“Compro libri anche in grandi quantità. Taccuino di un libraio d’occasione” di Giovanni Spadaccini

Giovanni Spadaccini, Lei è autore del libro Compro libri anche in grandi quantità. Taccuino di un libraio d’occasione edito da UTET. «I libri ci sopravvivono, assai meno deperibili della nostra carne»: poche righe che riassumono il mistero dei libri usati. Cosa rappresentano i vecchi libri?
Compro libri anche in grandi quantità. Taccuino di un libraio d’occasione, Giovanni SpadacciniNon c’è nessun mistero nei libri usati, nessun arcano. I libri usati sono come tanti altri oggetti che utilizziamo ogni giorno e di cui poi ci dimentichiamo. Però, a differenza di un frullatore o di un vaso di fiori, che ci piaccia o meno dentro un libro ci sono dei pensieri. Non sempre, naturalmente, ma dovrebbero esserci. E quando ci sono, cioè quando il libro è buono, la loro presenza non è inerte, e il libro vorrebbe mettersi a parlare o, come dice Marx di un tavolo nel Capitale, a ballare sulle proprie gambe, se le avesse. Quelli usati, poi, in più hanno i segni del tempo, segni che sono appunti, sottolineature, annotazioni. E poi qualcuno che vi ha lasciato un segnalibro, un biglietto, una foto, a ricordare una frase o una pagina. Il mistero non è nel libro, ma in chi lo ha posseduto. Il mio libro vuole affrontare quel mistero, quella zona grigia in cui tutti ci troviamo quando leggiamo e quando abbandoniamo un libro.

Tra i libri rivivono le storie dei loro proprietari, in foto, biglietti, cimeli di ogni tipo, tanto da averne tratto una particolarissima “mostra”: quali, tra quelli da Lei raccolti, ritiene più significativi?
Ho iniziato a raccogliere queste storie alla fine del 2010 e già da subito questi ‘cimeli’ mi sorprendevano per la loro bellezza, per la loro bizzarria. Li raccoglievo in una scatola da scarpe (anche quella trovata in un prelievo di libri), poi in due, poi in sacchetti di carta marrone e infine in una grossa borsa di plastica blu. Ogni tanto li ritiravo fuori, alcuni li selezionavo e li mettevo via, altri poi, ho cominciato ad incollarli alla parete accanto a cui lavoro, e dove sono ancora oggi. La scoperta più emozionante è stata la corrispondenza tra i due giovani futuri sposi di Correggio, lui nel campo di concentramento e lei al liceo. Credo che quello sia il cuore del libro. Svegliarsi la mattina con l’idea di morire la sera e ciò nonostante continuare a scrivere.

«Ma io pensavo che avreste portato via tutto!» è forse l’espressione che più di ogni altra descrive in maniera icastica la fatica di solai e scantinati polverosi, la sufficienza di «miserabili venuti in cerca di cibo come gatti randagi»: da cosa nasce l’amore per il Suo lavoro?
Dall’incapacità di fare altro. Dopo aver fallito praticamente tutto quello che mi ero messo in testa di fare, mi sono accorto che non avrei saputo far nulla di diverso da questo. Conoscevo libri e autori, edizioni ed editori, conoscevo la storia dell’editoria e frequentavo librerie di seconda mano. Posso farlo anch’io, mi sono detto. Poi quell’incapacità è diventata capacità, e poi amore. Mi sono sorpreso della bellezza di questo lavoro da subito, quando persone sconosciute mi invitavano a casa a vedere libri ereditati e da vendere. O quando viaggiando con mia moglie ci siamo persi più in librerie e bancarelle che in musei. E poi parlando, tra di noi o con i clienti, di tutto ma soprattutto di libri.

Quella dell’accumulazione di libri è una pratica che compare diffusamente nei Suoi racconti, come il pensionato che ha acquistato un appartamento solo per custodirvi i suoi ventimila libri, «presi con la promessa di leggerli tutti un giorno e adesso eccomi qui a venderli»: cosa nasconde la «nevrosi accumulatoria»?
Chi costruisce una biblioteca di solito non lo fa con l’idea di leggere tutto, ma di esserne padrone – in ogni senso. La nevrosi accumulatoria è fatta di suggestioni, di imitazioni, e ogni libro è un tassello all’interno di un’architettura ben precisa che mal sopporta le sorprese e gli imprevisti. Possiamo dire che questi nevrotici cerchino una sorta di perfezione nell’abbondanza, temendo di sbagliare se non accumulassero di più, o se si lasciassero sfuggire un titolo che potrebbe far vacillare il loro già fragile castello.

Lei sostiene che il vero valore di un libro stia nel «rifiutarlo o, in maniera più gentile, semplicemente, non leggerlo più. Dire a se stessi che non si è più un grado di leggerlo, quel libro, e farsi complici del fallimento di una lettura, e prendersene le responsabilità, che naturalmente non esistono di fronte a un pezzo di carta stampata e scritta.»: una apparente negazione di ogni retorica libresca, che li vuole oggetti “sacri” o il vezzo anticonformista di un libraio?
Quello che penso è che ogni lettore debba avere la libertà di fare ciò che vuole con il libro che ha tra le mani, chiuderlo, continuarlo, regalarlo, venderlo. Il libro non deve essere un feticcio ma un oggetto. Un oggetto particolare, ma pur sempre un oggetto.

Giovanni Spadaccini, classe 1980, ha una laurea in filosofia e un dottorato in antropologia. Con la moglie Raffaella Fazio gestisce la libreria Libri Risorti nel centro di Reggio Emilia.

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