
Chi fu davvero Bettino Craxi?
Anzitutto fu un leader integralmente socialista. Nel senso che storicamente il socialismo è una forma di progressismo che ha la sua ragion d’essere nella lotta per la libertà materiale e ideale dei popoli e dunque i socialisti devono essere sempre pronti a battersi anche contro chi, come i comunisti, aveva posizioni ambigue o contrarie su questo terreno. Fu anche un leader insensibile alla questione morale. Ma non perché si arricchì personalmente, ma perché era cresciuto in una stagione nella quale il finanziamento irregolare ai partiti, a tutti i partiti, era la regola. E lui non pensò di correggere quella regola. Certo, la sua cifra è politica è legata a quel che fece come segretario del Psi e come presidente del Consiglio, ma certo quando la magistratura scavò, trovò un partito socialista corroso dal malaffare.
Il Suo libro getta nuova luce su molte pagine oscure o inedite della vicenda politica e umana di Craxi: quali tra i retroscena da Lei raccontati ritiene più significativi?
In questa fase, che precede e accompagna il ventesimo anniversario della scomparsa di Craxi, stanno fiorendo inediti e retroscena un po’ farlocchi, nel senso che spesso si tratta di vicende note da anni. E comunque film e libri si concentrano sulla fase finale della sua vita. “Controvento” si propone di raccontare tutta l’avventura politica ed umana di Craxi e nel corso di questo racconto emergono eventi fino ad oggi sconosciuti. Nella trattativa per salvare Moro. Nel rapporto tra Craxi e la famiglia Moro, che fece al leader socialista un regalo sorprendente, assai simbolico. Interessante lo zoom sul rapporto tra il leader socialista ed Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca e dei poteri forti, che propose a Craxi di prendere in mano le redini del Paese ma smantellando il sistema dei partiti. Craxi disse di no.
Cosa ha significato per l’Italia l’esilio tunisino del leader socialista?
Ha significato che un ex presidente del Consiglio si è rifugiato all’estero per non finire in carcere. Giuridicamente un latitante. Oggi abbiamo capito che se è vero che la giustizia fece il suo corso, altrettanto vero che fu assai selettiva: colpì alcuni, non disturbò tanti altri. E questo atteggiamento oggi ci fa capire quel che allora non capimmo: perché Craxi si rifiutò di consegnarsi alla giustizia.
A venti anni di distanza dalla sua scomparsa, quale bilancio storico si può trarre della vicenda politica del segretario del Psi?
A venti anni dalla sua scomparsa e dopo decenni di contrapposizioni frontali tra detrattori e adulatori, è più facile rispondere a questa domanda. Craxi è destinato a passare alla storia come il leader socialista, che dando il suo decisivo assenso all’installazione degli euromissili assieme al cancelliere tedesco Schmidt, favorì indirettamente la dissoluzione dell’impero sovietico; fu il primo capo di governo italiano che osò platealmente ribellarsi ad un gesto illegale dell’alleato americano; fu l’unico leader socialista europeo che, senza accettare la realpolitik verso i regimi comunisti, diede un appoggio materiale e ideale a tanti dissidenti che invece il Pci guardava con distacco e sospetto. Fu il primo socialista che sdoganò la categoria dell’anticomunismo democratico. Il primo che, dopo una lunga trattativa, assunse una decisione dirimente come il decreto sulla scala mobile, contro il parere della Cgil. E d’altra parte dopo di lui non è più esistita una forza socialista organizzata e il fatto che siano scomparsi anche Dc e Pci, non diminuisce il significato di questa defaillance.
Qual è l’eredita di Craxi nella politica italiana?
Craxi non ha eredi politici. Zero. Non li ha sul piano del socialismo democratico: non esistono leader socialisti in Italia. E questo a prescindere dal fatto che gli eredi del Pci, come Nicola Zingaretti, non hanno mai rivendicato una forte identità socialista. Non ha eredi sul piano del decisionismo: l’Italia vive da anni una stagione di indecisionismo grave. E questa è l’eredita della quale si sente maggiormente la mancanza.