
Quali sono le specificità del pensiero europeo?
Il pensiero europeo è distinto dall’analisi e, soprattutto, da un’astrazione e da un’idealizzazione potenziate in modo singolare. Analizzare significa identificare un oggetto X attraverso la sua distinzione dalla totalità degli altri oggetti. Astrarre significa identificare, poi, che cosa unisce gli oggetti X, X1, X2, X3 e X4 anche se sono oggetti diversi (anche se sono, ad esempio, in qualche caso parti diverse del globo terracqueo e in qualche caso esseri umani diversi appartenenti a culture diverse). E idealizzare significa, in ultimo, fare un esercizio epistemologico ancora più specifico del pensiero europeo: cambiare un poco il risultato dell’astrazione, attraverso l’immaginazione, per costruire lo strumento più promettente che gli europei hanno avuto (e continuano ad avere) a loro disposizione sia per conoscere gli oggetti X, X1, X2, X3 e X4 sia, e soprattutto, per prevedere che cosa faranno nel futuro. Lo strumento costruito attraverso l’idealizzazione è il modello ideale, che gli europei hanno usato (e continuano a usare) dalla scienza al diritto, ma anche all’arte. Nel caso dell’esempio scientifico, il modello ideale corrisponde alla possibilità di identificare la legge di gravitazione universale. E nel caso dell’esempio legislativo, il modello ideale corrisponde alla possibilità di identificare i diritti umani universali.
Quali potenzialità straordinarie contraddistinguono il pensiero europeo?
Il modello ideale, che è per definizione irrealizzabile, può spingerci in modo inesauribile a farci evolvere attraverso l’evoluzione delle cose che pensiamo, che diciamo e che facciamo: da Platone a noi, lavorare al modello ideale non deve significare affatto disertare la realtà, ma garantire la cura maggiore possibile, e soprattutto l’evoluzione maggiore possibile, di qualsiasi sua contingenza.
In particolare, sottolineerei che i modelli ideali dell’agire umano possono essere essenziali a servizio di un’etica inclusiva, cioè fondata sull’esercizio della capacità, allenata con forza dall’astrazione, di riconoscere l’uguale nei diversi prima che il diverso negli uguali. La democrazia, che non ha caso ha una genesi europea, è fondata sull’idea citata e su un’altra idea europea essenziale: essere democratici significa garantire la minoranza e, soprattutto, credere che per garantire la minoranza sia necessario dare più potere a una regola (ideale e universale) che a una maggioranza (reale e particolare), cioè introdurre una dimensione più potente della dimensione della maggioranza, che, ancora, è la dimensione dell’idealità.
Quali conseguenze sul pensiero europeo è destinato a produrre, a Suo avviso, il melting pot culturale?
Se è vero che, da astrattori sofisticati, gli europei possono essere portatori allenati di un’etica inclusiva, partirei dall’augurio che l’Europa possa continuare a essere un posto privilegiato di riconoscimento dell’uguale nei diversi prima che del diverso negli uguali (attraverso un’apertura all’altro che non significa affatto negazione della specificità identitaria di sé, ma addirittura sviluppo della specificità identitaria di sé).
A partire da qui, credo che uno dei contributi più significativi che la filosofia europea, e occidentale per estensione, può provare a dare al mondo contemporaneo è un esempio costruttivo di sodalità tra filosofi e scienziati/tecnologi: il potere e la pervasività dello sviluppo tecnologico contemporaneo richiedono uno sviluppo altrettanto potente e pervasivo della nostra capacità di immaginazione, e in particolare di visione lungimirante, per potere immaginare il futuro del presente – e le capacità di immaginazione e di visione lungimirante, che potremmo anche definire capacità di visione della totalità, e di visione conseguente delle alternative possibili, cioè di immaginazione dell’inimmaginato, è la capacità che il filosofo europeo allena da millenni più di qualsiasi altra capacità, ancora attraverso gli esercizi epistemologici di analisi, di astrazione e di idealizzazione.
Simona Chiodo insegna Epistemologia ed Estetica al Politecnico di Milano