“Cosimo de’ Medici” di Lorenzo Tanzini

Prof. Lorenzo Tanzini, Lei è autore della biografia di Cosimo de’ Medici edita da Salerno: quale importanza riveste, per la storia di Firenze e del Rinascimento, la figura di Cosimo il Vecchio?
Cosimo de' Medici, Lorenzo TanziniCosimo riveste un’importanza cruciale da molti punti di vista. In prima battuta, almeno nella percezione generale di questa parte di storia fiorentina, è universalmente conosciuto come il fondatore delle fortune politiche della sua famiglia, una sorta di premessa che conduce al periodo di suo nipote Lorenzo. In questo volume, che vuole certamente dare un profilo complessivo della figura di Cosimo, ho cercato di mettere un poco in secondo piano questo suo ruolo di ‘iniziatore’: beninteso, è importante capire cosa è accaduto dopo la sua morte, ma mi è parso più interessante provare a intendere la figura di Cosimo nel suo tempo, nelle condizioni specifiche che si trovò ad affrontare e a confronto con i suoi contemporanei, più che presentarlo come il capostipite di una storia successiva. Per questo ho dato uno spazio consistente anche a momenti della sua vita come gli anni prima del 1434, o i periodi di difficoltà politica, nei quali potesse trasparire la peculiarità della sua figura al di fuori del cliché che su di essa è stato costruito. A mio parere immergere il nostro personaggio nel suo tempo e a confronto con i suoi interlocutori, in città e fuori, può far emergere tutta l’originalità e il fascino di questo periodo di storia italiana, cioè i secoli centrali del Quattrocento, ricchissimi di eventi, di sperimentazioni politiche, di scambi culturali.

In che modo Cosimo incarnò la supremazia politica e culturale della Firenze del primo Quattrocento?
Se ci chiediamo quale sia stato il primato di Firenze nell’Italia del tempo, dobbiamo ricondurre la situazione della città nello specifico contesto. La Firenze del XV era innanzitutto una città ricca: ricca per effetto della tradizione manifatturiera medievale, certamente ferita dalla crisi ma anche capace di rinnovarsi. Sul piano delle posizioni politiche, Firenze era una città potente, al centro di un cospicuo stato territoriale, ma fragile: più fragile di Venezia, per non parlare di un grande regno come quello angioino-aragonese di Napoli. Di questa fragilità, legata alla sua costituzione repubblicana, al carattere composito del suo stato e alla sua dipendenza dai traffici internazionali, Cosimo era intimamente consapevole: una volta, discutendo in un consiglio nel quale alcuni stavano prospettando una politica bellicosa contro il re di Napoli, ebbe a dire che Firenze non ha la forza di cacciare i propri nemici dall’Italia, e quindi deve trovare con loro accomodamenti accettabili, in modo da potersi dedicare ‘all’otium e alla mercatura’, che sono le sue due vocazioni storiche. A questo si lega la seconda considerazione, che riguarda il ruolo di Cosimo dentro alla politica fiorentina. Proprio perché la prosperità fiorentina è splendida ma fragile, Cosimo ebbe la genialità politica di giocare, di fronte alla cittadinanza ma anche di fronte ai suoi avversari, il ruolo del garante di una serie di equilibri interni e di relazioni esterne (con il papa, con Francesco Sforza) che fornivano alla città la sicurezza di cui aveva bisogno. Questa è senz’altro una delle chiavi del suo successo politico.

Cosimo fu innanzitutto uno straordinario uomo d’affari, il più grande banchiere dell’Europa del suo tempo: in che modo la sua esperienza e le sue relazioni finanziarie gli permisero di reggere le sorti della sua città e del suo Stato?
Questo è uno dei temi a mio parere più affascinanti di questa storia. Se avessimo posto questa domanda ai suoi avversari, a coloro che in quegli anni cercarono di mettere in dubbio le sue doti o di screditarne l’operato, la risposta sarebbe stata fin troppo semplice: Cosimo è ricco oltre ogni limite, e quindi può comprare qualsiasi cosa specialmente in città, compresa la fedeltà dei fiorentini. Giudizi del genere si leggono nelle fonti del tempo. Ma se guardiamo con occhio più distante ed equanime, le cose sono un po’ diverse. Cosimo era certamente molto ricco: l’uomo più ricco di Firenze, almeno negli anni della maturità, ma questo non spiega tutto della sua carriera e del suo successo, anche perché si muoveva in un ambiente fatto comunque di grandi e facoltosi uomini d’affari che erano i suoi alleati – o avversari nello stesso agone politico. D’altro canto, è chiaro che dall’esperienza di banchiere Cosimo trasse anche una serie di doti, di valori, di attitudini che si possono riconoscere in tutto il suo operato. Innanzitutto l’amore per la conoscenza come strumento di lettura dei comportamenti umani: una conoscenza pratica, applicata, che si misura con la concretezza della vita. Cosimo, in questo analogamente ai suoi colleghi ma con una intensità che lo rende eccezionale, passava le sue giornate a scrivere e leggere lettere, a coltivare scambi di conoscenze, giudizi e valutazioni con i suoi corrispondenti: che fossero il comportamento dei mercati dei cambi nelle grandi piazze europee, le preoccupazioni degli alleati politici o le piccole faccende del governo delle sue proprietà, il Cosimo uomo d’affari è costantemente impegnato a informarsi, capire e agire di conseguenza. In secondo luogo, il culto dei valori di serietà, affidabilità, credibilità, che sono le virtù proprie dell’uomo d’affari, specialmente in un mondo come l’Europa del Quattrocento in cui è proprio il credito di cui gode il banchiere il suo principale capitale. Se queste attitudini nascono come esigenze della pratica della banca, in Cosimo diventano una cifra etica che si allarga ad una vita intera, perché ad esse si lega l’amore per i libri e la cultura, l’ossequio per le istituzioni della Repubblica, la cura attentissima alle relazioni con il ceto dirigente della città anche al di là delle alleanze o delle rivalità politiche. La banca, insomma, non fu per Cosimo soltanto una risorsa: fu anche una vera e propria scuola – alla quale peraltro fu educato da sempre, perché l’impresa di famiglia era già fiorente ai tempi di suo padre Giovanni.

Quali vicende segnarono maggiormente la sua vita e il suo governo di Firenze?
Il periodo in cui visse Cosimo è molto denso di avvenimenti, quindi sarebbe forse superficiale volerlo riassumere in poche righe. Potrei sottolineare due eventi particolarmente significativi. Il primo è il Concilio di Firenze del 1439, o ancora meglio la lunga fase, durata con interruzioni quasi un decennio, nel quale Firenze fu la sede del papato, perché Eugenio IV vi risiedeva con la sua Curia. Cosimo non fu l’autore di questo evento, perché anzi il papa giunse a Firenze per interessamento dei suoi nemici nel 1434, quando ancora egli si trovava in esilio a Venezia; ma una volta rientrato in città nell’autunno di quell’anno Cosimo poté mettere a frutto con grande abilità la sua condizione invidiabile di essere il banchiere del papa: la sua residenza divenne per anni e anni una formidabile centrale di distribuzione di notizie, relazioni e soprattutto favori, grazie alla quale la famiglia Medici accumulò un capitale di potere immenso. Gli strumenti con cui Cosimo poté governare la vita pubblica di Firenze fino alla morte trassero origine in buona parte dai frutti di quella stagione di convergenza con il papato. L’altro momento cruciale può essere riconosciuto nel 1454, l’anno della pace di Lodi, l’accordo tra le grandi potenze italiane di cui Cosimo fu uno degli artefici. Il momento era drammatico: nel 1453 Costantinopoli era caduta in mani agli Ottomani e il grande impero bizantino aveva cessato la sua millenaria missione storica; il papato sognava una crociata dei principi cristiani dell’Occidente, mentre questi si mostravano attenti soprattutto a consolidare le proprie posizioni in Italia: Francesco Sforza come duca di Milano, il re Alfonso il Magnanimo come sovrano di tutta l’Italia meridionale. Le trattative e le tensioni sotterranee che animarono quei mesi videro Cosimo molto coinvolto, e per certi versi in difficoltà. Del resto la pace che ne venne non fu in definitiva un gran vantaggio politico per Cosimo, perché la cessazione dell’emergenza e un ritorno alle modalità ordinarie della vita politica misero in dubbio quegli strumenti di governo straordinario che avevano favorito l’egemonia cosimiana. Non a caso occorsero alcuni anni perché lo stesso Cosimo, in un contesto già mutato, potesse dare nel 1458 il colpo decisivo alla riforma delle istituzioni cittadine secondo i suoi obiettivi.

Cosimo de’ Medici fu anche uno straordinario mecenate: investì imponenti risorse nell’arte e nella raccolta di libri e oggetti preziosi ma anche nella promozione di imprese assistenziali e comunità religiose; quale impronta lasciò il suo evergetismo?
È l’impronta che i visitatori di Firenze possono leggere ancora oggi attraversando la città o i suoi dintorni. Gli anni della maturità di Cosimo, compresi quelli della sua vecchiaia in cui la sua opera di mecenate fu molto sostenuta anche dalla sensibilità dei figli, Giovanni e Piero, entrambi grandi appassionati d’arte, furono senza dubbio il periodo di più intenso impegno della famiglia Medici per i grandi cantieri architettonici e le realizzazioni artistiche: senza dubbio molto di più che nel periodo di Lorenzo. Conventi e chiese come San Marco, San Lorenzo o la Badia fiesolana; palazzi in città come la residenza di famiglia in via Larga, o ville nei dintorni di Firenze (Careggi, Cafaggiolo, il Trebbio), sono tutte realizzazioni di Cosimo, al pari delle incredibili collezioni di libri del convento di San Marco o di Fiesole. I contemporanei, quanto volevano esaltare le virtù di Cosimo, sottolineavano infatti proprio come la città fosse stata trasformata in maniera ineguagliabile dalla sua generosità. Non è del resto solo un fatto quantitativo: questi investimenti, che assorbivano somme gigantesche, erano a loro volta il frutto di una familiarità, di una amicizia personale che Cosimo coltivò sempre con artisti e intellettuali: si pensi a uomini come Michelozzo o Donatello, che di Cosimo erano intimi, e si pensi ai tanti umanisti di cui Cosimo fu amico fin dalla giovinezza, e che gli dedicarono decine di opere entrate nella storia della cultura del Quattrocento e non solo. In definitiva forse parlare di mecenatismo è riduttivo, perché suggerisce l’idea di un impegno per così di a latere, e comunque strumentale, rispetto alla pratica quotidiana del governo e della banca. Al contrario, questa magnificenza fu per Cosimo davvero uno stile del suo vivere in città: entrare nel vivo di questa peculiarità così sorprendente è una sfida e anche una esperienza di grande fascino per lo storico.

Lorenzo Tanzini insegna Storia medievale all’Università di Cagliari. I suoi studi sono rivolti principalmente alla storia politica, alle istituzioni e alla cultura dei secoli del Basso medioevo e del Rinascimento; tra le sue pubblicazioni più recenti i volumi A consiglio. La vita politica nell’Italia dei comuni (Roma-Bari 2014) e 1345. La bancarotta di Firenze (Roma 2018). Insieme a Francesco Paolo Tocco è autore di un manuale di storia medievale, dal titolo Un Medioevo mediterraneo. Mille anni tra Oriente e Occidente (Roma 2020).

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