“Con i Romani. Un’antropologia della cultura antica” a cura di Maurizio Bettini e William M. Short

Con i Romani. Un’antropologia della cultura antica, Maurizio Bettini, William M. ShortCon i Romani. Un’antropologia della cultura antica
a cura di Maurizio Bettini e William M. Short
il Mulino

«È possibile un’antropologia del mondo antico? E in particolare, è possibile un’antropologia del mondo romano? Questo volume intende prima di tutto offrire una risposta positiva a tali interrogativi – una risposta molto concreta. Nello stesso tempo, però, intendiamo anche affrontare e discutere i problemi metodologici che alcune specifiche dimensioni della cultura romana impongono al classicista che nei suoi studi voglia assumere il punto di vista dell’antropologia. In effetti, dato che nei confronti delle culture antiche non si ha alcuna possibilità di impiegare i metodi standard della moderna «antropologia dei quattro campi» – osservazione partecipante e intervista etnografica [Schensul, Schensul e LeCompte 1999] – è importante esplorare con maggiore dettaglio le sfide che si pongono a qualsiasi ricercatore che miri a studiare la cultura romana in una prospettiva antropologica, allo scopo di evidenziare i modi in cui i singoli autori presenti in questo volume hanno affrontato e (sperabilmente) vinto queste stesse sfide. […]

Il nostro lavoro è stato concepito prima di tutto come strumento per far conoscere a un pubblico più vasto il programma di ricerca sviluppato negli ultimi venticinque anni dal gruppo internazionale di studiosi riuniti attorno al Centro «Antropologia del mondo antico» (AMA) dell’Università di Siena. I saggi raccolti presentano le teorie e i metodi propri dell’antropologia del mondo romano per come è stata elaborata all’interno del nostro gruppo di ricerca; inoltre, essi illustrano una parte del lavoro prodotto dai suoi membri. Nelle nostre intenzioni, il volume mira non solo a migliorare, attraverso specifiche analisi, la comprensione della cultura antica, ma anche a favorire il riconoscimento dell’antropologia come parte indispensabile degli studi classici, con i suoi presupposti teorici e metodologici e i suoi significativi risultati empirici. Sottolineando alcune delle linee guida di questo programma di ricerca, rendendo espliciti i suoi diversi orientamenti teorici e le sue procedure di analisi, questo volume intende anche offrire una serie di aphormaí – al tempo stesso «punti di partenza» e «risorse», come ormai sappiamo.

Selezionando e organizzando i contributi che costituiscono il libro, abbiamo dunque avuto in mente due obiettivi specifici e tra loro connessi. Anzitutto, abbiamo voluto chiarire come la contemporanea antropologia del mondo romano si leghi ad altri momenti – presenti o passati – della ricerca sulle culture antiche. Gli studiosi riuniti attorno al Centro AMA avvertono con particolare sensibilità questo problema, e quanti tra loro hanno contribuito a questo volume affrontano in parte temi già noti per essere stati trattati, ancora nel campo degli studi classici, in prospettiva diversa. Alcuni contributi si ispirano direttamente all’antropologia storica di Jean-Pierre Vernant, Pierre Vidal-Naquet, Marcel Detienne e Florence Dupont. Tuttavia, la linea di ricerca inaugurata in Italia attorno al Centro AMA si distingue per il suo obiettivo culturale e la sua ispirazione teorica. Mentre la Scuola francese è stata in larga prevalenza orientata verso la cultura greca, a Siena si predilige la cultura romana. Mentre poi la Scuola francese ha aderito in generale a una tradizione di studi sfaccettata ma rigorosamente «francese», basata sui lavori di Ignace Meyerson, Louis Gernet, Georges Dumézil e, almeno in parte, Claude Lévi-Strauss, gli studiosi rappresentati in questo volume hanno arricchito l’eredità fondamentale dell’antropologia storica francese incorporando in essa prospettive tratte dall’antropologia moderna, dalla semiotica, dalla linguistica.

Inoltre, pur condividendo alcuni obiettivi – anzitutto il suo interesse per i «significati» – con l’approccio epistemologico di Paul Veyne alla storia e con gli approcci ideologici angloamericani alla pratica socio-culturale, il gruppo del Centro AMA ha elaborato un apparato teorico che attinge nella stessa misura alla semiotica e all’etnoscienza, alla linguistica cognitiva e all’archeologia, all’antropologia politica, all’antropologia dello spazio, alla teoria del rito, alla teoria del discorso, alla pragmatica relazionale, all’antropologia dell’immagine. In particolare, il gruppo valorizza l’approccio «emico», come lo abbiamo descritto sopra, che privilegia le forme «locali» del conoscere e dell’essere e cerca di comprendere la cultura antica nei termini propri dei «nativi»; infine, esso adotta una prospettiva decisamente comparativa, che non esita a mettere a confronto forme di cultura greche e romane, oppure esperienze antiche e moderne. Nella forma più esplicita e trasparente possibile – quella della loro messa in pratica – intendiamo dunque offrire un resoconto dei fondamenti metodologici sui quali è praticata oggi l’antropologia del mondo romano.

In omaggio alla prospettiva «emica» che abbiamo indicato sopra, ciascuno dei saggi che compongono questa raccolta trae ispirazione da una serie di categorie locali – termini, pratiche, definizioni – che offrono gli strumenti necessari per comprendere «dal punto di vista dei nativi» categorie «etiche» tradizionali come quella di mito, sacrificio, spazio, economia, rappresentazione iconografica e così via. In altri termini, se il tradizionale approccio etico sembra preservato nella scelta dei temi per i diversi contributi e nei titoli che essi recano (per esempio sacrificio, spazio, economia), in ognuno di essi il punto di partenza dell’analisi è rappresentato piuttosto da categorie interne alla cultura romana: religio, sacra, ritus per descrivere in termini romani ciò che noi chiamiamo «sacrificio»; templum, sacer, sanctus per capire come i Romani concettualizzavano lo spazio; frugalitas, parsimonia, paupertas per interpretare i principi che regolavano l’economia romana arcaica e così via.

I capitoli sono disposti in base alle relazioni e alle interconnessioni che sussistono fra i loro rispettivi temi. Il capitolo di apertura, di Maurizio Bettini, traccia brevemente la storia della Comparazione fra culture – il secondo pilastro metodologico che lega i contributi presenti in questo volume – nello studio del mondo antico, proponendo al posto del «comparatismo selvaggio» un nuovo comparatismo che gioca, nelle sue parole, «più sugli scarti che non sulle analogie, più sul raffronto fra presenze e assenze che non sulle coincidenze fra popoli geograficamente e cronologicamente lontani». I due contributi che seguono mirano espressamente a illustrare questo nuovo genere di comparatismo, e dunque debbono essere letti insieme. Gabriella Pironti e Micol Perfigli trattano entrambe lo stesso argomento – Politeismo –, la prima in contesto greco, la seconda invece in una cornice culturale romana, sottolineando come queste due culture elaborarono concetti piuttosto differenti del pantheon.

I contributi sul politeismo inaugurano una serie di capitoli che trattano vari aspetti delle credenze religiose romane (capp. II-V). Mito, di Maurizio Bettini, considera i miti «storie significative» per una società in quanto presentati come tradizionali (indipendentemente dal fatto che siano «antichi o moderni, autentici o fabbricati, originali o ricostruiti»): essi costituiscono il fondamento della pratica culturale. Subito dopo Francesca Prescendi indaga il Sacrificio a Roma, ancora una volta in una prospettiva comparativa con la Grecia, dimostrando come un’analisi ravvicinata della terminologia delle pratiche sacrificali può rivelare il modo in cui la cultura romana interpretava la relazione fra uomini e dèi. Chiude questa sezione tematica Laura Cherubini, il cui studio, Stregoneria, esplora il concetto di «strega» nella cultura romana, mostrando come la strix sia simile alle concezioni moderne di questa figura (che in ultima analisi attingono a quelle antiche) e al tempo stesso molto distante da esse (perché inclusa in un contesto culturale profondamente differente).

I capitoli dal VI al IX sono consacrati al modo in cui i Romani organizzavano il loro mondo sociale. I contributi di Gianluca De Sanctis e Mario Lentano possono essere affiancati, tuttavia, in quanto entrambi guardano a relazioni «interne». Il capitolo sullo Spazio trae ispirazione dalla distinzione fra «non-spazio» e «spazio antropologico», elaborata da Marc Augé, per descrivere come i Romani costruiscono e organizzano la percezione del loro habitat domestico, locale e urbano. Il capitolo sulla Parentela, invece, esamina le relazioni familiari come un costrutto culturale: è una decisione umana, piuttosto che una oggettiva correlazione biologica, a stabilire chi debba essere considerato «parente». I contributi di Renata Raccanelli e Lucia Beltrami, Dono e amicizia (sezioni I e II, rispettivamente), e quello di Cristiano Viglietti, Economia, si concentrano invece su relazioni «esterne». Dono e amicizia analizza il concetto romano di amicitia alla luce delle teorie di Marcel Mauss sullo scambio di doni e della pragmatica della comunicazione di Gregory Bateson. Economia presenta un approccio insolito allo studio dell’economia romana, il quale, adottando un metodo «culturalista» che deve molto a Marshall Sahlins e Stephen Gudeman, diverge in molti aspetti dalla prospettiva neo-istituzionalista attualmente dominante negli studi.

Spingendosi oltre il campo delle relazioni sociali umane, i contributi di Cristiana Franco e di Svetlana Hautala (capp. X-XI) guardano al modo in cui la cultura romana ha costruito la sua relazione con il mondo degli animali e con quello delle piante. Animali offre una nuova prospettiva nell’affrontare le relazioni tra uomini e animali, che eviti di vedere questi ultimi «come oggetti meramente passivi dell’attività umana», come è stato fatto fin troppo spesso nel passato. Piante, invece, attinge a teorie e metodi dell’etnoscienza per interpretare una serie di nomi di piante che si riferiscono a parti del corpo di un dio – la «barba di Giove», i «capelli di Venere», le «mani di Marte» – la cui selezione è motivata da una combinazione di «significati» che deriva in parte dal contesto naturale e in parte da quello socioculturale.

La sezione finale del libro include quattro capitoli che riguardano in senso ampio il tema della «rappresentazione». Il contributo di Simone Beta è centrato sul fenomeno degli Enigmi nella cultura greca e romana ed esplora la struttura formale (specialmente in termini metaforici e analogici) di indovinelli e altri tipi di discorso come gli oracoli, le profezie, gli omina, i resoconti di sogni, così come i contesti sociali e culturali in cui essi si manifestano (inganno ma anche intrattenimento; comunicazione fra mondo umano e divino). Il capitolo Semiotica, di Giovanni Manetti, sottolinea lo sviluppo delle nozioni greche e romane di «segno», a partire da Omero – in cui già si coglie con chiarezza un interesse per il funzionamento dei segni, specie come strumento di validazione del linguaggio verbale – per giungere ad Agostino di Ippona, che articolò una sofisticata teoria del segno linguistico (teoria che peraltro, assumendo il segno non linguistico come modello per il linguaggio, andava in direzione opposta a quella di Saussure). Il contributo di William M. Short sulla Metafora, invece, presenta la teoria lakoviana della metafora concettuale come strumento dell’analisi antropologica per proporre un metodo che muove dall’analisi delle metafore linguistiche per ricostruire «modelli culturali». Il capitolo Immagine di Giuseppe Pucci chiude il volume, discutendo importanti approcci antropologici e sociologici allo studio della cultura materiale, e in particolare della scultura, conducendo il lettore lungo un percorso interpretativo della produzione artistica greca e romana ispirato a una prospettiva dichiaratamente «emica».»

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