
Pio IX si oppose strenuamente alla fine del potere temporale.
Il Papa sin dall’inizio dovette misurarsi con aspettative troppo superiori alle sue qualità. L’ansia di novità dell’opinione pubblica italiana, cioè quelle poche migliaia di acculturati, che leggevano i giornali, e la voglia del popolino romano di allentare le tenaglie della morsa, in cui da secoli languiva, gli spianarono inizialmente il compito, ma in seguito costituirono lo specchio deformante della suo pontificato. All’entusiasmo eccessivo per le timidissime riforme iniziali subentrò la cocente delusione per il rientro nel solco di una tradizione, che non poteva non essere oppressiva. Lui non capì che il sentimento del tempo andava verso la nascita delle grandi Nazioni, dalla Germania all’Italia, e s’illuse di poter stringere attorno a sé una cattolicità ormai assorbita dalle troppe beghe e incombenze domestiche. Malgrado l’intelligenza e una spiccata preveggenza, delle quali il Sillabo è splendida testimonianza, Pio IX dette sempre l’impressione di voler difendere prerogative personali, non il magistero e la missione del trono di Pietro. Il concilio con l’adozione dell’infallibilità papale ne fornì la prova più evidente.
Quali motivazioni spinsero migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo a impugnare le armi per difendere il Papa?
La fede fu il mastice principale. La predicazione dei sacerdoti tentò di ridestare un anacronistico spirito delle crociate. Su questo ceppo principale s’innestarono le piccole storie di tanti, il gusto di sfidare uno Stato (ancora gl’inesistenti Poteri Forti non li avevano inventati), l’attrazione del fascino millenario di Roma.
La fine del potere temporale dei papi trovò divise le potenze cattoliche e rappresentò un successo per Cavour e la diplomazia piemontese.
Cavour al massimo avrà gioito dall’aldilà. I suoi indegni eredi avevano fatto di tutto per incancrenire la questione romana e senza la folle decisione di Napoleone III di sfidare la Prussia di Bismarck chissà per quanto tempo ancora la sfida fra Firenze, neo capitale d’Italia, e Roma papalina sarebbe proseguita.
Quali vicende belliche coinvolsero i soldati papalini?
Dapprima il brigantaggio, successivamente l’invasione garibaldina del 1867 conclusa a Mentana, dove le truppe del generale Kanzler, seppure numericamente inferiori, colsero un limpido successo. Nel quale i nuovissimi fucili Chassepot (dodici colpi al minuto), in dotazione al contingente francese del generale de Polhes, non ebbero alcun merito. I soldati transalpini si presentarono a risultato acquisito e i loro fucili s’inceppavano con tale frequenza da servire, alla fine, quale manico delle baionette. Nella guerricciola del 1870 la sproporzione delle forze era tale da ridurre il confronto a semplice attestato di opposizione.
Il Suo libro sfata l’idea romantica del Risorgimento come anelito di un intero popolo: furono moltissimi gli italiani che sostennero la causa antiunitaria di Pio IX.
Il Risorgimento fu merito esclusivo di pochissimi e che la stragrande maggioranza di costoro fossero massoni è, ahinoi, indubitabile. Con i suoi errori e orrori rappresenta l’unico legame della nostra Italia. Senza di esso, non ci sarebbe motivo perché uno di Cuneo e uno di Catania debbano riconoscerci negli stessi valori. Altrettanti pochissimi, con la testa rivolta all’indietro, si opposero nella speranza di bloccare il futuro: di conseguenza divennero fautori dell’unico nemico dichiarato dell’Italia unita. La stragrande maggioranza degli italiani era indifferente: subì, si adeguò, cercò di ritagliarsi il proprio tornaconto.