
Come possiamo leggere con una lente che non sia quella della negatività ma dell’opportunità la vita ai tempi della pandemia?
Questo dipende fortemente dall’impegno di ciascuno di noi. Dipende cosa scegliamo di farcene di quello che la vita ci mette davanti. Alcune persone hanno colto l’opportunità della quarantena per dedicarsi maggiormente ai figli, per occuparsi di se stesse, per ascoltare il coniuge, per formarsi mediante i webinar, per cimentarsi in cose mai fatte (la panificazione in Italia durante il lockdown ha fatto sì che per settimane il lievito fosse esaurito in tutti i supermercati). Ciascuno, a suo modo, può scegliere e può decidere, può assumersi la responsabilità di farsene qualcosa di positivo di quanto accaduto o di dimenticare quanto prima cosa sia avvenuto, facendo finta di nulla. Ogni scelta è lecita perché ogni soggetto è un soggetto a sé e ha la sua storia, le sue capacità, i suoi desideri, le sue fragilità. Mi permetterei quindi di cambiare la domanda in: “quale opportunità posso cogliere da questo periodo che ho vissuto”?
Quali fenomeni peculiari hanno caratterizzato la quarantena?
Su questo importante tema ci siamo fermate e confrontate di recente la dott.ssa Roberta Miele ed io, con l’occasione della redazione di un articolo in inglese per un’importante rivista di medicina, ed è emerso come la pandemia abbia fatto crollare l’ideale narcisistico dell’uomo onnipotente che ha segnato fortemente gli ultimi anni del ventesimo secolo e il primo ventennio del ventunesimo. Il soggetto si è scoperto d’un tratto debole, vulnerabile e indifeso di fronte ad un nemico che non conosce e che non è neppure in grado di vedere, che sembra colpire indistintamente e trasversalmente e con un repentino passaggio da sintomi lievi a sintomi acuti portando, addirittura alla morte, alla morte in solitudine. Il lockdown ha portato a nuove forme di disagio legate allo spaesamento, alla confusione, alla reclusione. Persone che, fino al giorno prima, lavoravano 14-16 ore quotidianamente si sono ritrovate a casa, impotenti, angosciati per le proprie attività e dipendenti, senza poter portare avanti la propria professione. Altre invece si sono ritrovate a dover conciliare smart working personale e home school dei figli contemporaneamente. Altri ancora non hanno potuto ricongiungersi ai propri cari trascorrendo da soli il lockdown, magari a 800 km da casa. L’elaborazione del lutto è stata resa più difficoltosa anche dall’assenza di uno sguardo, di una carezza, di un ultimo saluto, unitamente all’assenza del rito della vestizione del defunto e del funerale: passaggi simbolici che marcano la fine e consentono di iniziare il processo di elaborazione del lutto. La morte ha perso dignità e l’ansia per il familiare o l’amico ospedalizzato si trasforma in angoscia, rabbia, trauma e senso di colpa. Abbiamo inoltre osservato un fenomeno per il quale vi è stata, per molto tempo, una mancata distanza fra vita privata e professionale. La fusione dei due ambienti di vita, lavorativo e privato, ha sottoposto le famiglie ad una perdita di confini. Se al mattino venivano lasciate le mura domestiche per recarsi a lavoro, luogo di scenari differenti nei quali si occupavamo posizioni consapevoli o inconsapevoli di noi stessi, durante il lockdown abbiamo dovuto rinunciare a tali identificazioni. Si è venuta a creare una mancanza ad essere per l’Altro del lavoro che ha avuto delle ricadute depressive su molti che riponevano, in tali sembianze, le loro certezze.
Quali ricadute psicologiche ha avuto la quarantena?
Durante la quarantena vi è stato un incremento della sofferenza psichica, dove le persone che facevano richiesta di un supporto psicologico è significativamente aumentato (dati confermati dalle ricerche del CNOP – Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi Italiani e dell’OMS). Il Coronavirus e il conseguente lockdown ha portato con sé un aumento dell’ansia, della depressione, dell’insonnia, dell’irritabilità e un acuirsi di determinate patologie, quali i disturbi del comportamento alimentare. Purtroppo è stato osservato anche un aumento delle violenze domestiche e dei suicidi, soprattutto fra gli operatori sanitari impegnati in prima linea durante l’emergenza.
Cosa ci porterà in eredità questa drammatica vicenda?
La pandemia ha sicuramente impattato sulla vita di tutti e ha permesso ad alcune persone di mettere in discussione la propria vita o la propria posizione nei confronti della vita. Alcuni hanno cambiato lavoro, alcuni città di residenza, qualcuno si è innamorato e qualcuno ha saputo di aspettare un bambino. Non tutto è andato bene però e il disagio psicologico che vediamo in giro e che ascoltiamo in analisi dice tanto della nostra fragilità umana e di quanto la parola dell’Altro, uno sguardo, un abbraccio, un sorriso, non siano elementi densi di significato e intrisi di quell’amore verso l’altro che ci caratterizza come esseri umani e che ci consente di farci forza l’un l’altro per superare le difficoltà. Il lockdown è stata anche l’occasione per fare i conti con vissuti ai quali non siamo abituati nella società contemporanea. Ad esempio abbiamo incontrato la rinuncia, la privazione, il cambiamento, la frustrazione, la paura, la distanza fisica, l’assenza e non è stato facile confrontarsi e gestire queste emozioni.
In che modo è possibile trarre il meglio da questi giorni e da quelli che verranno?
Queste pagine desiderano essere uno strumento che possa avviare una riflessione profonda che valorizzi e rilanci quanto di positivo sta emergendo ed è già emerso in questa particolare condizione sanitaria, perché non vada perduto quanto di così prezioso questi giorni ci stanno insegnando. È però responsabilità di ciascuno di noi non vivere, passivamente, questo momento solo come una parentesi buia, ma cogliere, attivamente, la grande occasione di crescita e di rilancio di alcuni valori che, nella fretta delle nostre città, delle nostre vite frenetiche sempre piene di impegni, ci stavamo perdendo. Abbiamo dovuto rallentare, per forza e non per scelta, ci siamo stretti emotivamente gli uni agli altri, per scelta e non per forza, stretti “a coorte” come recita il nostro inno nazionale, ma cosa ne sarà di tutto questo finita l’emergenza? Sapremo trattenere il meglio da questa esperienza? Saremo in grado di riorganizzazione le priorità e ricalibrare i valori autentici e profondi della nostra vita? A ciascuno la sua risposta.
Valentina Carretta, Psicologa Psicoterapeuta
Roberta Miele, Psicologa Psicoterapeuta