
Il cantautore ripercorre le vicende che hanno segnato la sua vita artistica e familiare: l’infanzia poverissima, trascorsa tra Cuggiono, in provincia di Milano, dove è nato nel febbraio del 1950, e Genova, dove i genitori si trasferirono all’età di tre mesi; la scoperta della musica, l’incontro e il sodalizio artistico con la moglie Luisa, sua musa ispiratrice e il successo dopo i difficili esordi, in un clima arroventato dalla contestazione.
Scopriamo così i retroscena della nascita di uno dei brani più noti del suo repertorio: «In quel periodo stavo lavorando a una nuova canzone, liberamente ispirata a un canto della pasqua ebraica sefardita che mi aveva fatto conoscere David Zard. […] La canzone si chiamava Alla fiera dell’est e, durante la sua messa a punto, mi venne in mente una cosa particolare: alternare a un ritornello molto europeo – «Alla fiera dell’est / per due soldi…», che poi abbiamo rivestito di un arrangiamento in stile rinascimentale, pieno di contrappunti e movimenti – una strofa («E venne il gatto…») caratterizzata dalla cosiddetta “melodia a intervallo unico”, con sole due note, una delle forme più primitive di espressione musicale. […] Poi era una canzone enumerativa, metteva in campo una lunga lista di personaggi come fanno tanti brani delle tradizioni di tutto il mondo, ed era anche un pizzico provocatoria: in un momento in cui molti cantavano di politica, infatti, io me ne venivo fuori con queste tematiche religiose, violentissime, dove tutti ammazzano tutti e alla fine arrivano l’Angelo della Morte e il Signore sterminatore.»
È grazie a un servizio di Paolo Giaccio su Odeon. Tutto quanto fa spettacolo, popolare trasmissione televisiva, andato in onda durante una puntata del febbraio 1977, che esplode la popolarità: «Il giorno dopo la trasmissione, la mia vita cambiò per sempre. Ricordo che andai a fare la spesa al supermercato e tutti mi additavano. Da un momento all’altro passai dall’essere un artista di nicchia a esplodere e diventare uno dei principali protagonisti della scena musicale italiana. E pensare che all’inizio non avevamo assolutamente compreso le potenzialità di Alla fiera dell’est: nel 45 giri estratto dall’album, infatti, a questo brano era stato destinato il lato B, mentre sul lato A avevamo messo Il dono del cervo, che ci sembrava più promettente come hit. Il destino ha voluto invece che a trasformarsi in un successo folgorante fosse Alla fiera dell’est, successo che non si è mai esaurito nel corso degli anni, al punto che oggi quella canzone non mi appartiene nemmeno più: tutti la conoscono e la cantano, dai bambini ai nonni, è diventata patrimonio popolare senza che necessariamente si sappia chi è Branduardi. Mi ha garantito un pizzico di immortalità.»
Per lo stile e le scelte musicali, Branduardi viene definito un menestrello, anche se a lui, quest’etichetta, calza un po’ stretta: «mi sono sempre sentito un trovatore, quello che io faccio è viaggiare da una parte e riportare ciò che ho visto da un’altra. Adoro raccontare delle storie. Il marchio che però mi hanno sempre affibbiato è quello del menestrello; so che i due termini possono equivalersi, però “trovatore” è una parola più affine a ciò che sento di essere. […] Il menestrello lo si immagina come una persona gentile, sorridente, gioiosa… io invece, nella mia musica, spesso ho cantato anche storie oscure, con rabbia, e quasi gridando.»
Il repertorio di Branduardi è ricco di brani di grande successo, come Il sultano di Babilonia e la prostituta, cantata con Franco Battiato, che racconta della tentazione di San Francesco da parte di una donna e dell’incontro con il sultano Al-Malik al-Kamil: «Il sultano di Babilonia e la prostituta è un brano che unisce il mio mondo con quello di certa elettronica anche un po’ dance, ma in fondo richiama una danza estremamente popolare, folkloristica. C’è infatti il basso tuba che suona come se fosse in una banda, gli organetti… poi la presenza di Battiato fece la differenza.»
Branduardi si lascia andare a una confessione molto intima quando ci racconta del suo Sole Oscuro: «qualcosa che caratterizza la mia personalità e che arriva da lontano, una peculiarità che attraversa diverse generazioni e che si è trasmessa da un componente all’altro della mia famiglia, fino a me. Questo qualcosa io lo chiamo il Sole Oscuro, altri la chiamano depressione.» Una “malattia” – come la definisce il musicista – condivisa con molti altri artisti come, ad esempio, Sandra Mondaini, Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman: «Gli artisti vivono in un perenne stato di ipersensibilità che è il loro dono, ma anche la loro condanna.»
Nel libro Branduardi narra della sua rinascita all’insegna della voglia di tornare a suonare e comporre; il commiato è degno di un vero e proprio trovatore: «è tempo che io prenda le mie cose e riparta, in attesa di rivederci in una nuova piazza, in un teatro, o in qualunque altro luogo si possa creare magia tramite la musica».