
Alla base del codice razionale alla base del pensiero economico occidentale si scoprono quindi più che teorie sistematiche e coerenti, abitudini lessicali, immagini, similitudini e metafore molto resistenti al passare del tempo. Fra queste si può ricordare l’abitudine linguistica a parlare del profitto economico in termini di fruttificazione botanica o di crescita animale, ma anche in termini di Salvezza spirituale e salute fisica; oppure del pagamento di un debito in termini di ristabilimento di un equilibrio naturale e moralmente positivo; oppure delle logiche bancarie come di una forma di risparmio pubblico analoga all’accantonamento provvidenziale di risorse a beneficio dell’ “alveare” comune (non per nulla le prime istituzioni bancarie pubbliche europee, i Monti di Pietà, si presentavano come un accumulo, un “monte” appunto, di ricchezza finalizzato alla carità e al bene comune in se stesso paragonabile al tesoro della grazia accumulato a favore dell’umanità da parte di Cristo).
Quali aspetti del ragionare economico e politico medievale sono entrati a far parte della razionalità economica moderna?
In questo libro ho sviluppato queste premesse e visto in che modo questo bagaglio di rappresentazioni entri a far parte del “pensiero economico” moderno, inteso come sistema discorsivo che, dal Cinque all’Ottocento, assume la forma di un pensiero scientifico sempre più apparentemente neutrale: fino a presentarsi, come ancora oggi avviene, nei termini di un prodotto scientifico preparato nei laboratori degli economisti secondo criteri infallibilmente verificabili. Nella prospettiva del libro, il “pensiero economico” moderno, analizzato non come prodotto di scuole, di assiomi e assetti dottrinari, non come elaborato scientifico analogo a quelli della medicina o della biologia, ma come prodotto di un sapere umano ambiguo e non così “razionale” e verificabile come può sembrare a prima vista, appare intriso di immagini e abitudini retoriche che, oltre ad essere radicate nel profondo del ragionare medievale teologico-economico, sconfina da una scuola di pensiero all’altra così da poter essere rintracciato in economisti dottrinalmente molto differenti, fisiocratici, mercantilisti, libertini o cattolici, favorevoli oppure contrari all’intervento dello Stato nei giochi del mercato. Fra le immagini o le metafore che pervadono il ragionare economico moderno delle più varie scuole in modo vistosamente inavvertito da parte degli autori, vi sono (di qui il titolo del libro) l’abitudine discorsiva e lessicale medievale a rappresentare il movimento del denaro e della ricchezza come una circolazione che, al modo di quella del sangue, per produrre effetti socialmente ed economicamente benefici dev’essere interrotta, fluida e regolare. Accanto a questa immagine ha anche lungo corso quella che paragona il fluire del denaro all’interno dell’organismo socio-economico allo scorrere dell’acqua che avvenendo in modo costante e regolato irriga la terra rendendola fertile, ma che, se invece ristagna, determina un imputridimento e una morte delle colture. In entrambe queste metafore, acqua e sangue (che in filigrana rimandano a un antichissimo luogo teologico, quello dell’acqua e del sangue scaturiti dal corpo di Cristo sulla croce) fanno funzionare interi filoni di ragionamenti la cui sostanza si può riassumere in una rappresentazione naturalistica e organicista della vita dei mercati e della logica di scambi e investimenti. La grande metafora che fa da sfondo a tutto questo, e che dai teologi economisti del Tre e del Quattrocento raggiunge gli economisti “scientifici” del Seicento, del Settecento e dell’Ottocento (e che è vivacissima anche oggi), è quella che visualizza il sistema di mercato come un grande organismo, un Corpo, il cui stato di salute, il cui equilibrio corrisponde all’equilibrio economico, e i cui squilibri o momenti di crisi possono essere paragonati a infortuni o malattie analoghi a quelli patiti da un corpo fisico. Le corrispondenze fra i saperi anatomici, teologici ed economici, così come li vediamo svilupparsi alla fine del medioevo, e le abitudini razionali degli economisti moderni sono in questo senso più che notevoli. Bisogna notare fra l’altro che la consuetudine storiografica a far risalire la similitudine fra circolazione del sangue nel corpo umano e circolazione del denaro nel Corpo sociale dei mercati alla scoperta anatomica e sperimentale del funzionamento della circolazione del sangue da parte di Harvey nel Seicento, appare sostanzialmente errata. È infatti relativamente semplice dimostrare quanto antecedente fosse questo modo di ragionare e quanto più antica fosse la raffigurazione organicista dei moti della ricchezza che li riconducevano alla meccanica degli umori corporei (e del sangue) oltre che a dinamiche dell’equilibrio che il corpo umano avrebbe conseguito se gestito in modo appropriato, nel rispetto di leggi, tanto matematiche quanto mistiche, che in se stesse facevano riferimento ad una geometria del cerchio e del circolo in origine perfettamente teologica.
Come si traduce, nel pensiero economico moderno, la teologia economica medievale?
Le conseguenze di questo travaso di linguaggi, lessici e immagini dalla razionalità economica medievale a quella moderna, sono numerose. Ma possono essere riassunte dall’abitudine a intendere come economia razionale quella che nel sistema dei mercati e degli scambi, anche finanziari, legge un sistema organico in grado di raggiungere un equilibrio ideale grazie al rispetto di regole principalmente riassunte da quella della circolazione/distribuzione delle risorse secondo logiche che ne prevedono la naturalità. Questo ragionare economico organicista e naturalista o addirittura biologizzante raggiunge vistosamente l’Otto-Novecento degli economisti classici e neoclassici, ma è presente anche in alcuni momenti dello storicismo economico marxiano. Esso contiene, al di là del lessico che naturalizza le relazioni economiche, tutto un immaginario teologico che fa risalire il carattere naturale dell’economia a una provvidenza divina più o meno consapevolmente riconosciuta come tale.
Per mezzo di questo immaginario e dei vocabolari che lo concretizzano sono pervenute all’economia moderna e agli economisti che la parlano interi arsenali concettuali “medievali”, a cominciare dal repertorio di argomenti che fanno dello sviluppo e della crescita economica un obiettivo indiscutibile e sacro, e della comprensione di questa logica un attributo fondamentale dell’appartenenza ad una Umanità superiore. Non si potrà dimenticare che le conquiste coloniali da parte delle potenze europee fra Cinque e Ottocento si fondavano a livello ideologico (in John Locke come in Adam Smith) sull’attribuzione alle popolazioni delle Americhe o delle Indie di una incompetenza economica derivante, secondo gli europei, da un’incapacità razionale a comprendere le regole dell’investimento profittevole ossia le regole teologico-economiche che del mondo facevano un insieme di mercati da far funzionare e mantenere in equilibrio. Questa incompetenza faceva, secondo i conquistatori, delle terre di queste popolazioni altrettante terre “di nessuno” di cui bisognava assumere il controllo al fine di perfezionare l’equilibrio del Corpo economico mondiale voluto dalla provvidenza. Analogamente, l’eredità organicista e metaforica “medievale” ha potuto far considerare – fino a tempi recentissimi – perfettamente razionale e del tutto naturale un’organizzazione economica che, come quella a tutt’oggi conosciuta, intende le disuguaglianze e la violenza sociale che ne deriva come un assetto la cui logica gerarchica dipende da equilibri naturali indiscutibili, ed il cui eventuale riequilibrio dipende dalla capacità (omeostatica) dell’organismo economico di mantenersi in salute.