“Costruire, abitare, pensare. Sabbioneta e Charleville città ideali dei Gonzaga” a cura di Paolo Bertelli

Dott. Paolo Bertelli, Lei ha curato l’edizione del libro Costruire, abitare, pensare. Sabbioneta e Charleville città ideali dei Gonzaga edito dalla casa editrice mantovana Universitas Studiorum: quando e come nasce e si sviluppa il tema della città ideale?
Costruire, abitare, pensare. Sabbioneta e Charleville città ideali dei Gonzaga, Paolo BertelliVa anzitutto detto che il titolo è una ripresa da Martin Heidegger alla quale si accosta il concetto di città ideale, anche declinato nei due esempi di riferimento, ovvero quelli di Sabbioneta e Charleville. Due città “ideali” fondate dai Gonzaga e che tuttora possono essere indicate tra gli esempi di città di fondazione meglio conservati a livello europeo. Il volume è a tutti gli effetti il catalogo dell’omonima mostra, da me curata insieme a Peter Assmann, direttore del Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova, con Gianfranco Ferlisi, che nello stesso museo è funzionario storico dell’arte. Si tratta di un’opera piuttosto consistente (oltre venti saggi ed una novantina di schede, quasi cinquecento pagine frutto di un lavoro congiunto di una trentina di autori, italiani, francesi e spagnoli) che cerca di esplorare, con opportune sonde metodologiche, un tema capitale e ampiamente approfondito, declinato però secondo una nuova narrazione. Anzitutto il leit motiv: la città ideale. Si tratta di un concetto straordinariamente importante per la storia del pensiero e che ha lasciato testimonianze cogenti nell’architettura (ovviamente), nelle arti visive e nella letteratura. In estrema e parzialissima sintesi occorre pensare all’atto maieutico dell’edificazione di un centro urbano, e alla sua realizzazione (con evidenti effetti dal punto di vista formale) secondo principi di razionalità, fruibilità, vivibilità, difesa militare, del “ben vivere”… come concretizzazione di un presupposto razionale, scientifico, utopico e ideale. Affonda le sue radici nell’antichità, ma ha una stagione di enorme sviluppo con il Rinascimento (la rinascita, appunto), con la scoperta dell’antico, del mito della classicità greca e romana intesa come unico momento in cui l’umanità ha potuto osservare direttamente il bello, con la valorizzazione dell’archeologia e con la codificazione di quanto sopravviveva del mondo degli antichi. Non a caso la scelta è stata quella di porre a confronto un dipinto splendido, quale La città ideale della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, con un testo assolutamente significativo, ovvero l’Utopia di Tommaso Moro e con una serie di volumi di architettura (Alberti, Vitruvio, Palladio…), codificazione del passato e strumento per l’edificazione del futuro. Una ricerca però che non si ferma al Rinascimento, ma che si intesse, come accennato, alle vicende di due centri urbani realizzati sostanzialmente ex novo nel giro di un cinquantennio da due figure emblematiche quali Vespasiano Gonzaga, signore di Sabbioneta, e Carlo I Gonzaga Nevers, duca di Nevers, Rethel, poi anche di Mantova e del Monferrato, e fondatore di Charleville, in Francia, per giungere, infine, ai nostri giorni. Per quanto riguarda la contemporaneità, infatti, sono diversi gli esempi, da Brasilia a Chandigar, dalla Città spaziale di Yona Friedman alla Città analoga di Aldo Rossi, con uno sguardo anche alla rappresentazione della città, appunto, nella cinematografia (e qui è interessante notare come ad una visione “ideale”, anzi “utopica” – come si riscontra nel costruito – si sostituisca quella “distopica”, della metropoli sovrappopolata, inquinata e piovosa, alla Blade runner tanto per intenderci, “incarnazione” delle paure dell’animo umano nei confronti del futuro). La mostra, della quale il volume costituisce anche il catalogo, prende le mosse da un progetto “antico” dedicato alla città di Sabbioneta. Nel 2016 il direttore Assmann ed io ci trovavamo a Parigi, per intessere rapporti saldi con il Museo del Louvre in vista della grande mostra su Giulio Romano del 2019. Proprio davanti alla Sainte-Chapelle, al tramonto di una giornata intensa, di fronte all’esigenza di rendere la mostra ancor più grande e robusta, ecco l’idea di porre in relazione Sabbioneta con Charleville: due città di fondazione, “ideali”, ancora ben leggibili nonostante l’operato del tempo e dell’uomo, entrambe fondate dai Gonzaga ad una cinquantina d’anni di distanza l’una dall’altra. Fortunatamente da tempo i rapporti con il Museo delle Ardenne, diretto da Carole Marquet-Morelle, si erano consolidati su una buona base di amicizia e fiducia reciproca. Da questo spunto il progetto ha preso vita non senza obiettivi ambiziosi. La sezione dedicata alla città ideale nel Rinascimento ha visto esposta la Città ideale di Urbino, direttamente in relazione, nella sede espositiva, con la Camera Picta di Mantegna: due capolavori presenti in tutti i libri di storia dell’arte del mondo. Quindi due approfondimenti legati alle città ideali dei Gonzaga: Sabbioneta e Charleville. Infine una sezione, curata dal Politecnico di Milano, volta alla comprensione del concetto di città ideale nella contemporaneità. Una mostra che ha visto importanti contributi da numerosi musei italiani ed europei (basti menzionare gli Uffizi di Firenze, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Biblioteca Nazionale di Napoli, la Classense di Ravenna, i musei di Modena e di Como, il Museo delle Ardenne di Charleville…), l’apporto scientifico di numerose università (dal Politecnico di Milano agli atenei di Verona e di Lleida). E che ha visto investimenti non secondari per il recupero di opere d’arte (proprio per non dimenticare l’articolo 9 della costituzione e il famoso passo da Mostre e Musei di Roberto Longhi). Menziono, almeno, la ricostruzione dei camerini isabelliani nell’aspetto dato da Carlo I Gonzaga Nevers, utilizzando parte delle copie degli ambienti cinquecenteschi di Isabella d’Este (realizzate nel 1911 per una mostra di Roma) sulle quali sono state poste parti lignee dorate e dipinti originali del Seicento. Un colpo d’occhio emozionante che sarebbe bello far diventare stabile, con una ricostruzione completa di tali spazi. Se qualche sponsor poi volesse darci una mano, saremmo ben lieti di condividere questo importante progetto.

In che modo si sviluppano gli esperimenti gonzagheschi di Sabbioneta e Charleville?
Si tratta di esperimenti straordinari, in quanto capaci di creare città nuove dal nulla, o comunque da piccoli borghi che nulla avevano a che fare con gli impianti moderni, razionali e monumentali che hanno visto la luce intorno nella seconda metà del Cinquecento. Sarebbero da annoverare anche alcuni altri esempi, oltre a Sabbioneta e Charleville. Valga per tutti un’altra città gonzaghesca, Guastalla, che con Ferrante Gonzaga ebbe uno sviluppo e un rinnovamento profondo. Purtroppo il tempo e gli uomini sono stati meno clementi nei suoi confronti. Appare comunque interessante notare che i Gonzaga della linea principale, avendo come capitale del proprio Stato, una città antica e indubbiamente bella quale Mantova, mirarono soprattutto a regolarizzarne le forme e ad arricchirne l’aspetto monumentale. I rami cadetti, invece, in diversi casi vollero avere una capitale che fosse una città di fondazione, moderna e pesantemente difesa. Pensiamo alle grandi cinte murarie bastionate, capaci di resistere alle artiglierie nemiche ma anche segno di bellezza, quasi stelle calate nella pianura. Fortunatamente le città di Sabbioneta e Charleville sono giunte ai nostri giorni sostanzialmente intatte, o comunque non pesantemente obliterate dagli eventi storici. Il primo riferimento è quello di Sabbioneta, città voluta da Vespasiano Gonzaga. Una figura eccezionale, la sua: militare, viceré di Valencia, Navarra e Guipuzcoa, uomo coltissimo, proprietario tra l’altro di un’ingente biblioteca e poi “vittima” della “leyenda negra” secondo la quale avrebbe ucciso il figlio maschio, unico erede, in un eccesso di rabbia. Tradizione popolare fortunatamente sfatata dall’esame delle ossa dello sfortunato giovane. Benché spesso in viaggio o temporaneamente residente lontano da Sabbioneta, Vespasiano volle, a partire dal 1554, l’edificazione di una nuova città laddove sorgeva una rocca appartenuta al nonno e un piccolo borgo. Grazie ai suggerimenti del novarese Girolamo Cattaneo, del Giunti, del Dattaro e di altri maestri e architetti la sua esperienza militare venne tradotta in realtà: una grande città murata e bastionata, alla quale si accede per due porte. All’interno le vie quasi parallele creano cannocchiali prospettici e fughe, delimitando trentuno isolati. All’interno gli edifici vengono innalzati con un impianto razionale e solenne: basti ricordare il Palazzo Ducale, il Palazzo Giardino con la lunghissima Galleria degli Antichi, il Teatro all’Antica progettato da Vincenzo Scamozzi, che segue l’Olimpico di Vicenza, primo edificio teatrale d’epoca moderna costruito appositamente per tale funzione. E poi le chiese dell’Assunta, dell’Incoronata, la sinagoga e molti altri palazzi parte abitativi parte sedi di uffici. Il parallelo è stato immediato con un altro simile esperimento, effettuato circa cinquant’anni dopo. In Francia i Gonzaga erano proprietari di territori davvero enormi: dal ducato di Nevers a quello di Rethel, più molti altri di ridotte dimensioni o il cui possesso fu temporaneo (basti pensare ai ducati di Aiguillon o di Mayenne). Uno dei signori più importanti e ricchi di tutta la Francia nel tardo Cinquecento e nel primo Seicento fu Carlo Gonzaga Nevers, ovviamente del ramo d’oltralpe della famiglia mantovana. Un sovrano colto e attento, che volle per i suoi territori una capitale nuova, moderna e ben difesa: Charleville, ovvero “la città di Carlo”. Una novità anche per la Francia: una città difesa da un’ansa della Mosa, bastionata, impostata su una grande piazza centrale circondata da altre laterali, tutte munite di edifici religiosi, uffici e realtà abitative. E nel tessuto urbano alcuni episodi, quali il Vieux Moulin d’epoca gonzaghesca, enorme e monumentale, ora museo dedicato ad Arthur Rimbaud. Carlo (che per noi italiani è ricordato con l’ordinale “primo”) Gonzaga Nevers era anche fervente cattolico e la sua città divenne sostanzialmente bastione della riforma cattolica che doveva fronteggiare in qualche modo la protestante Sedan. Né va passato sotto silenzio il significativo contributo dell’architetto Clément II Métezeau, fratello di Louis Métezeau. A lui si deve la Place Ducale, edificata a partire dal 1606 e che ha una sorella a Parigi: la simillima Place des Vosges, nata l’anno successivo, su progetto di Louis. Insomma: a due Gonzaga si devono due tra i più interessanti esperimenti di creazione di una città di fondazione in età moderna. Due “città ideali”, se si vuole.

Qual è il valore storico, urbanistico e politico della costruzione delle città ideali dei Gonzaga?
Come già accennato queste testimonianze sono eccellenti e non solo per la loro realizzazione e per come sono sopravvissute al tempo e agli uomini. Si tratta di grandi esperimenti che sono durati sostanzialmente la vita di un uomo, e che in qualche modo si sono cristallizzati in una forma ben definita e che non ha subito eccessive distruzioni o mutamenti. E che incarnano un apporto significativo di pensiero, filosofia, trattatistica, tutto condensato nei mesi di progetto e negli anni della costruzione. Del valore urbanistico e artistico delle due città di Sabbioneta e Charleville si è già trattato, seppur velocemente, anche se, di fatto, la committenza artistica deve essere considerata un tutt’uno con l’edificazione della città. Pensiamo ad esempio alla statua che Vespasiano Gonzaga si fa plasmare da Leone Leoni, già nella piazza antistante al Palazzo Ducale ed ora posta al di sopra della sua tomba nella chiesa dell’Incoronata, o a quell’antica scultura di Minerva (divinità quanto mai emblematica) collocata al di sopra di un’alta colonna nel centro della cittadina. Ma il valore simbolico di queste imprese è straordinario. Pensiamo a Sabbioneta, a Charleville, alla Guastalla di Ferrante Gonzaga: città sostanzialmente nuove, pesantemente fortificate, eppure con un ampio respiro del bello, modernissime a differenza delle vicine città storiche. Un biglietto da visita, anche politico, di grandissimo peso. È sufficiente richiamare alla mente quanto questi tre personaggi siano stati importanti, rispettivamente nella corte di Filippo II (dal quale Vespasiano fu nominato grande di Spagna e ricevette l’onorificenza del Toson d’Oro), in quella di Francia e presso l’imperatore Carlo V. E, almeno nei casi di Sabbioneta e Guastalla, tale fasto ideale da un lato andava di pari passo con la dignità personale, politica e militare del signore, dall’altro faceva da contrappunto alla ridottissima superficie dei rispettivi Stati, che erano – nonostante abbiano assunto l’altisonante titolo di ducato – poco più che città Stato. Insomma: personaggi coltissimi, potenti, militarmente abili e con rapporti intensissimi presso le massime autorità europee hanno saputo fare della loro dimora una sorta di città, e della loro città uno Stato. Una bandiera di modernità e di cultura, di riferimento all’antico e di progettazione avanzata che non solo costituiva una declinazione reale del concetto di città ideale, non soltanto concretizzava il valore del ben vivere e dell’abitare, ma innalzava la dignità dei fondatori a figure mitiche, veri riferimenti cui guardare anche da parte di re e imperatori, superando a tutti gli effetti anche figure al vertice di territori ben più grandi, ma il cui spessore culturale risultava a tutti gli effetti inferiore.

In che relazione con il tema della città ideale si pone la Cittadella di Casale Monferrato?
L’approfondimento legato a Casale Monferrato nasce dalla vicinanza storica con Mantova e con i Gonzaga. Dagli anni Trenta del Cinquecento, infatti, col matrimonio tra Federico II Gonzaga e Margherita Paleologo, lo Stato del Monferrato passò nelle mani della casa dei signori di Mantova, ampliando in maniera assai significativa la superficie dei dominî gonzagheschi. Il Monferrato era un territorio ricco e strategico: basti pensare al controllo che poteva esercitare sul Po o sulle vie di comunicazione che da Genova si addentravano nel nord dell’Europa, verso le Fiandre. Era inoltre uno Stato che non presentava soluzione di continuità con il Mantovano, stretto peraltro tra la Lombardia spagnola e i territori sabaudi. Proprio quest’ultima famiglia, che all’epoca non poteva competere con i Gonzaga per raffinatezza culturale e importanza politica, stava sempre più spostando il baricentro dei propri interessi nell’Italia del nord, cercando di inglobare ed erodere altri Stati sovrani. L’interesse che i Savoia e le grandi potenze europee ebbero verso il Monferrato fu ingentissimo, e basti qui soltanto ricordare le diverse guerre per il possesso dell’antico marchesato dei Paleologo, poi ducato sotto i Gonzaga, e i tentativi di vendita che i Gonzaga Nevers cercarono di esperire nei confronti della Francia. Senza dimenticare i fatti della guerra di successione di Mantova e del Monferrato, narrati in maniera affascinante e suggestiva, ad esempio, da Manzoni nei Promessi Sposi e da Eco ne L’isola del giorno prima, tanto per ricordarne alcuni. L’esigenza di aumentare la capacità difensiva (ma anche offensiva) della capitale del Monferrato, Casale, sorse sotto il ducato di Vincenzo I Gonzaga, “duca splendidissimo”, riferimento ed esempio imprescindibile tra Cinque e Seicento per la sua politica culturale, la committenza artistica, le gesta più o meno reali di valore militare, e la sua vicinanza all’imperatore, che gli fece meritare il trattamento regio e la concessione del Toson d’Oro. Fu un’impresa di portata europea, costata più di un milione di ducati d’oro. Una somma favolosa che permise l’edificazione di una piazzaforte che non aveva sostanzialmente pari, anche a livello continentale. Un deterrente, se si vuole, che paradossalmente rendeva Casale e il Monferrato da un lato quasi imprendibili, dall’altro ancor più appetibili. La cittadella poté dirsi edificata nel 1595, su progetto di Germanico Savorgnan, e fu demolita nel 1695, in meno di due mesi, alla resa del contingente francese che l’aveva occupata. La struttura era enorme e capace di ospitare fino a 6000 uomini, rispondendo a tutte le caratteristiche indicate dalla trattatistica militare dell’epoca. Si sviluppava su trentacinque ettari di superficie e risultava sostanzialmente imprendibile, controllando un ampio territorio e potendo ospitare una degna guarnigione con i rispettivi magazzini. Al di là del dato storico è possibile riscontrare alcune istanze comuni tra la città ideale e le cittadelle: regolarità dell’impianto, efficienza, e vari aspetti formali. Ma occorre anche porre un limite: la cittadella, infatti, non è un luogo dell’abitare quotidiano, con tutti i limiti che questo comporta. È pur vero che città come Palmanova – la grande città fortificata in provincia di Udine che fu ideata da Giulio Savorgnan, zio di Germanico, progettista della cittadella di Casale – sono contemporaneamente fortezze e centri abitati ma si tratta di casi singolari. Il riferimento alla cittadella di Casale come “città ideale” va dunque considerato come una riflessione e una ricerca di similitudini e di punti di contatto, ma non vi può essere una sovrapposizione totale. D’altra parte la menzione era d’obbligo, sia come esempio eccellente dell’architettura militare in epoca moderna, sia in quanto la città di Casale ha progettato, per la primavera 2018, una mostra sull’immagine della città il cui riflesso si riversa proprio all’interno delle pagine del presente volume. Mi piace concludere questo viaggio ricordando come i Gonzaga, per le complesse vicende storiche che li hanno visti protagonisti, siano davvero una dinastia europea. Parlare di loro significa approfondire e narrare la storia politica, religiosa e culturale dell’intero continente, e ai massimi livelli, in età moderna. Anche come Palazzo Ducale di Mantova, museo autonomo tra i venti dello Stato italiano, uno dei nostri obiettivi è quello di approfondire il rapporto tra i Gonzaga e l’Europa: dalla Spagna all’Austria, dalla Francia alla Polonia. Un modo di guardare al futuro e di costruire ponti considerando il proprio passato e i legami storici che hanno fatto di Mantova una capitale a livello continentale.

Paolo Bertelli (storico dell’arte, Università degli Studi di Verona, Comitato Scientifico del Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova) è curatore della mostra e del catalogo Costruire, pensare, abitare. Sabbioneta e Charleville città ideali dei Gonzaga a cura di Peter Assmann e Paolo Bertelli, con Gianfranco Ferlisi, catalogo Universitas Studiorum (Mantova)
Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova Castello di San Giorgio, 21 ottobre 2017 – 2 aprile 2018
Mostra realizzata in collaborazione con Politecnico di Milano – Polo territoriale di Mantova

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