
Quali norme disciplinano la complicità di Stati nell’illecito internazionale?
La fattispecie illecita in considerazione è prevista da una norma del diritto internazionale consuetudinario, codificata nell’articolo 16 del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale dello Stato e negli articoli 14 e 58 del Progetto sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, adottati dalla Commissione del diritto internazionale nel 2001 e nel 2011. La norma in discorso stabilisce che un soggetto (Stato o organizzazione internazionale) che aiuti un altro soggetto nella commissione di un fatto illecito, incorre in responsabilità per complicità, a condizione che fosse a conoscenza delle circostanze dell’illecito principale e che fosse vincolato dallo stesso obbligo violato dal soggetto assistito.
Come si è evoluta la disciplina della complicità di Stati nell’illecito internazionale?
Non può dirsi che si sia registrata una vera e propria evoluzione della disciplina della complicità – che, a dispetto della nuova formulazione voluta dalla CDI nel 2001, è rimasta sostanzialmente immutata sin dalla sua prima codificazione, risalente al 1978 – quanto, piuttosto, un’applicazione assai frequente della norma medesima a partire dagli anni 2000.
Quali sono le conseguenze della complicità?
Il fatto illecito previsto dalla norma sulla complicità dà luogo ad un nuovo rapporto giuridico tra lil complice e il soggetto leso. Sull’autore del fatto in questione grava, da un lato, l’obbligo di interrompere la condotta, qualora questa abbia carattere continuato e, dall’altro, quello di offrire garanzie di non ripetizione, qualora sussista il rischio di reiterazione del fatto accessorio. Lo Stato complice, inoltre, è tenuto ad adempiere all’obbligo di riparazione: la restitutio in integrum costituisce, nel caso della complicità, un obbligo difficilmente eseguibile da parte dello Stato complice. Il risarcimento, poi, soggiace ad una applicazione rigida del criterio di causalità, oltre che a talune regole relative alla esatta determinazione della somma dovuta a titolo risarcitorio. L’applicazione di questi parametri potrebbe rivelarsi impraticabile in diversi casi riconducibili alla fattispecie della complicità. In simili circostanze, la soddisfazione può rappresentare la forma più appropriata di riparazione del pregiudizio subito dalla parte lesa. Non vi sono ragioni per escludere la configurabilità di contromisure nel quadro di quel particolare rapporto giuridico secondario che si instaura tra lo Stato complice e la parte lesa.
Quali caratteristiche assume la complicità di Stati nell’illecito di organizzazioni internazionali?
Si tratta di una forma di complicità resa, in molti casi, peculiare dal rapporto intercorrente tra lo Stato complice e l’autore dell’illecito principale. Nella più gran parte dei casi, infatti, lo Stato è, contestualmente, complice e membro dell’organizzazione internazionale responsabile del fatto principale. L’analisi condotta nel libro si è concentrata due profili che sollevano questioni giuridiche di grande interesse. Da un lato, la complicità degli Stati in atti compiuti da organizzazioni internazionali nell’esercizio della funzione normativa, dall’altro, la partecipazione ad illeciti internazionali realizzati nel quadro di attività operative dell’ente. Il primo profilo di indagine appare condizionato dalla difficoltà di “scindere” la condotta dell’organo da quella dei singoli Stati che lo compongono e che concorrono, con il proprio voto, alla adozione dell’atto normativo che integra l’illecito principale. La norma sulla complicità assume, in questo contesto, dei connotati del tutto peculiari, con riguardo, in particolare, al nesso di causalità tra il fatto accessorio, costituito dal voto dei membri, e il fatto principale, costituito dall’atto deliberato dall’organizzazione e ad essa imputabile. Il nesso eziologico in discorso si configura in termini di condicio sine qua non della condotta principale. La ricostruzione dell’elemento soggettivo, invece, si svolge secondo i criteri “ordinari”, risultando peraltro agevolata dalle dichiarazioni di voto con le quali, sovente, gli Stati motivano il proprio contegno all’interno dell’organo deliberante.
Quali profili può assumere la complicità degli Stati nell’illecito commesso da organizzazioni internazionali nel corso di missioni di peace-keeping?
Si tratta del secondo profilo di responsabilità cui ho fatto cenno nella risposta precedente. Siamo nell’ambito degli illeciti commessi nel contesto di operazioni di peace-keeping gestite da organizzazioni internazionali e realizzate per mezzo di personale militare messo a disposizione dagli Stati. L’attribuzione di tali illeciti all’organizzazione internazionale non esclude, di per sé, che possa sorgere, in capo agli Stati contributori della missione, la responsabilità fondata sull’art. 58 del progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali. Ci sembra che questa fattispecie possa essere integrata da un fatto accessorio omissivo dello Stato contributore, consistente nella violazione dell’obbligo di assicurarsi che l’organizzazione alla quale “presta” il proprio contingente non commetta, tramite quest’ultimo, violazioni del diritto internazionale, ed in particolare del diritto internazionale umanitario. In questo caso, l’accertamento dell’elemento soggettivo potrebbe fondarsi sulla linea di comunicazione che intercorre, normalmente, tra la catena di comando che fa capo all’organizzazione e gli Stati che contribuiscono alla forza multinazionale.