“Critica della teoria dei diritti” di Roberto Bin

Prof. Roberto Bin, Lei è autore del libro Critica della teoria dei diritti edito da FrancoAngeli: siamo davvero pieni di diritti?
Critica della teoria dei diritti, Roberto BinO uno è libero di fare una cosa che desidera fare, e allora ha il diritto di farla, o non lo è, e allora il suo diritto di farla gli è negato. Siamo pieni di diritti? Siamo pieni di cose che vorremmo fare o non fare, pieni di desideri. Rivendicare un diritto significa che qualcuno ostacola la realizzazione del nostro desiderio. Siamo anche pieni di bisogni, cui comunque corrisponde anche un desiderio, il desiderio di uscirne, di liberarci, di soddisfarlo. Dire che siamo pieni di diritti – sottintendendo che siamo un po’ viziati – ci porta a non vedere la base di tutto: che sono la nostra libertà e il nostro desiderio di realizzare noi stessi. Che cosa ciò implichi non lo si può dire a priori, anzi nessuno ha il potere di dirlo per gli altri. Certo vivere in una società sviluppata come la nostra, ricca di risorse e di opportunità, non può che alimentare i desideri e anche i “bisogni”. Quindi alimenta anche i diritti rivendicati e quelli rivendicabili.

Per diventare un “diritto” i nostri desideri devono affrontare una dura lotta, superare tutti gli ostacoli e raggiungere un risultato: che è il riconoscimento “giuridico”, ossia la loro traduzione in una norma che affermi la tutela giuridica di quel diritto.

Che cos’è un diritto?
Il diritto è una pretesa avanzata dagli individui e dalla società e rivolta agli altri individui e alle istituzioni della società. È una rivendicazione che si afferma e trova riconoscimento nelle istituzioni e nel diritto. Non c’è diritto rivendicato con successo che non si trasformi in una norma giuridica che gli accordi riconoscimento: questo è l’obiettivo della rivendicazione. Ma la norma che accorda riconoscimento e tutela a un diritto ne fissa anche i limiti. Perché non esistono diritti assoluti, tutti i diritti nascono limitati, limitati dai diritti degli altri e da altri diritti che subiscono compressioni a causa dell’arrivo del nuovo intruso. Da qui nasce il problema del bilanciamento dei diritti.

Di chi è il compito di bilanciare i diritti?
Questo è il fondamentale compito del legislatore. È la legge che riconosce un diritto e definisce i limiti entro i quali può essere goduto e viene tutelato. Nella nostra cultura, e nella nostra costituzione, nessuna legge è ammessa se non è votata dal corpo politico che noi eleggiamo, il Parlamento. Fissare il punto di bilanciamento tra i diritti è infatti una scelta politica, il frutto di un lavoro di mediazione e compromesso tra valori, interessi, diritti diversi che non può sottrarsi al principio di legittimazione democratica.

Cosa afferma il principio della massima estensione dei diritti?
È un principio affermato in presenza di una situazione che si è venuta a creare negli ultimi decenni: una persona può rivendicare il proprio diritto davanti al giudice italiano; se la legge non gli offre una tutela sufficiente, può ricorrere alla Corte costituzionale, perché dichiari illegittimi i vincoli posti dalla legge; ma se questa via non gli dà il risultato sperato, può ricorrere anche alla Corte dei diritti dell’uomo (Strasburgo), che applica la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che è un trattato internazionale di cui l’Italia è parte da sempre; e poi ha anche la possibilità di ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Lussemburgo), se la questione riguarda il diritto europeo. Il principio di massima estensione vorrebbe che il diritto rivendicato debba essere applicato nel modo più favorevole, secondo il c.d maximum standard di protezione. Ma si tratta di un equivoco, perché dimentica che nessun diritto è privo di limiti, ma ognuno si scontra con altri diritti: se si riconosce una tutela più forte a un diritto, ciò vuol dire che un altro retrocede. Ed è quello che avviene ogni giorno. Se il paparazzo scatta foto che colgono l’attore in un momento di intimità, ne guadagna la libertà di informazione della stampa voyeurista, ma ne perde la privacy del fotografato; se io imprenditore privato sono protetto nella mia libertà di delocalizzare la mia impresa in uno Stato dove il lavoro costa pochissimo, il diritto dei lavoratori viene però sacrificato. La massima estensione di un diritto ha sempre una vittima sacrificale, di cui forse non ci importa parlare.

Esistono davvero i “nuovi diritti”?
Più che “nuovi” diritti esistono nuove possibilità, che ci sono offerte dal progresso scientifico e tecnologico. Non si nasce e non si muore più come una volta: tra analisi genetiche sull’embrione e sondini e intubamenti vari, tutto è cambiato. Per cui se la tecnologia crea nuove possibilità di concepire un figlio e prolunga la vita del malato terminale, si pone il problema di estendere la disciplina giuridica a queste nuove possibilità: nuove possibilità che vengono rivendicate (ecco i “nuovi” diritti a concepire un figlio in ogni modo, a controllare che il concepito sia sano ecc.), riconosciute talvolta, spesso regolate e limitate (si pensi al problema della libertà del paziente terminale di porre fine alla propria vita). Forse a qualcuno farà ridere questa affermazione, ma la nascita e la morte non sono concetti della medicina, ma definizioni fissate dal diritto. Oggi la nascita e la morte sono diventate questioni più complicate, rispetto alle quali la scienza medica offre strumenti che un tempo non esistevano, e quindi anche nuove richieste e nuovi diritti: ed è la legge a dover fissare la regola. In fondo, spesso, più che nuovi diritti, è la nostra vecchia libertà di autodeterminazione che si scontra con i limiti posti dal legislatore, nella sua funzione di “bilanciamento” con altri interessi, nel regolare l’uso delle nuove tecnologie. Il problema sta proprio qui: quali sono gli interessi in nome dei quali si limita la libertà? 

Cos’è la “tutela multilivello” e quali equivoci sorgono al riguardo?
La tutela multilivello è la premessa del discorso circa la massima estensione dei diritti di cui ho parlato poco sopra: e gli equivoci sono quelli che rendono insostenibile la teoria del maximum standard, cioè che possano esistere diritti la cui tutela si estende senza danno per altri diritti. È una deformazione ideologica, di nobili origini: chi si occupa di sanzioni penali, per esempio, è erede di una tradizione liberale tutta concentrata nella difesa dell’imputato e del condannato contro la “pretesa punitiva” dello Stato. È giusto che sia così, ma è una visione deformata, soprattutto quando la si applichi senza considerare che la “pretesa punitiva” dello Stato non è fine a sé stessa, ma è giustificata dal bisogno di tutti noi di sicurezza contro i reati e di certezza giuridica. Se accordare una prescrizione breve a chi compie un reato migliora la tutela dell’imputato, che ha il diritto di veder chiuso il “suo” processo in tempi ragionevoli, non indebolisce l’interesse collettivo a veder accertate e punite le responsabilità di chi compie un crimine? E se i criminali possono contare sulla inefficienza della macchina punitiva dello Stato, non è la nostra sicurezza a pagarne il prezzo? La “tutela multilivello” guarda solo ad una dimensione del problema, all’interesse di solo una parte del necessario bilanciamento, perseguendo il livello più elevato della sua tutela. E noi?

Che rapporto esiste tra diritti umani e diritti costituzionali?
I diritti costituzionali sono riconosciuti dal testo più importante del nostro ordinamento giuridico e sono invocabili e difendibili davanti ai giudici e alla Corte costituzionale. I diritti umani, se non sono inglobati nei diritti costituzionali, non hanno protezione nel nostro ordinamento; la loro protezione può essere ricercata in campo internazionale, ma ovviamente cambia radicalmente l’efficacia della tutela. In nome dei diritti umani si sono fatte guerre e effettuati bombardamenti, “umanitari” appunto; anche se qualche volta vi può essere qualche giudice internazionale (tipo la Corte di Strasburgo) che accorda una tutela che, comunque, dovrà essere lo Stato a concretizzare. Insomma, solo i diritti costituzionali hanno le garanzie accordate dallo Stato; i diritti umani solo molto raramente. Molte convenzioni sono al lavoro e molte carte sono prodotte, ma restano ancora molto lontane da un’applicazione effettiva nella tutela delle singole persone.

Come si articola il controllo internazionale sul rispetto dei diritti?
Mi verrebbe da dire che non si articola. Il controllo internazionale avviene nei rapporti tra Stati, rapporti che gli Stati vorrebbero mantenere in condizione di massima stabilità. Il principio è quello della non ingerenza negli affari interni. Può essere che gravi violazioni dei diritti umani dentro uno Stato provochino la preoccupazione degli altri Stati, perché lo destabilizzano: e giustifichino persino un intervento armato (quanti ne abbiamo visti!). Ma si deve trattare di casi molto eclatanti, di persecuzioni di massa, di genocidi, ecc., non di casi singoli di violazione, per quanto gravi. L’omicidio di Giulio Regeni non ha stimolato nessun controllo internazionale; lo scontro politico di questi giorni in Venezuela, sì: oltre alla fame, che pur dovrebbe essere considerata sempre incompatibile con i diritti umani (ma non lo è per chi chiede asilo politico, per esempio), in Venezuela c’è tanto petrolio. Ma il petrolio non è un valido motivo che giustifichi un intervento armato agli occhi dell’opinione pubblica, la violazione dei diritti sì.

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