“Comparare. Una riflessione tra le discipline” a cura di Giorgio Resta, Alessandro Somma e Vincenzo Zeno-Zencovich

Comparare. Una riflessione tra le discipline, Giorgio Resta, Alessandro Somma, Vincenzo Zeno-ZencovichComparare. Una riflessione tra le discipline
a cura di Giorgio Resta, Alessandro Somma, Vincenzo Zeno-Zencovich
Mimesis Edizioni

«Una riflessione attorno ai saperi comparatistici collocati nel campo delle scienze sociali o umane deve necessariamente premettere una ricognizione volta a stabilire se essi hanno assunto la dignità di scienza autonoma, distinta in particolare dai saperi non aggettivati di riferimento. Occorre cioè rendere conto dei casi in cui questo riconoscimento viene negato, magari per considerare il raffronto un semplice metodo da affiancare ad altri possibili metodi con cui “stabilire relazioni empiriche generali tra due o più variabili”: come il metodo sperimentale, che “riproduce la fenomenologia da studiare” (Pirni), il metodo statistico, “che considera un numero elevato di variabili”, ed eventualmente il metodo storico inteso come “studio di caso” (Martinelli).

Non che il formale riconoscimento di cui parliamo sia indicativo della dignità scientifica di un sapere, se non altro in quanto si allude qui a discipline i cui confini sono il frutto di strategie accademiche e scelte politico culturali precise, sebbene mutevoli per definizione. E tuttavia il rifiuto di considerare il sapere comparatistico alla stregua di una scienza può indicare una certa ostilità dei cultori del sapere di riferimento, o comunque la volontà di sminuire il primo rispetto al secondo. […].

Certo, non sempre chi considera la comparazione alla stregua di un metodo intende sminuirla, almeno non nei casi in cui il sapere di riferimento si mostra costitutivamente legato a un approccio comparatistico. È quanto avviene in modo esemplare nell’ambito della sociologia […]. Affermazioni simili si possono poi trovare tra i cultori dell’antropologia, i quali reputano la comparazione “una postura epistemica che ne fonda la stessa possibilità di esistenza” (Dei), o della letteratura, concordi nel considerare il raffronto “un atto dovuto” (Bertoni), o ancora della storia […].

A ben vedere i cultori del diritto hanno avuto e hanno tutt’ora buon gioco a contestare alla comparazione la dignità di scienza autonoma rispetto ad altri campi del sapere giuridico. Il diritto comparato è infatti cosa diversa dal diritto civile o dal diritto penale dal momento che non è descrivibile come “corpo di regole e principi”: questi ultimi sono l’oggetto del raffronto, il cui esito sono proposizioni sorte da mera speculazione intellettuale. Di qui l’apprezzamento della comparazione come variante della conoscenza storica del diritto, non ristretta cioè a singoli diritti osservati nel trascorrere del tempo, bensì allargata a “manifestazioni giuridiche parallele”: al “sorgere, svilupparsi, decadere o resistere delle singole istituzioni presso i vari popoli”. […]

Abbiamo visto che anche nelle scienze sociali diverse dal diritto si sostiene che la comparazione è un metodo. […] Simile il caso della linguistica comparata, nel cui ambito il raffronto è stato concepito come un surrogato dell’esperimento. Questa è stata anzi la ragion d’essere della materia, sorta nel corso dell’Ottocento per operare raffronti tra le lingue indoeuropee mettendo in luce, oltre ai nessi lessicali, anche quelli sul piano grammaticale e morfologico. […]

Nel tempo i cultori della linguistica comparata hanno però tracciato una distinzione tra metodo comparativo e interpretazione dei risultati acquisiti per il suo tramite, e attribuito alla seconda il compito di sopperire ai vizi prodotti dalla visione distorta che il primo fornisce della mutazione linguistica. E ciò equivale ad ammettere che il metodo comparativo è destinato a combinarsi con altri approcci, quindi a generare una pluralità di metodi, tutti ricavati dalla pratica del raffronto, da condurre tuttavia secondo schemi non riducibili a unità.

Quest’ultima conclusione viene esplicitata in altre scienze sociali che utilizzano la comparazione. Nella scienza politica, ad esempio, si parla del “metodo comparativo” come di uno strumento con cui “identificare meccanismi di causa effetto”, per poi “spiegare i fenomeni osservati attraverso i fattori che li influenzano con una certa regolarità”. […]

Similmente nell’economia comparata si mostra di ritenere la comparazione un metodo, che deve tuttavia coordinarsi con diversi “criteri per la valutazione delle economie”, dando così vita a una pluralità di opzioni metodologiche. Mentre nella storia comparata si afferma che “il metodo comparativo appartiene a quell’apparato normativo” che “coinvolge direttamente il problema dell’interpretazione”, e si finisce così, anche in questo caso, a ricostruire per la materia un quadro decisamente più complesso di quello evocato dalla riduzione della comparazione a metodo. Trae così ulteriore conferma la circostanza che la comparazione nelle diverse scienze sociali identifica campi del sapere dotati di autonomia, tali in quanto analizzano i loro oggetti ricorrendo a metodi diversi. […]

I cultori del diritto comparato sanno che l’esaltazione delle comunanze rappresenta per molti aspetti una finalità costitutiva della loro materia, convenzionalmente fatta nascere con il congresso mondiale, di diritto comparato appunto, tenutosi in occasione dell’esposizione universale di Parigi nel 1900. […]

Sono in parte diverse le vicende che hanno animato il lavoro dei cultori della filologia comparata, complessivamente non caratterizzatasi in modo univoco. Una comparazione unificante è stata promossa dagli orientalisti impegnati a ricostruire “l’unità fondamentale della specie umana, di cui l’Oriente si presume essere stato la culla”. Assimilabile l’impegno della linguistica comparata, mentre di segno opposto quello dei filologi romanzi, i quali “comparano invece per costruire identità nazionali” […].

Che la ricerca comparatistica sia naturalmente portata e generare raffronti unificanti lo sottolineano i cultori della politica comparata, considerando che in massima parte essa produce una conoscenza “nomotetica” in quanto “si propone di descrivere, classificare, spiegare eventi e processi ricorrenti in forme simili, individuando uniformità e formulando generalizzazioni”. […]

La difesa della comparazione unificante in quanto strumento indispensabile a indagare “la questione del potere” (Baldissara) […] affiora anche tra i cultori della letteratura comparata. Lì si rileva la frizione tra studiosi che “si disperdono nei rivoli dell’empiria” e coloro i quali promuovono invece “l’astrazione sintetica, la visione della totalità” e “lo studio della letteratura come sistema”.»

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