
Tra il 1935 e il 1936 Levi era stato confinato dal regime fascista ad Aliano (nel libro, Gagliano), un piccolo paese dell’entroterra lucano. La residenza forzata in questo Sud remoto gli permette di scoprire una realtà, e un’umanità, del tutto differente da quella a cui era abituato nella Torino in cui viveva. Il paesino non solo è estremamente arretrato, ma anche devastato dalla povertà, accresciuta dalla malaria e provocata in primo luogo dalle condizioni in cui i contadini sono mantenuti dai proprietari terrieri.
Appena arrivato a Gagliano, Levi entra subito in contatto con i poveri contadini del posto. Essendo lui medico, viene chiamato per prestare assistenza a un uomo gravemente malato di malaria; l’uomo purtroppo è in fin di vita, e Levi non può far nulla per salvarlo, ma l’episodio lo introduce alla vita e agli abitanti del paese. Fa così la conoscenza degli altri due medici della zona, i Dottori Milillo e Gibilisco, ben poco competenti e tra loro rivali, e degli altri cittadini in vista: il parroco, Don Trajella, il podestà Professor Magalone Luigi (“Ma non è professore. È il maestro delle scuole elementari, ma il suo compito principale è quello di sorvegliare i confinati”, specifica l’autore) e sua sorella Caterina. Si tratta degli uomini benestanti, che hanno avuto l’opportunità di studiare e, in alcuni casi, grazie anche all’emigrazione in America, hanno accumulato discrete ricchezze. Costoro si ritrovano ogni sera nella piazzetta del paese: “Essi passeggiano qui ogni sera, si fermano a sedere sul muretto, e, voltando la schiena all’ultimo sole, aspettano il fresco accendendo le loro sigarette economiche. Dall’altra parte, addossati alle case, stanno i contadini, tornati dai campi, e non sentono le loro voci.”
Sono i contadini a formare la gran massa degli abitanti, e Levi impara poco per volta a conoscerli grazie alla sua attività di medico (benché gli altri due dottori lo considerino una minaccia per il loro prestigio, infatti, lo scrittore continua comunque ad esercitare). Nel loro mondo, fatto di fatica, sembra che anche il cristianesimo e i suoi valori non siano arrivati. Il “Cristo si è fermato a Eboli” del titolo fa proprio riferimento a questo aspetto, come a sottolineare l’abbandono di Gagliano, così totale che nemmeno Gesù l’ha voluta raggiungere, fermandosi nell’ultima città toccata dalla ferrovia – Eboli appunto – e quindi dalla civiltà.
Sembra che nemmeno il regime fascista, pur così pervasivo, sia stato in grado di intaccare più di tanto quel paese così remoto: mentre i signori sono iscritti al partito, nessuno dei contadini lo è, e tantomeno sono toccati dal patriottismo di regime o si interessano alla guerra di Abissinia.
“Per i contadini, lo Stato è più lontano del cielo, perché sta sempre dall’altra parte. Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi. I contadini non li capiscono […]. La sola possibile difesa contro lo Stato e contro la propaganda è la rassegnazione, la stessa cupa rassegnazione, senza speranza di paradiso, che curva le loro schiene sotto i mali della natura”.
Tutta la loro vita è incentrata sulla lotta alla sopravvivenza – il lavoro nei campi, la lotta contro la malaria – e il loro bagaglio di credenze è ancora quello legato ai miti e alle leggende paesane. La magia fa parte della realtà di tutti, e vi si ricorre per alleviare le sofferenze e cercare di sfuggire al proprio destino. È Giulia, la donna che si occupa della casa di Levi, considerata una “strega”, a introdurlo in questo mondo.
Benché in parte impegnato nella sua attività di cura dei malati, col passare del tempo il confino diventa sempre più duro da tollerare per lo scrittore, che cerca di fuggire alla monotonia del paese dipingendo e facendo lunghe passeggiate con il suo cane, Barone. A peggiorare la situazione concorre un divieto, da parte della questura, a esercitare la professione di medico. Per colpa di tale divieto, e delle lungaggini burocratiche ad esso connesse, Levi non riesce a prestare assistenza in tempo a un contadino, che quindi muore. Ciò scatena una rivolta tra i contadini, sedata solo grazie all’intercessione di Levi stesso.
Quando finalmente viene autorizzato a ritornare a Torino, anche se per pochi giorni, Levi parte pensando di trovare finalmente un po’ della civiltà da troppo tempo perduta. Eppure proprio il contatto con gli amici gli fa comprendere come il suo confino lo abbia profondamente cambiato, tanto che le chiacchiere gli sembrano insulse e amici e parenti distaccati.
Ritornato a Gagliano trova la situazione un po’ cambiata: Giulia è sparita e il parroco, Don Trajella, che si era fatto sorprendere ubriaco la sera di Natale, è stato sostituito da Don Liguari.
Qualche tempo dopo a Levi viene finalmente concesso di lasciare il confino e, nonostante quanto promesso ai contadini, molto amareggiati per la sua partenza, non fa più ritorno a Gagliano.
“Cristo si è fermato a Eboli” è un libro che descrive un mondo che, per quanto sembri lontano, ha rappresentato la realtà di molti villaggi nel sud del nostro Paese. Ma è anche un racconto molto intimo, della crescita e dei cambiamenti di un uomo che è stato uno dei più profondi intellettuali italiani.
Silvia Maina