
Ma in nessuno dei due contesti nazionali, dopo la guerra, si decide di tornare ai sistemi politici che avevano preceduto le rispettive dittature: si apre, al contrario, un processo costituente volto a rinnovare le basi del costituzionalismo, ampliando il catalogo delle libertà, valorizzando i diritti sociali e introducendo importanti innovazioni istituzionali. Inoltre, in tutte e due le nazioni – in cui avviene finalmente il passaggio al suffragio universale con il riconoscimento del diritto di voto alle donne – si apre l’era dei partiti di massa, e nella scrittura delle rispettive Costituzioni troviamo come principali protagoniste le stessi correnti politiche: la Democrazia Cristiana (che in Francia prende il nome di Mouvement républicain populaire), il Partito socialista e il Partito comunista. Questi tre partiti ottengono, nell’insieme, circa il 75% dei voti sia in Francia sia in Italia: è un cambiamento epocale rispetto al passato pre-dittatoriale. Diversi peraltro sono i rapporti di forza tra queste correnti: in Francia la sinistra è più forte e nell’Assemblea costituente eletta il 21 ottobre 1945 consegue la maggioranza assoluta.
Quali vicende segnarono la nascita della Costituzione francese del 1946?
Le principali componenti che avevano animato la Resistenza francese si trovarono sostanzialmente unite, dopo la liberazione, nell’avviare un ampio programma di modernizzazione e di riforma sociale, all’insegna di un maggiore interventismo dello Stato. Furono attuate diverse nazionalizzazioni, fu avviata la programmazione economica sotto la guida di Jean Monnet (inventore qualche anno dopo del metodo comunitario per l’integrazione europea), si introdussero forme di consultazione dei lavoratori all’interno delle imprese, fu creato il sistema di sicurezza sociale. Ma nell’affrontare l’elaborazione della nuova Costituzione, questa unità si infranse. Ci fu dapprima la rottura tra il generale de Gaulle e i tre partiti di massa, poi quella tra i due partiti della sinistra e il Mouvement républicain populaire. Socialisti e comunisti approvarono da soli un progetto di Costituzione che fu però bocciato nel referendum di ratifica. Fu necessario così eleggere una seconda Assemblea costituente, nella quale si riassorbì la frattura tra la sinistra e il MRP, ma non quella con il generale de Gaulle, che invitò a votare contro il testo costituzionale al nuovo referendum confermativo. La Costituzione alla fine approvata risultò indebolita da tutti questi scontri. Essa contenne novità molto importanti rispetto alla Costituzione (o per meglio dire alle tre Leggi costituzionali) della Terza Repubblica in vigore dal 1875 al 1940, ma non assunse, a livello simbolico, un profondo valore unitario per i tre partiti che l’avevano redatta, che la considerarono un compromesso al ribasso rispetto alle aspettative iniziali. Un capitolo significativo di tutta questa vicenda riguarda la riforma dell’impero coloniale: nelle due assemblee costituenti erano stati eletti una trentina di deputati dei popoli colonizzati, che si impegnarono a fondo affinché si delineasse un percorso di progressiva emancipazione dal colonialismo. Ma i risultati furono molto inferiori alle attese, con la conseguenza che la Costituzione della Quarta Repubblica sarebbe stata travolta, dodici anni più tardi, dal conflitto coloniale in Algeria. In Italia, invece, questo problema non si sarebbe posto, visto che l’impero riapparso il 9 maggio 1936 “sui colli fatali di Roma”, per riprendere le parole pronunciate da Mussolini all’indomani della conquista dell’Etiopia, era scomparso pochi anni dopo nel naufragio militare del fascismo.
Quale influenza ebbe, nel dibattito costituente italiano, la fondazione della Quarta Repubblica?
Il processo costituente che condusse alla fondazione della Quarta Repubblica si svolse dall’ottobre 1945 all’ottobre 1946 e fu pertanto seguito con grande attenzione in Italia: da un lato se ne potevano trarre importanti spunti, dall’altro si poteva cercare di evitare di replicarne gli errori e i passi falsi. Alla storia costituzionale francese furono dedicati vari studi che apparvero nelle due collane promosse dal ministero per la Costituente diretto da Pietro Nenni, che dovevano contribuire all’ampliamento degli orizzonti sulle questioni costituzionali. Soprattutto, la vicenda francese fu seguita con attenzione e costanza nel “Bollettino di informazione e documentazione” pubblicato dallo stesso ministero, che uscì dal novembre 1945 al luglio 1946. Non mancarono poi gli articoli di cronaca e gli editoriali sui quotidiani, che commentarono gli eventi francesi sulla base delle possibili analogie con quanto sarebbe avvenuto nella nostra Costituente. Gli attori politico-istituzionali italiani guardarono con notevole interesse alla Francia sia per le modalità di organizzazione del processo costituente, sia per i contenuti del dibattito costituzionale. Se si prendono in esame le relazioni presentate nella Commissione dei 75, l’organo della Costituente che preparò il progetto di Costituzione da discutere in Assemblea plenaria, si può vedere che i riferimenti al dibattito francese furono numerosi. Ad esempio Giuseppe Dossetti, presentando la prima formulazione di quello che sarebbe diventato l’art. 11 sul ripudio della guerra e sulle limitazioni di sovranità per assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni, si richiamò espressamente a quanto era previsto a questo riguardo nella Costituzione francese. Palmiro Togliatti, dal canto suo, si richiamò al testo francese quando propose che la forma repubblicana dello Stato non potesse essere messa in discussione. L’art. 40 sul diritto di sciopero fu letteralmente ripreso da quella Costituzione, e la durata del mandato del presidente della Repubblica fu ricalcata sul settennato francese. I costituenti italiani ebbero peraltro ben viva la preoccupazione di non riprodurre i conflitti esasperati che si erano manifestati nell’esperienza d’Oltralpe. Essi erano consapevoli che se in Francia la debolezza dell’accordo finale sul testo della Costituzione era compensata da una tradizione di valori che risaliva ai principi dell’89, la storia italiana non offriva una valvola di sicurezza di questa portata. Di qui il maggiore impegno dei costituenti italiani a evitare fratture insanabili e a creare, con la Costituzione, un vero patrimonio comune, fornendo una precisa sostanza identitaria alla Repubblica nata il 2 giugno.
Quale ruolo mantenne il PCI nella genesi della Costituzione repubblicana?
Fu un ruolo molto importante, che concorse in maniera determinante a far sì che la Costituzione diventasse un punto di riferimento fondamentale dell’Italia postbellica. La comparazione tra la strategia costituente del PCI e quella del PCF è di grande interesse. I comunisti francesi, nella prima Costituente eletta nell’ottobre 1945, assunsero posizioni molto rigide, obbligarono i socialisti a seguirli su questa linea di intransigenza e furono i principali responsabili della rottura tra la sinistra e il Mouvement républicain populaire. I comunisti italiani, invece, perseguirono in materia costituzionale, anche dopo l’esclusione dal governo del Paese nel maggio 1947, l’obiettivo della ricerca di un ampio fondamento unitario tra i partiti di massa. I contrasti con gli altri partiti naturalmente ci furono, con momenti di scontro piuttosto pesanti come sul tema dell’introduzione delle regioni, ma non diventarono mai insanabili. L’obiettivo di fondo per Palmiro Togliatti, Renzo Laconi, Umberto Terracini, Ruggero Grieco, Nilde Iotti e le altre personalità comuniste che si impegnarono nell’elaborazione della Costituzione fu la definizione di una forma di democrazia socialmente orientata, che doveva sancire – come aveva affermato Togliatti nella relazione presentata al congresso del PCI svoltosi dal 29 dicembre 1945 al 6 gennaio 1946 nell’Aula Magna dell’Università di Roma “La Sapienza” – il completo distacco da quell’Italia della reazione sociale che era stata responsabile dell’avvento del fascismo. Certo, negli anni della Costituente, la scelta democratica non rappresentò ancora per il PCI, che come il PCF esaltava l’URSS staliniana in quanto “patria del socialismo”, un orientamento definitivo. Ma l’apporto fornito alla genesi della Costituzione repubblicana si tradusse poi per i comunisti italiani in un fermo ancoraggio ai suoi principi, destinato nel lungo periodo a fare sempre più da contraltare al “legame di ferro” con l’Unione sovietica. L’impegno costituente del PCI aveva contribuito a dare forza alla Costituzione, e la Costituzione contribuì a radicare il PCI nella democrazia italiana.