Crociata. Storia di un’ideologia dalla Rivoluzione francese a Bergoglio” di Daniele Menozzi

Prof. Daniele Menozzi, Lei è autore del libro “Crociata”. Storia di un’ideologia dalla Rivoluzione francese a Bergoglio edito da Carocci. Il richiamo alla crociata ha segnato i momenti nodali della storia contemporanea: quali mutamenti semantici ne hanno caratterizzato l’uso?
Crociata. Storia di un’ideologia dalla Rivoluzione francese a Bergoglio, Daniele MenozziIl richiamo alla crociata, che la cultura dei lumi e la Rivoluzione francese – cui si deve la dispersione del Sovrano Ordine di Malta, ultimo erede istituzionale delle spedizioni medievali in Terra Santa – sembravano aver confinato agli studi storici, riemerge prepotentemente nell’attualità politica alla fine del Settecento. Si delinea allora il progetto, elaborato da alcuni settori del mondo cattolico, di rispondere alla levata in massa degli eserciti napoleonici con una mobilitazione delle masse cattoliche da condurre secondo il modello della crociata medievale, allo scopo di respingere la secolarizzazione rivoluzionaria. Al fondo del progetto sta un transfert di sacralità: la difesa della Chiesa dalla modernità, che ne mette in pericolo la sopravvivenza stessa, assume in quel nuovo frangente storico l’assoluto valore religioso che nel Medioevo aveva la conquista del Santo Sepolcro. Per questo si afferma che, essendo la causa ugualmente santa (anzi per alcuni è più santa Roma di Gerusalemme) la morte in battaglia ha in entrambi i casi il medesimo esito: la salvezza eterna del caduto. Alla fine il papa non bandisce la crociata controrivoluzionaria che gli viene effettivamente proposta; ma nella cultura contemporanea si è ormai operato, nel riferirsi alla crociata, un trasferimento di sacralità dalla Terra Santa alle battaglie politiche o militari che si svolgono nel mondo moderno. In tal modo se ne può sottolineare l’assolutezza. La categoria verrà, ad esempio, applicata alla costruzione dell’unificazione nazionale italiana nella prima guerra d’indipendenza, all’affermazione dei valori (la civiltà) di cui ciascuna delle due parti in conflitto si dice portatrice nella Grande Guerra, alla guerra all’Unione sovietica promossa dalla Germania nazista, ecc. In età contemporanea insomma la crociata trasferisce la sacralizzazione della violenza dalla liberazione della Terra Santa a nuove realtà. Gli attori politici, ed in particolare gli stati e i movimenti totalitari, che mirano a sostituire al cristianesimo le nuove religioni della politica, saranno i protagonisti principali di questo processo.

In che modo la cultura cattolica si è fatta garante di una continuità della categoria?
La cultura cattolica vede nel papato l’unica autorità titolare del bando della crociata. Periodicamente – ad esempio per la difesa del potere temporale nel 1870, per l’operazione Barbarossa lanciata Hitler nel 1941, per il sostegno all’insurrezione ungherese nel 1956 – vengono sottoposte al papa richieste di benedire con il termine di crociata specifiche iniziative militari. Ma il papato contemporaneo rifiuta regolarmente di compiere un tale atto. Tuttavia accompagna questa decisione con due altre due operazioni. Da un lato si riserva il potere, quando le circostanze lo rendessero opportuno, di bandire la guerra santa: fino al pontificato di Giovanni Paolo II, che comincia un percorso destinato a togliere legittimazione religiosa al richiamo a Dio per giustificare la violenza bellica, la crociata è contemplata come una delle risorse cui l’autorità suprema della Chiesa può ricorrere per tutelare il tormentato cammino dei fedeli nella storia. Dall’altro lato il papato non esita a utilizzare la forza mobilitante legata al sintagma “crociata” per sollecitare iniziative sul piano spirituale (la crociata del rosario di Leone XIII), assistenziale (la crociata di carità di Pio XI), politico (la crociata sociale di Pio XII). Queste due operazioni si fondano su un sintetico e aprioristico giudizio positivo sulle crociate medievali, che prescinde da una loro reale storicizzazione. Proprio questo atteggiamento favorisce la circolazione nella cultura contemporanea – anche in quella secolarizzata – di un apprezzamento per la crociata che si traduce in un apprezzamento per la sacralizzazione della violenza. Occorre aggiungere che questa linea di continuità è stata spezzata da papa Francesco. Bergoglio ha a questo proposito compiuto diversi interventi. Mi limito a ricordare l’ìnvito ad evitare il ricorso al termine anche per iniziative puramente spirituali o missionarie, dal momento che ha implicazioni belliciste in contrasto con il messaggio di pace del Vangelo.

In che modo in queste vicende la politicizzazione del religioso si è intrecciata con la sacralizzazione del politico?
Nell’età contemporanea il termine “crociata” mantiene un valore performativo, in quanto comporta l’attribuzione di un valore sacrale all’obiettivo che si intende raggiungere: ne evoca infatti un’equiparazione alla conquista del Santo Sepolcro. Di qui il particolare valore che ad esso si attribuisce all’epoca della politica di massa: serve ad ottenere una larga mobilitazione popolare e impegna ad una dedizione totale per conseguire lo scopo prospettato. Si capisce dunque che questo vocabolo sia stato largamente utilizzato nelle campagne di propaganda politica: è una via per quella sacralizzazione del politico che, anche nell’età della secolarizzazione, conferisce a finalità mondane l’assolutezza del religioso. Si pensi solo all’uso che ne è stato fatto dai nazionalismi: la sostituzione della religione della patria al cristianesimo ha consentito di qualificare come martiri (e quindi destinati ad una vita eterna non più nei cieli, ma nella memoria dell’imperituro organismo nazionale) coloro che morivano sul campo di battaglia. Questo processo sottrae alla Chiesa – che ha elaborato il campo semantico della parola e che si è riservata la facoltà di gestire le pratiche sociali che ad essa rimandano – il controllo della crociata. Ma l’autorità ecclesiastica non assiste inerte alla spogliazione di una risorsa che ha storicamente messo in campo per i propri obiettivi. Non potendo più bandire spedizioni militari – per l’autonomia che lo Stato moderno rivendica – ricorre alla forza evocativa del termine per mobilitare i fedeli verso un obiettivo politico: in primo luogo la ricostruzione di quella società cristiana che la modernità ha fatto tramontare. Il ricorso al termine “crociata” diventa così una cartina di tornasole che consente di verificare un tratto caratteristico della cultura politica dell’età contemporanea: il circuito di alimentazione reciproca che si verifica tra la sacralizzazione del politico compiuto dalle religioni secolari e la politicizzazione del religioso attuata dalla Chiesa.

La guerra civile spagnola rappresenta un momento esemplare della sacralizzazione della violenza: il termine cruzada compare sin da subito nella propaganda franchista e anche nei documenti dell’episcopato spagnolo. Quali connotati assume in tale circostanza?
Tanto a Franco quanto ai settori dell’episcopato spagnolo – la lettera collettiva del luglio 1937 non ricorre al sostantivo, anche se vi si può cogliere un’indiretta allusione ad un parallelo con le spedizioni medievali – che qualificano la guerra civile come “cruzada”, si pone la questione di ottenere il consenso romano a questa definizione. Franco – che non manca di farsi ritrarre nelle vesti di un crociato medievale – ripetutamente affermerà che il suo impiego del termine è “autorizzato”. Ma né Pio XI né Pio XII – nonostante le pressioni esercitate dal governo spagnolo – non inseriscono mai nei loro pubblici interventi relativi alla guerra civile quel sostantivo. Ad esso invece fanno ampiamente riferimento non solo la stampa legata alla Santa sede come “La civiltà cattolica”, il periodico della Compagnia di Gesù in Italia considerato espressione degli indirizzi della Segretaria di Stato; ma anche il personale del servizio diplomatico del Vaticano, in particolare il nunzio accreditato a Madrid. Tuttavia, se Pio XI appare più riservato, nel pubblico insegnamento del successore, Pacelli, si registra l’inizio di un tortuoso cammino linguistico che, pur senza approdare al sintagma, giunge ad un’evidente legittimazione indiretta, ma non per questo meno reale, dell’interpretazione della guerra civile fornita dalla dittatura franchista.

Il richiamo alla “crociata” è recentemente riemerso nel dibattito politico e culturale dell’Occidente sul terrorismo islamista: in quali contesti è maturato il ricorso a tale categoria e quali ne sono le motivazioni sottese?
Nella seconda metà del Novecento si registra nell’uso comune una banalizzazione del richiamo alla crociata: viene impiegato per gli usi più pedestri, persino a scopi pubblicitari. Ma, all’inizio del nuovo millennio, ritrova cittadinanza nel vocabolario politico-militare. Il presidente americano Bush, all’indomani dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle, ha infatti presentato lo risposta statunitense al fondamentalismo islamico come una crociata. Dal momento che gli islamisti nella loro propaganda ricorrono continuamente allo stesso termine per definire il rapporto che l’Occidente intrattiene con islam, gli è stato fatto notare che in tal modo forniva la migliore giustificazione alle loro campagne ideologiche per raccogliere consenso contro l’Occidente nel mondo musulmano. In effetti Bin Laden ha ampiamente sfruttato quelle dichiarazioni per reclutare proseliti a Al- Qaeda. Bush ha poi corretto il tiro, ma durante la guerra in Afghanistan ha di nuovo fatto ricorso al sostantivo. D’altra parte diversi suoi collaboratori – persino il Segretario di Stato – hanno ripreso il termine per definire la politica americana in Medio Oriente, tanto che diversi analisti politici ricorrono ormai a questo sostantivo per qualificarla. Il rilancio americano della crociata ha trovato ascolto negli ambienti del tradizionalismo cattolico, per il quale la crociata costituisce una dimensione incancellabile della dottrina della Chiesa. Ai loro occhi la civiltà, forgiata dal cristianesimo, che ne ha definito l’identità, è messa sotto attacco non solo dalla violenza dell’islamismo radicale, ma dallo stesso mutare del panorama religioso dell’Occidente, dove le migrazioni hanno reso consistente la presenza musulmana. Di qui la loro insistenza per mantenere viva la memoria delle crociate medievali e di prepararsi in vista di riattivarle, quando, a loro giudizio inevitabilmente, diventerà necessario bandirle, per salvaguardare l’identità della civiltà europea e occidentale. Intanto a questa cultura fanno esplicitamente riferimento quei suprematisti bianchi di cui periodicamente le cronache riferiscono le stragi.

Daniele Menozzi è professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei. Studioso dei rapporti tra Chiesa e società in età contemporanea, è autore di diverse monografie, tra cui Chiesa, pace e guerra nel Novecento (Il Mulino, 2008); Chiesa e diritti umani (Il Mulino, 2012); «Giudaica perfidia». Uno stereotipo antisemita fra liturgia e storia (Il Mulino, 2014); Da Cristo Re alla città degli uomini (EDB, 2019).

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