“Contro gli avversari delle icone” di Teodoro lo Studita, a cura di Antonio Calisi

Prof. Antonio Calisi, Lei ha curato la traduzione e l’edizione del libro Contro gli avversari delle icone di Teodoro lo Studita, edito da Jaca Book: innanzitutto, chi fu Teodoro Studita?
Contro gli avversari delle icone, Teodoro lo Studita, Antonio CalisiTeodoro nacque a Costantinopoli nel 759 da nobile famiglia. Suo padre, Fotino, era un amministratore del fisco imperiale e Teodoro avrebbe quasi certamente intrapreso lo stesso mestiere, se non fosse intervenuto Platone, fratello di sua madre Teoctista, ad appassionare tutta la famiglia alla vita monastica. Nel 781, con il padre e i due fratelli (Giuseppe, il futuro metropolita di Tessalonica, ed Eutimio), Teodoro fu accolto nel monastero di Saccudion in Bitinia sotto la guida dello zio.

La crescita della loro comunità monastica convinse Platone e Teodoro a prendere gradualmente il monastero urbano dello Studios (799). È un evento determinante nella riorganizzazione concepita da Teodoro; la sua riforma verrà appunto chiamata studita.

Nel frattempo, a preoccupare la tranquillità monastica del santo ci saranno grandi e pesanti ostilità da parte del potere civile e della Chiesa e, di conseguenza, altrettanti esili.

L’imperatore Leone l’Armeno riaprì la disputa sull’iconoclastia e immediatamente Teodoro, con grande inflessibilità, si contrappose alla politica imperiale e, dopo la destituzione del patriarca Niceforo (13 marzo 815), assunse il comando della resistenza iconofila. La repressione imperiale lo colpì severamente. Dispersi i monaci dello Studios, Teodoro fu mandato in esilio e imprigionato in diverse roccaforti dell’Anatolia. La nomina al trono di Michele il Balbuziente (Natale dell’820) smosse la speranza di Teodoro che fu riconvocato a Costantinopoli. Un accordo sarebbe stato concluso se Teodoro non avesse preteso, come condizione alla riconciliazione con il basileus, il ritorno di Niceforo sul trono patriarcale. Venuti meno i tentativi di pace, lo Studita, che, nella capitale, non aveva potuto fare ritorno nel proprio monastero, riprese la via dell’esilio volontario nell’altra parte del Bosforo. In quegli anni Teodoro si stanziò con i suoi monaci a Crescenzio, più tardi a San Trifone al capo Akritas e infine, pare, nell’arcipelago dei Principi, a Prinkipo dove morì l’11 novembre 826.

Come si articolò il dibattito sull’εἰκών che infiammò l’Impero Romano d’Oriente e d’Occidente tra VIII e IX secolo?
Nel secolo VIII ebbe inizio un dibattito pubblico e ufficiale sulla legittimità del culto delle icone tale da provocare una crisi che fornì, prima agli oppositori e poi ai difensori, i principi per legittimare teoreticamente le proprie ideologie.

Leone III (717-741), reputando pagano il culto delle icone, scrisse a papa Gregorio II (715-731), comunicandogli il disegno di distruggere le sacre icone. Il papa rispose energicamente, esortandolo a non interferire in questioni religiose e a non violare le antiche dottrine della Chiesa; Leone III, indispettito da questa resistenza, tentò più volte di farlo deporre e uccidere.

Nel 727 l’imperatore passò ai fatti ordinando di distruggere l’immagine di Cristo posta sulla porta del palazzo imperiale di Costantinopoli e di sostituirla con una croce.

Il patriarca Germano reagì sostenendo il culto delle icone dopo aver ricevuto da Papa Gregorio II una lettera di incoraggiamento. Questi, rifiutatosi categoricamente di approvare l’iconoclastia, andò in esilio volontario nella casa paterna, dove rimase fino alla morte.

L’imperatore, il 22 gennaio 730, fece eleggere Anastasio (730-753), iconoclasta e uomo a lui fedele, nuovo patriarca di Costantinopoli e pubblicò un decreto iconoclasta firmato da entrambi.

Papa Gregorio II inviò un suo scritto a Leone III in cui esponeva la teologia romana dell’icona e confutava l’editto iconoclasta da lui emanato richiamandolo al rispetto della tradizione della Chiesa.

Papa Gregorio III (731-741) continuò energicamente l’opera intrapresa dal suo predecessore e il 1° novembre 731 convocò un sinodo a Roma dove fu deliberata la scomunica per tutti gli avversari delle immagini sacre.

Alla morte di Leone III, avvenuta il 18 giugno 741, salì al trono imperiale suo figlio Costantino V il quale convocò, il 10 febbraio 754, un concilio nel palazzo imperiale di Hieria a cui non presero parte né il Papa, né i Patriarchi orientali né i loro rappresentanti. Era assente lo stesso patriarca di Costantinopoli, Anastasio, morto nel gennaio del 754. Gli affreschi e le immagini sacre furono rimossi nelle chiese e sostituiti con scene naturalistiche e da ippodromo.

I patriarchi di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme, tennero un contro-sinodo a Gerusalemme nel 767, e, a Roma, papa Stefano III (768-772) convocò un sinodo nel 769 dove ricordò la tradizione comune del culto delle icone in Oriente e Occidente e ricevette l’appoggio dei tre patriarchi orientali.

Sappiamo che ad Antiochia fu riunito un ulteriore sinodo nel 781, durante il quale i vescovi esaminarono la dottrina iconoclasta: essi conclusero che fosse lecito il culto delle icone e respinsero l’accusa di idolatria contro i veneratori delle sacre icone.

Dopo l’8 settembre 780, giorno della morte di Leone IV figlio di Costantino, la reggenza dell’impero fu assunta da Irene, perché l’erede, il figlio Costantino VI Porfirogenito, aveva solo dieci anni.

Il 29 agosto 784 Irene e Costantino scrissero una lettera a papa Adriano I (772-795) per comunicargli la decisione di convocare un nuovo concilio ecumenico e per invitarlo a partecipare, al fine di dichiarare insieme la stessa fede e la stessa tradizione delle sacre icone. Il nuovo patriarca Tarasio (784-806), già segretario imperiale ed esperto teologo, subito dopo la sua consacrazione, rese nulle le decisioni di Hieria e organizzò un nuovo concilio ecumenico a Nicea con i rappresentati del Papa e delle sedi patriarcali d’Oriente; fu così sancita la legittimità del culto delle icone sacre.

La sua teologia fu determinante per la legittimazione definitiva delle immagini sacre nel cristianesimo orientale. Come si sviluppa la teologia delle icone dello Studita?
San Teodoro ha scritto la sua teologia delle icone sul paradosso dell’incarnazione ristretta al mistero della persona di Cristo: «L’invisibile si fa visibile». L’eterna Parola del Padre si è manifestata visibilmente ai nostri occhi: abbiamo visto la persona del Figlio di Dio, che è, per intenderci con una terminologia teologica, l’ipostasi del Logos. Teodoro ha organizzato la sua intera teologia dell’icona in questa visione. «Quando qualcuno è raffigurato, non è la natura, ma l’ipostasi ad esser raffigurata».

Teodoro attacca gli iconoclasti secondo i quali Cristo avrebbe assunto la natura umana in generale, non una umanità individuale, perciò la sua umanità sarebbe “incircoscrivibile”.

Per Teodoro è valido il concetto aristotelico per cui l’universale esiste unicamente negli individui concreti.

L’icona fissa solamente quello che è manifesto di un uomo, vale a dire quello che gli è proprio e che lo differenzia dagli altri. Nell’ambito della relazione tra natura e persona, conviene specificare cosa si intende per “persona”: da una parte, essa è “esistenza autonoma”, dall’altra, essa è contraddistinta da determinate qualità. Teodoro esamina la differenza e la corrispondenza di questi due aspetti: quello attinente all’essere e quello attinente alla conoscenza. Dal punto di vista dell’essere, la persona dev’essere qualificata come “autosussistente”, dal punto di vista della conoscenza, noi possiamo conoscere la persona solo attraverso le caratteristiche proprie “caratterizzanti”. Difatti l’ultima ragion d’essere della persona, la sua autosussistenza, può essere compresa solo indirettamente attraverso le manifestazioni della persona, grazie alle sue qualità e caratteristiche. Ugualmente, l’icona favorisce una simile conoscenza della persona. Per questo, se Cristo avesse assunto solamente l’uomo in generale, Egli potrebbe essere identificato come uomo solo in modo spirituale-concettuale. Sicuramente Cristo ha preso anche la comune natura umana, ma dal momento che questa esiste sempre e realmente negli individui, ugualmente Cristo è sicuramente uomo unicamente quando la sua umanità esiste come qualcosa di concreto e di individuale.

Gli iconoclasti dicevano che ogni icona riproduce una persona ma che Cristo essendo una persona divina, non può essere rappresentato. Teodoro applica alla dottrina delle icone ciò che concerne il rapporto generale tra persona, natura e Cristo. La persona medesima dell’eterna Parola diventa, assumendo la carne, portatrice e fonte di un’esistenza umana nella sua singolare individualità, proprio nei tratti che lo caratterizzano; in Gesù, come uomo determinato, si fa visibile la sua Persona divina. Il paradosso dell’incarnazione è che il Logos è diventato “circoscrivibile” nei tratti individuali e personali di Gesù.

L’ipostasi di Cristo è circoscritta, non secondo la sua divinità, che nessuno ha mai visto, bensì secondo la sua umanità che è contemplata nell’individuo.

Quali argomentazioni adotta il santo nelle sue Confutazioni contro gli avversari delle immagini sacre?
Nella prima confutazione, Teodoro replica al quesito posto dagli iconoclasti sulla impossibilità di rappresentare Cristo, con un suo dilemma: se Cristo non può essere ritratto, allora o Egli manca di una vera natura umana (che è docetismo) o la Sua natura umana è avvolta nella Sua divinità (che è monofisismo). Il concilio di Calcedonia (451) aveva riaffermato che Cristo era «in due nature senza confusione, senza mutamenti, senza divisioni, senza separazioni». Se la natura umana di Cristo non è scambiata o confusa con la Sua natura divina, allora Egli deve poter essere raffigurato come qualunque altro essere umano. Se le Sue due nature non sono separate, allora quella rappresentata corrisponde al Dio incarnato, benché la natura divina in sé non può essere rappresentata. Difatti, non è una natura che può essere ritratta, che sia divina o umana, ma è un’ipostasi.

Teodoro sviluppa la relazione dell’immagine con il suo prototipo. L’immagine fa parte della categoria aristotelica di cose relative e perciò indirizza l’attenzione da quella stessa al prototipo. L’immagine e il prototipo differiscono nell’essenza, ma possiedono la stessa somiglianza e sono chiamate con lo stesso nome. Fin dove l’immagine è come il suo prototipo, il prototipo può essere venerato nell’immagine. La natura dell’immagine (legno, pittura, etc.) non è venerata, ma è venerata solo la somiglianza del prototipo che appare nell’immagine.

Nel secondo trattato, Teodoro combatte un’iconoclastia moderata. Certi permettevano la realizzazione delle icone di Cristo e dei santi ma non la loro venerazione, poiché ritenevano che Cristo potesse essere rappresentato così come appariva prima della Sua passione, ma non come Egli era dopo la Sua risurrezione. Teodoro dichiara che Cristo può essere il prototipo di un’immagine per via della Sua umanità anche dopo la risurrezione: Cristo, infatti, si rivelò come uomo, mangiò del pesce e fu toccato da San Tommaso. Anche prima della passione, Egli camminò sull’acqua e fu trasfigurato, pertanto, non vi è dimostrazione biblica nell’affermare che Cristo poteva essere ritratto in un tempo e non in un altro.

Il terzo trattato esamina di nuovo l’intero impianto argomentativo a favore della venerazione delle icone, attraverso una serie di ragionamenti disposti in quattro capitoli. La parte A si occupa della possibilità di raffigurare Cristo nella carne; Teodoro adopera principalmente dimostrazioni ricavate dalla cristologia col supporto dei testi biblici, della grammatica, della geometria e della filosofia. Il punto fondamentale rimane il fatto che, avendo Cristo una natura umana reale, Egli deve essere circoscritto e perciò rappresentabile alla pari di qualsiasi altro essere umano. Nella parte B, Teodoro riprende la sua dimostrazione sul senso di un’immagine artificiale: essa ha in comune la somiglianza, ma non l’essenza del proprio prototipo, perciò la somiglianza di Cristo può essere vista nella Sua immagine oppure la somiglianza dell’immagine può essere vista in Lui. La parte C chiarisce la logica, ovverosia che la somiglianza di Cristo, che è adorabile in Lui in Persona, è anche adorabile nell’immagine, dato che vi è la stessa somiglianza. L’identità di somiglianza e adorazione è esaminata ulteriormente nella parte D.

Antonio Calisi, diacono della Chiesa cattolica di rito bizantino dell’Eparchia degli italo-albanesi dell’Italia continentale di Lungro (CS), vive a Bari dove insegna Religione Cattolica al Liceo Classico Statale “Socrate”. È Dottore in Sacra Teologia, laureato in Scienze Storico-Religiose all’Università “La Sapienza” di Roma. Maestro iconografo, dipinge icone secondo la tradizione bizantina, appresa nei numerosi viaggi in Russia, Romania, Grecia e presso il complesso monastico del Monte Athos.

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