
Il primo concetto, sin dall’antichità è definito, studiato e classificato da manuali, saggi, studi (nell’enciclopedia Einaudi, ad esempio, la voce ‘classico’ è firmata da Franco Fortini). Il secondo concetto, in opposizione al classico, è più usato dagli storici dell’arte: per esempio c’è una bella voce ‘Anticlassico’ firmata da Ranuccio Bianchi Bandinelli nell’Enciclopedia dell’Arte Antica Treccani online. E in particolare viene riferito dall’archeologo Pirro Marconi alla Sicilia antica. Ma si presta bene a definire forme artistiche e correnti ancora oggi attuali, ma che spesso appaiono sottotraccia se non per così dire ‘in incognito’. Il concetto di anticlassico può essere esteso, secondo me anche ad artisti contemporanei, e ad ambiti teatrali o musicali come si propone di illustrare il mio libro. La mia tesi è che tra antico e moderno, tra classico e anticlassico ci siano ampie zone grigie, spazi di dialogo e di confronto anche acceso, a patto di superare contrapposizioni nette e canoni rigidi, a favore di una maggiore interazione e reciproco scambio. Io ne sono convinta, e spero di convincerne anche i lettori.
Quali opere vengono definite tali nel nuovo millennio, da chi e per chi?
A mio parere sono le opere capaci di superare i canoni rigidi e convenzionali per rispondere ad un pubblico sempre più ampio e variegato, senza pregiudizi o timori reverenziali. Il canone delle opere classiche rispetto al passato non è più fisso, né rigidamente predefinito, ma mobile e cangiante: i parametri fluttuano e variano di continuo a seconda del contesto, dei generi di riferimento, del target privilegiato (per fasce d’età, cultura, istruzione e così via). Oggi indubbiamente la critica e il pubblico rivendicano il loro peso nel determinare quali opere si possano considerare ‘classiche’, e in quale accezione, ma anche gli artisti giustamente tengono a far sentire la propria voce. Molti di loro ancora oggi si rifanno esplicitamente all’antico, o comunque al ‘classico’ in senso ampio, lo chiamano in causa in relazione alle proprie opere, a garanzia di autorità, in modi e contesti molto diversi, spesso con l’intenzione più o meno velata di diventare a loro volta modelli di riferimento per altri dopo di loro. Talvolta il classico viene usato anche per ‘bassi scopi’ come slogan, pretesto, passepartout valido per ogni occasione. Ma nella migliore delle ipotesi si rifanno ai classici, e si riconoscono in loro, autori e artisti che aspirano ad essere riconosciuti come ‘migliori’ nel loro campo.
Come mai il termine è tanto diffuso ai nostri giorni, in ambiti diversi? E perché è spesso accoppiato a “contemporaneo”, in riferimento ad autori greci, o moderni come Shakespeare?
I classici, come sottolinea Italo Calvino in un famoso saggio (Perché Leggere i Classici), sono quei libri che non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire, a patto però di non sacralizzarli, di ripulirli dalla polvere che li copre nelle biblioteche, di liberare gli ostaggi chiusi nei monumenti. Ed è questo, credo, il potere anche delle riscritture e degli allestimenti teatrali che fanno rivivere i classici sulla scena. Il classico si evolve e si trasforma, man mano che gli artisti lo fanno proprio e ne restituiscono un’immagine sempre aggiornata alle esigenze loro e del pubblico: ecco perché nel titolo e nell’esposizione l’aggettivo ‘contemporaneo’ precede il ‘classico’: per me il primo aggettivo è fondamentale, perché mi interessa più di tutto esplorare, rivedere e ripensare radicalmente il modo in cui classici sono definiti, legittimati, contestati e rivitalizzati oggi. E questo vale non solo per opere greche e latine, ma anche per autori più vicini a noi, viventi, sulla cresta dell’onda: che si tratti di poesie, letteratura, romanzi, canzoni rap o musical, serie tv, film o fumetti, testi teatrali, poetici e letterari, ma anche luoghi, paesaggi, musei, monumenti e siti archeologici, opere d’arte antiche e moderne, videoarte e performance, perfino i videogiochi.
In questi ultimi settori, caratterizzati dalla predominanza del visivo, il classico dilaga in prodotti ludici e di intrattenimento, oltre che artistici, sui social network e sulla rete internet. Si afferma la tendenza a creare pastiches letterari e artistici, caratterizzati da una ‘porosità’ intermediale e transmediale e dalla libera combinazione di fonti eterogenee, ambiti e mezzi espressivi diversi. Gli esempi si moltiplicano nei più diversi contesti: teatro e musica, cinema e arte, moda e pubblicità, fumetti e serie tv, opere musicali e rock, balletti e musical mescolano liberamente, in modo disinvolto, dei e eroi greci e latini, spesso insieme ai loro corrispettivi nordici, talvolta travestiti e sotto ‘falso nome’. Li ritroviamo nella saga degli Eterni di Jack Kirby (di recente trasposta al cinema), in quelle di Rick Riordan (Percy Jackson), nei film peplum del passato e nelle serie tv (Hercules o il suo spin-off dedicato a Xena, moderna Amazzone divenuta icona LGBT), nei cartoni animati e negli spot pubblicitari, specialmente per prodotti di moda o profumi che attingono a piene mani all’iconografia antica (dalle modelle Dior che sfilano sull’Acropoli di Atene, durante le Olimpiadi, all’attore Adam Driver in versione centauro fino all’onnipresente Eros / Cupido in mille forme).
Eroi e personaggi classici possono essere mascherati sotto parvenze diverse, ma la loro presenza si avverte nelle moderne storie che intrecciano scandali e intrighi di potere (da Scandal o House of Cards, con la mediazione di Shakespeare), delitti e faide, saghe familiari di mafia e di camorra (da Luna rossa di Antonio Capuano a Gomorra di Roberto Saviano). Echi di modelli classici, seppure indiretti, si possono avvertire anche in telefilm polizieschi, o nelle biografie romanzate di cantanti, musicisti e case discografiche (Csi, Empire). Perfino un genere musicale moderno come l’heavy metal, in apparenza totalmente estraneo alla classicità, in realtà è largamente influenzato dalla cultura greca e latina.
La mia indagine muove sempre dal presente, per recuperare le tracce della classicità greca e romana nell’arte e sulla scena contemporanea, in particolare nel dialogo e nelle contaminazioni tra reperti antichi e opere moderne. I casi esemplari che ho scelto superano le barriere tradizionali per conquistare un pubblico giovane e eterogeneo, avvezzo alla narrazione seriale e per immagini che caratterizza forme d’arte come il fumetto e l’animazione; queste ultime meritano attenzione per la loro presenza crescente in musei e luoghi istituzionali, in mostre di successo che mostrano i classici in una luce nuova. Dato che il mio ambito di ricerca è il teatro mi sono concentrata in particolare su casi esemplari di riscritture e trasposizioni di poemi e drammi antichi. Nel panorama italiano e internazionale si possono riconoscere tendenze persistenti, personalità di spicco, registi e drammaturghi capaci di recepire le istanze più vive provocatorie del classico, di intercettare il pubblico di oggi. Il campo d’indagine comprende vari media e forme di espressione, generi nobili quali epica e tragedia, ma anche il comico, che dai teatri classici dilaga nel musical, nel fumetto e al cinema, per approdare infine a un nuovo concetto di ibrido che trae origine dall’antico ma ancora oggi risorge con continue metamorfosi fra teatro, cinema e arte contemporanea.
Come è possibile far rivivere opere vecchie di secoli, farle dialogare col presente rendendole attrattive per un pubblico moderno, anche inesperto e giovane, senza snaturarle?
Se il classico ha saputo rinnovarsi nel tempo, e mantenersi vitale fino ai nostri giorni, è proprio per la sua capacità di mescolarsi, adattarsi, interagire con molti contesti. A confermarlo è anche lo stesso dibattito sui classici che vede contrapporsi diverse posizioni critiche, sia nel pubblico sia nelle istituzioni, incluso il nostro sistema scolastico. Il pubblico giovane è più abituato e allenato a seguire forme di narrazione seriale e per immagini, come le serie tv, il fumetto e l’animazione. C’è anche un altro aspetto recente da non sottovalutare: i giovani soprattutto, durante la pandemia e per le restrizioni che ha comportato, hanno riscoperto i classici in modo nuovo, spesso multimediale e virtuale. I testi antichi hanno raggiunto una diffusione senza precedenti, grazie alla rete e alle nuove tecnologie digitali e interattive. Per i giovani, per gli spettatori abituali o occasionali degli eventi dal vivo, per i frequentatori di musei e luoghi di cultura, i classici sono stati e sono un’ancora di salvezza, una fonte di ispirazione, un serbatoio di temi e motivi per ‘resistere’ al lutto e all’isolamento. Produttori e fruitori di cultura si sono incontrati in rete, hanno sperimentato forme alternative di socialità, organizzato e frequentato a distanza spettacoli, eventi e incontri per poter superare i vincoli del distanziamento, incluse esperienze immersive che sostituiscono almeno parzialmente il re-enactment e la performance dal vivo. Questi esperimenti per fortuna non sono stati limitati e occasionali, ma continuano ad attrarre un pubblico ampio e variegato anche dopo la pandemia: molti giovani, con la riapertura di teatri e musei, hanno cominciato o ricominciato a partecipare a eventi e spettacoli, sia come attori sia come pubblico. La ripresa dello spettacolo dal vivo si aggiunge al successo planetario che ha riscosso e continua a riscuotere anche in rete la riscrittura e messinscena dei testi classici, a conferma delle caratteristiche – la duttilità, l’adattabilità e la resistenza – che i classici hanno sempre dimostrato. La sfida è ancora aperta, la posta in gioco è alta: quelli che noi chiamiamo i ‘classici resistenti’ possono attrarre una platea ancora più ampia, di spettatori e lettori, vecchi e nuovi, superando i pregiudizi non del tutto spenti. Molti covano sotto le braci, pronti a riaccendersi al primo soffio di vento. La cosiddetta cancel culture vorrebbe emendare e purgare i testi antichi dai loro contenuti ‘politicamente scorretti’, espellerli dai programmi scolastici e culturali, soprattutto negli USA. Ma in questo modo si farebbe torto sia agli Antichi, che su quegli stessi temi esercitavano il pensiero critico, sia a noi moderni: se i classici fossero veramente tagliati e cancellati dai programmi scolastici, come alcuni vorrebbero, le nuove generazioni ne sarebbero private prima ancora di conoscerli. Al contrario, questo libro vuol essere un invito a riscoprire i classici senza ‘imbalsamarli’ o ingabbiarli in maglie e classificazioni rigide, con timore reverenziale, ma anzi sottolineandone la vitalità, lo spirito anticonformista e innovativo. E se sono sopravvissuti a molti secoli c’è da sperare che possano ‘resistere’ ancora per molto all’usura del tempo, e superare anche le sfide del futuro.
Martina Treu, studiosa di teatro antico e della sua ricezione, svolge attività di ricerca e docenza all’Università IULM (Milano). È membro del CRIMTA (Università di Pavia), di vari gruppi di ricerca internazionali, tra cui Imagines-Project.org, ed è nel comitato scientifico di riviste e collane. È autrice di monografie, articoli e saggi, coautrice della drammaturgia Repubblica da Platone. Ha collaborato come Dramaturg a spettacoli classici tra cui Coefore e Eumenidi. Appunti per un’Orestiade italiana; Troiane; Le donne di Trachis.