto attorno al quale si sviluppò un acceso confronto fu la possibilità stessa di un impatto cosmico. Furono molti gli autori che sostennero che la Divina Provvidenza regolatrice mai avrebbe lasciato che due corpi celesti si scontrassero e che i moti dei pianeti e delle comete godevano di un’armonia immutabile. Altri passaggi chiave furono il valore della probabilità di un evento catastrofico, da alcuni ricalcolato, e la possibilità di prevedere un simile evento: non mancò chi argomentò che il ritorno periodico delle comete non era ancora stato provato e che di conseguenza ben poco si poteva dire circa i loro futuri passaggi.
Qual è l’importanza, per la storia del pensiero scientifico e della comunicazione della scienza, della vicenda di Lalande?
La vicenda di cui Lalande, e assieme a lui le Réflexions sur les comètes, fu protagonista rischia di sembrare un divertente aneddoto, che poco ha da dire dal punto di vista della rilevanza storica. Al contrario, si tratta di un episodio che porta con sé tematiche fondamentali e per la storia del pensiero scientifico e per la storia della comunicazione della scienza. Basti pensare ai dibattiti sollecitati dal saggio lalandiano, che aprono una dopo l’altra delle finestre su alcune delle questioni più importanti per gli uomini di scienza e di lettere dell’epoca: l’Universo era davvero governato dalla Provvidenza? Cosa si poteva dire delle catastrofi naturali e delle loro cause? L’uomo era in balia di una natura minacciosa e di un cosmo misterioso? Fino a dove poteva spingersi la capacità previsionale dell’astronomia, come si andava delineando dopo i contributi di Halley e Newton? Né si deve tralasciare quel nutrito corpus di riflessioni che inerisce alla sfera della comunicazione della scienza e, più in generale, del rapporto tra specialisti e profani e della mediazione del sapere. Un corpus che va dalle classiche costruzioni stereotipate circa le paure popolari, in cui sono soprattutto le donne che, come da topos, “fuggono spaventate”, e arriva però a considerazioni inedite di rilevante spessore. Innanzitutto, si ricordino le penne che intervengono sottolineando come le comete non terrorizzavano più nelle vesti di segni infausti del cielo, bensì di possibile causa fisica di una catastrofe: lo slittamento di questi corpi celesti da oggetti di pronostici e profezie a oggetti di calcoli previsionali dell’astronomia moderna è ben chiaro ai contemporanei di Lalande, che nello stesso tempo riescono a individuare un mutamento nell’origine delle paure dei profani. In secondo luogo, va tenuto presente che negli Atti dell’Académie des Sciences, così come in altre fonti, emerge una prima, fondamentale riflessione sulle modalità con cui sarebbe stato meglio comunicare il rischio. Lalande aveva parlato di una non impossibilità di uno scontro o avvicinamento tra le comete e la Terra: ma il valore probabilistico era così basso che, concludevano i consoci dell’istituzione parigina, meglio sarebbe stato dire, nel linguaggio ordinario, che tale evento era impossibile tout-court.
Duecento anni dopo, il dibattito è ancora aperto.