
Molte, come del resto è sempre successo. Oggi, ciò che io e Azzurra abbiamo cercato di dire nel nostro libro, è la velocità e l’instabilità che caratterizza il diverso modo di attendere o programmare il futuro. Pensiamo a quel capolavoro che è stato Realismo capitalista di Mark Fisher, in italiano recentemente dato alle stampe da Not grazie a Valerio Mattioli: la tesi di fondo era che tutta una serie di meccanismi ordinari, dal precariato alla liquidità, essenzialmente non consentano di immaginare qualsiasi tipo di futuro che non sia quello più prossimo avvilito da preoccupazioni di ogni tipo. La nostra tesi, confermando di fatto l’analisi di Fisher, è però che esistono molti modi concettuali e politici dati da questa congiuntura tutta speciale tra filosofia e architettura attraverso cui possiamo ricominciare a immaginare un “dopo”. Ovviamente queste trasformazioni sono già raccontate dal sottotitolo e riguardano essenzialmente come si muoveranno gli uomini e che scenario stanno realmente raccontando le migrazioni, noi per esempio pensiamo saranno una grande risorsa che per adesso siamo costretti a veder trattata come una emergenza. Lo stesso vale per il ruolo delle città, che cambieranno e costituiranno la larga parte del mondo, e infine più in generale che tipo di specie diventeremo; io l’ho chiamata “postumano contemporaneo” (in un libro precedente, Fragile umanità, Einaudi), nel momento in cui la crisi ambientale metterà in crisi la nostra sopravvivenza costringendoci a nuovi modi di pensare, mangiare, costruire… vivere.
Come evolveranno a Suo avviso temi caldi del presente quali migrazioni e vivibilità delle metropoli?
Dobbiamo rassegnarci al fatto che le politiche di chiusura nazionaliste che oggi sembrano tornate di moda sono in realtà l’ultimo colpo di cosa di un mondo che, almeno per me e Azzurra fortunatamente, non esiste più. Le camicie nere di oggi non sono neanche più ridicole, sono zombie. Andremo sempre più verso una rinnovata alleanza tra esseri umani di ogni etnia e genere perché la sfida è comune: l’ambiente sta collassando e lo spazio va reinventato prima che sia troppo tardi. Ovviamente se è vero che le metropoli andranno a ricoprire nel giro di cento anni quasi tutta la fascia abitata da umani su questo pianeta allora è necessario capire come riportare a livelli meno problematici inquinamento, ripensare i rapporti di produzione alimentare mettendo in discussione il modello animale, agire immediatamente su una riduzione dei volumi minerali in favore di quelli vegetali. Anche di questo si occupa lo studio Waiting Posthuman che coordino insieme ad Azzurra e all’artista Laura Cionci con un tema di architetti, artisti, registi, filosofi e curatori. Oggi siamo abituati a pensare il migrante come colui che muove da A verso B, noi crediamo che invece il nomadismo in sé sia non tanto la soluzione ma lo scenario ovvio che attende tutti e per cui dobbiamo iniziare a progettare nuovi oggetti, progetti, spazi: il futuro è un cantiere apertissimo.
In che modo l’immaginazione può agire come motore di cambiamento?
Immaginare significa “farsi un’immagine”. È fondamentale comprendere che il mondo che vediamo è solo uno dei molti modi in cui questo stesso mondo potrebbe stare: l’immagine nuova prende il posto di quella attuale, attende di essere verificata, innesca infine un cambiamento più o meno conseguente a un progetto. Mentre la politica ordinaria ci mette davanti a scenari mortiferi intellettualmente, per di più quasi tutti equivalenti, c’è una politica non ordinaria, quella che si è sempre incaricata di cambiare davvero le cose, che agisce nei collaterali: arte, architettura, filosofia. Se non venissero elaborate nuove e visionarie immagini del mondo il cambiamento semplicemente sarebbe impossibile.
In che modo maestri come Stefano Boeri, Amos Gitai e Adrian Paci possono ispirare il cambiamento?
Io e Azzurra abbiamo preso tre persone che sono, per tornare al tema precedente, tre immagini di mondo nuovo per l’ecologia e l’architettura, per l’arte e per la migrazione, per il cinema e l’immaginazione. I lavori di Paci sulla possibilità o impossibilità di migrare, quelli di Boeri sui boschi in città come soluzione possibile alle emissioni di co2, o quelli di Gitai sulla convivenza inter-religiosa nei suoi film straordinari, rappresentano tutti visioni alternative agli stati di cose ordinari ma immediatamente attualizzabili (pensiamo al Bosco Verticale a Milano ma anche al modello di convivenza che è l’ArtHouse a Scutari diretta da Paci). Allora il libro è una specie di mappa che alterna argomentazione a immagini, storie a progetti: un non-manifesto di come attraverso esempi concreti e teorie visionarie e davvero possibile non più solo immaginare ma costruire un futuro diverso. Con Stefano, Adrian e Amos io e Azzurra abbiamo lavorato in vari modi e crediamo anche che il primo passo sia dare una mano a chi si è impegnato per elaborare nuovi modelli di vita nel realizzarli davvero.