
Il primo gennaio 2021, la Repubblica popolare cinese, il più popoloso Paese al mondo ed attualmente la seconda economia mondiale, ha finalmente assistito all’entrata in vigore del Codice civile, testo destinato a regolare la vita giuridica di questo grande Paese nei prossimi decenni.
Lo sviluppo e la maturazione di quest’opera sono stati piuttosto tortuosi e complessi, e in questa sede non è possibile ricostruirli, se non per grandi linee.
Nella Cina arcaica, sebbene si fosse redatto anche per iscritto il diritto, questo aveva ad oggetto materie in senso lato pubblicistiche, in particolare il diritto penale. Quello che, secondo le nostre categorizzazioni, sarebbe il diritto privato rientrava nell’ambito del li, del rito, e dunque era gestito tramite quello che, semplificando, potrebbe definirsi come una sorta di diritto consuetudinario. In particolare a partire dalla dinastia Qin (216-201 a.C.) si divisero il campo la cd. scuola legista, che sosteneva una politica di governo fondata sulla regola giuridica, in particolare il ‘diritto positivo’ di impronta pubblicistica di cui sopra, e la scuola confuciana, per la quale il governare si fondava soprattutto su regole etiche e che pertanto prediligeva l’impiego del li, che in ogni caso rappresentava anche parte rilevante del sostrato su cui poggiavano le norme di ‘diritto positivo’.
Tale situazione di alternanza tra periodi in cui prevaleva l’una o l’altra corrente rimase sostanzialmente immutata fino all’ultima fase del regno della dinastia Qing (1644-1911), quando nell’ambito di una ‘modernizzazione’ generale della società imposta sia dalla pressione dei Paesi stranieri, sia da questioni interne, si iniziò a guardare a modelli giuridici diversi da quello cinese antico e, in particolare, in ragione della sua scientificità ed elasticità ad accogliere anche contenuti valoriali rilevanti per la cultura cinese, il sistema giuridico romanistico.
Nella prima decade del XX secolo vennero, ad esempio, intrapresi i lavori per l’elaborazione di un Codice civile largamente ispirato ai modelli offerti dalle moderne codificazioni europee, sebbene, tuttavia, questo progetto, completato pochi giorni prima della caduta della dinastia Qing, non entrò in mai vigore proprio in conseguenza della caduta della dinastia.
Questo Progetto Qing, in ogni caso, segnò l’apertura di una strada che, nonostante un percorso piuttosto tortuoso, è stata ancora mantenuta. Venne poi, infatti elaborato un altro Progetto di codice negli anni 1925 e 1926, che tuttavia, ancora per ragioni di natura politica, non entrò in vigore. Successivamente, si assistette alla elaborazione del cd. Codice nazionalista, promulgato a tappe tra il 1929 e il 1931, che restò in vigore sulla terraferma sino al 1949, e che è tutt’ora in vigore a Taiwan.
Nella Cina continentale i lavori di preparazione di un nuovo Codice civile, questa volta ispirato ai modelli socialisti, e, in particolare, al modello sovietico, furono ripresi alla metà degli anni ‘50, ma subirono poi una battuta di arresto; si tornò ancora a tentare di elaborare un Codice nella prima metà degli anni ’60, ma di nuovo il tentativo non ebbe successo. Fu con le politiche di apertura e riforma di Deng Xiaoping, avviate nel 1978, che si aprì una nuova stagione per il diritto in Cina. Sebbene un altro progetto di Codice, a cui si lavorò dal 1979 al 1982 venne ancora abbandonato, poiché si ritenne che i tempi non fossero ancora maturi, si passò a quella definita come ‘codificazione a tappe’: una politica di emanazione di singole Leggi di cui le più importanti, tra le quali, come ad esempio la Legge sui principi generali del diritto civile del 1986, la Legge sui contratti del 1999, la Legge sui diritti reali del 2007, hanno rappresentato i pilastri su cui è stato costruito il Codice civile della RPC in vigore dal 1 gennaio 2021. Questo è stato infatti calato come all’interno di una gabbia contenutistica, costituita da tutte queste Leggi, tentando di accrescere la loro armonia e coerenza e soprattutto recependo le innovazioni e i cambiamenti a cui la società cinese era nel frattempo andata incontro.
Il nuovo Codice civile della RPC riveste una importanza fondamentale per la Cina, rappresentando in qualche modo il momento culminante del cammino di questo Paese, cominciato dal 1978, con l’occhio comunque rivolto, così come già avvenuto a partire dal tempo della modernizzazione Qing, al sistema giuridico romanistico.
Esso testimonia, infatti, la scelta del governo cinese per il sistema del diritto codificato della tradizione romanistica, piuttosto che non per il sistema di common Law, di matrice anglo-americana, dal quale sono stati presi soltanto dei singoli istituti o complessi normativi in ogni caso riadattati per l’inserimento in una struttura risultante dalla rilettura cinese dei modelli della tradizione romanistica. La sistematicità e l’organicità del sistema fondato sul diritto romano, infatti, così come la capacità di questo di adattarsi a sistemi valoriali eterogenei, la sua elevata scientificità, per la quale è fondamentale il contributo del giurista, costituiscono, a nostro avviso, alcune tra le ragioni principali della scelta dei governanti cinesi.
Il Codice civile cinese, nel superare le critiche che allo strumento Codice erano state in passato rivolte anche dall’interno degli ordinamenti a diritto codificato, si inserisce in una sorta di onda lunga dei Codici civili, a cui abbiamo assistito nel nuovo millennio: anche a voler tralasciare le ampie riforme dei Codici civili di Francia e Germania, è d’uopo ricordare qui almeno il nuovo Codice civile brasiliano del 2002 e il Codice civile e commerciale della Repubblica argentina del 2014.
Il Codice civile della RPC del 2020 arricchisce il quadro dei diritti codificati e costituisce un evento di importanza fondamentale, che va al di là del campo del giuridico.
Qual è il contenuto del testo normativo?
L’organizzazione della materia nel nuovo Codice civile cinese risente senza dubbio dell’accoglimento delle conoscenze veicolate in patria dai numerosi studiosi cinesi che hanno approfondito la conoscenza del diritto straniero negli ultimi decenni, ma riveste caratteristiche proprie e peculiari collegate alla storia interna socio-giuridica della Cina.
Il Codice è diviso in 7 libri e il numero allo studioso di diritto romano appare singolarmente significativo: sette, infatti, erano le parti nelle quali Giustiniano aveva diviso il Digesto, la principale fonte di cognizione del diritto romano, e sette erano i libri della principale opera di trasmissione del diritto romano in America Latina nel 1200, le Siete Partidas. Tuttavia, nel caso del Codice civile cinese, la scansione in 7 libri sembra essere il risultato di una rivisitazione cinese del modello a 5 libri del Codice civile tedesco (BGB) derivante, comunque, a sua volta dalle riletture di quanto ereditato dalle fonti romane svolte dalla scienza giuridica tedesca del XIX secolo. Come quest’ultimo, infatti, il Codice civile cinese si apre con una parte generale, seppur caratterizzata da alcune proprie peculiarità. Vi è poi un libro sui diritti reali, che però, diversamente rispetto al BGB, non è il III bensì il II, mentre larga parte della materia che nel BGB è inserita nel libro sulle obbligazioni, nel Codice civile cinese è suddivisa tra il libro III, dedicato al contratto ma recante anche le norme sull’obbligazione in generale e su due ‘quasi contratti’, e il VII dedicato agli illeciti. Originale scelta del legislatore cinese rispetto a quanto può rinvenirsi negli altri codici è stata quella di dedicare un libro, il IV, ai diritti della personalità, mentre gli altri libri sono dedicati, rispettivamente, il V al diritto di famiglia e il VI al diritto delle successioni. In totale il Codice si compone di 1260 articoli.
La mancata codificazione di alcuni istituti propri della tradizione giuridica romanistica e che si ritrovano nei codici alla stessa riconducibili, come l’usufrutto, l’usucapione o il comodato, colpisce il giurista europeo, ma trova una piena giustificazione nelle peculiarità della società cinese, così come a queste ultime e più in generale alla cultura cinese pare possa ricondursi la scelta di non inserire nel Codice un libro dedicato alle obbligazioni, scelta che, tuttavia, dal punto di vista tecnico reca con sé tutta una serie di implicazioni rilevanti, come quella di rendere difficile la ricerca delle norme sull’obbligazione in generale, le quali si presentano attualmente sparse all’interno di diversi capitoli del Libro III, dedicato al contratto, ma che sono applicabili anche agli illeciti la cui disciplina è in larga parte dettata nel libro VII, o la particolare collocazione dei cd. ‘quasi contratti’ all’interno del libro sui contratti ecc.
In che modo il Codice testimonia il dialogo tra la scienza giuridica cinese e il sistema giuridico romanistico?
I contenuti del Codice civile cinese sono in larga parte il risultato della rilettura, alla luce della plurimillenaria cultura cinese, di nozioni, istituti, principi, norme e strutture giuridiche che si sono venuti affinando, durante il corso dei secoli, nel sistema giuridico romanistico, a partire dalla ‘fondazione’ del sistema medesimo nel VI secolo d.C. Pertanto, tenere in considerazione questo dialogo costituisce un necessario punto di partenza per poter accedere ad un conoscenza più profonda della portata effettiva delle norme dettate nel Codice, senza essere limitati ad una sterile lettura del mero dato positivo contenuto nello stesso.
L’incontro avvenuto tra Cina e sistema giuridico romanistico è relativamente recente. Se prendiamo come momento iniziale la prima fase di modernizzazione del diritto in Cina alla fine della Dinastia Qing (il cd. Qingmo 1840-1911), il periodo di riferimento ammonta a poco più di un secolo.
Già la scelta della forma e dello strumento Codice mostrano come questo risultato raggiunto dal legislatore e dalla scienza giuridica cinese poggi su un dialogo con il sistema giuridico romanistico; dialogo che deve essere tenuto in considerazione al fine di poter riuscire a comprendere in modo adeguato come le norme dettate nel Codice possano poi essere interpretate ed applicate nella realtà.
Grazie alla scelta lungimirante compiuta sul finire degli anni ’80 dal prof. Sandro Schipani, al tempo professore di diritto romano presso l’Università di Roma ‘Tor Vergata’ e ora professore emerito di ‘Sapienza’ Università di Roma, molti giovani giuristi cinesi si sono formati con una preparazione specialistica in diritto romano presso l’Università di ‘Tor Vergata’, e attualmente ricoprono ruoli apicali nelle Università cinesi, contribuendo a una ampia diffusione, che si va facendo capillare, dell’insegnamento del diritto romano in Cina. Ciò, unitamente a una nutrita serie di traduzioni in cinese di opere giuridiche romanistiche, tra cui fonti, manuali, trattazioni specialistiche, ha contribuito a fornire il sostrato su cui la classe dei giuristi cinesi ha potuto fondare e approfondire la propria preparazione. Ben sei edizioni di una ‘International Summer school’ su diritto cinese e diritto italiano su base romanistica, da noi organizzata presso l’Università di Brescia, hanno costituito uno dei frutti di questo lavoro: ai lavori hanno partecipato giovani giuristi e professori cinesi, e ciò ha senz’altro contribuito alla loro formazione, ma anche al rafforzamento del ruolo del diritto romano in Cina, e dell’insegnamento impartito dai professori italiani.
Il Codice civile della RPC, pertanto, si presenta come il risultato dell’intreccio tra ciò che la Cina ha selezionato, ritenendolo acconcio a regolare la propria società, delle riletture ‘borghesi’ di quanto ereditato dalle fonti romane, così come dalle riletture ‘socialiste’ ed il tutto, ovviamente, improntato, sul piano valoriale, agli elementi propri della cultura cinese.
Come già si può intuire tenendo conto dei passaggi del dialogo tra Cina e sistema giuridico romanistico sinteticamente richiamati in risposta alla domanda n. 1, in una prima fase da quando ha iniziato a lasciarsi alle spalle il proprio diritto dell’antichità, la Cina ha prevalentemente guardato ai modelli di codici basati sulle riletture borghesi di quanto ereditato dalle fonti romane, ossia, in prevalenza al modello tedesco, ma anche al modello francese, svizzero, italiano etc.
Dopo la presa del potere da parte di Mao, se da un lato si è cambiato strada, dall’altro si è rimasti comunque all’interno di modelli che dal punto di vista tecnico sono riconducibili a riletture delle fonti romane, sebbene ideologicamente orientate in modo diverso, ossia in chiave socialista. Con le politiche di apertura e riforma e la scelta della Cina di orientarsi verso un sistema socio-economico ibrido, il cd. sistema ad economia socialista di mercato, le Leggi promulgate nel corso delle ultime decadi, così come il Codice stesso, recano talvolta degli elementi più vicini ai modelli sovietici, talvolta degli elementi più vicini ai modelli borghesi. Il tutto, ovviamente, ‘metabolizzato’ alla luce della cultura cinese.
Questo dialogo in realtà, oltre ad aver offerto alla Cina delle importanti basi su cui costruire il Codice, è altresì utile per la scienza giuridica in generale, perché solleva questioni e spinge a riflettere su aspetti che possono essere poi rilevanti per far sì che anche negli altri Paesi si prendano in esame, da prospettive diverse, questioni anche di rilevante importanza. Si pensi ad esempio, a come la scelta adottata dalla Cina rispetto alle obbligazioni spinga anche il giurista italiano a riflettere meglio sull’importanza della categoria stessa e su alcuni meccanismi ad essa relativi, ovvero, a come la struttura data alla materia dei diritti sulle cose possa spingere anche noi a riflettere sull’inquadramento giuridico del rapporto tra esseri umani e cose etc.
Quale visione hanno sul Codice i più influenti giuristi della Repubblica Popolare Cinese?
I giuristi cinesi hanno definito il Codice come una 私法上的百科全书, un’enciclopedia del diritto privato. In questo volume troviamo raccolti, tradotti in italiano da Stefano Porcelli, i contributi di alcuni tra i più influenti giuristi cinesi che, in maniera diretta o indiretta, hanno avuto comunque un’influenza determinante sul Codice stesso: questi giuristi, oltre a dimostrarsi affidabili conoscitori delle materie ivi trattate, hanno contribuito materialmente alla sua stesura in qualità di membri dell’organo legislativo che ha proceduto alla sua elaborazione e approvazione, oppure quali membri di istituzioni, organismi o strutture a cui questo si è rivolto per ricevere consigli tecnici. Pertanto, già leggendo i contributi di tali giuristi, che hanno ad oggetto tematiche diverse relative al Codice, si può avere un’idea generale dell’opinione della scienza giuridica cinese.
In linea di massima, il Codice è stato salutato con grosso favore dai giuristi cinesi, sebbene, come ovvio, gli stessi siano consapevoli del fatto che si tratti di un passo che, sebbene importante, non esclude tuttavia che il contributo della scienza giuridica resti fondamentale, sia per facilitarne l’applicazione, sia per continuare ad elaborare soluzioni giuridiche ancor migliori.
Nel contributo di Fei Anling, già Preside della Facoltà di Juris Master dell’Università della Cina di Scienze Politiche e Giurisprudenza (CUPL) e Consulente presso l’Ufficio studi della Corte Suprema della RPC, questa studiosa ha dato conto di alcuni dei passaggi più rilevanti nell’elaborazione del Codice, così come di alcune delle principali caratteristiche dello stesso: in particolare, sottolinea Fei Anling come sarà cruciale, anche in sede di applicazione, il ruolo del giurista, uno tra i pilastri del diritto scientifico del sistema giuridico romanistico.
Di questioni poste a cavaliere tra la materia dei soggetti di diritto, trattata nella parte generale (libro I), e quella della proprietà collettiva, più approfonditamente declinata nel libro II sui diritti reali, si è occupato il ‘padre’ del diritto privato cinese delle ultime decadi e acceso sostenitore dell’importanza degli studi romanistici, il prof. Jiang Ping, già Rettore della CUPL, una delle più prestigiose Università cinesi, e Membro dell’Assemblea nazionale del popolo. Jiang Ping mostra efficacemente come, sebbene il Codice civile appena entrato in vigore e il precedente Regolamento sulle imprese di proprietà collettiva di città abbiano risolto la questione relativa all’inquadramento giuridico della ‘impresa collettiva’, tuttavia, il dibattito di lunga data relativo all’inquadramento giuridico del ‘suolo collettivo’, nonostante sia stato affrontato, richieda ancora uno sforzo della scienza giuridica, al fine di mettere a punto un sistema teorico completo al riguardo.
Questioni rilevanti sia per la parte generale, sia per la materia dei diritti reali, come quelle relative ai soggetti titolari di questi ultimi, sono state affrontate anche da Sun Xianzhong, Professore nell’Università dell’Accademia cinese delle scienze sociali (CASS), Ricercatore nell’Istituto di diritto della CASS. Questo studioso, che ricopre altresì la funzione di Membro dell’Assemblea Nazionale del Popolo, si è soffermato in modo approfondito soprattutto sulla materia dei diritti reali, offrendo uno sguardo d’insieme sulle caratteristiche salienti della materia nel Codice, e dando rilievo alle principali innovazioni apportate con lo stesso rispetto alle norme precedentemente in vigore, al fine di dar conto di elementi senz’altro utili anche in sede di applicazione del Codice stesso.
Di seguito troviamo contributi che hanno affrontato tematiche relative al diritto delle obbligazioni e, in particolare, al diritto dei contratti. Tra questi, Shi Hong, Vice Presidente della Sezione di diritto civile della Commissione affari legislativi dell’Assemblea Nazionale del Popolo, da un lato, spiega – da ‘insider’ – le ragioni dettate da necessità prevalentemente di ordine pratico per cui non è stato elaborato un apposito libro sull’obbligazione, ma piuttosto le norme sull’obbligazione in generale e sui ‘quasi contratti’ sono state fatte confluire in larga parte nel libro intitolato ai contratti, lasciando quelle relative agli illeciti in larga parte nell’ultimo libro del Codice sulla responsabilità da illecito civile ed in altri libri dello stesso, come quello sui diritti della personalità. Dall’altro lato, lo stesso Shi Hong passa capillarmente in rassegna le principali innovazioni apportate alla materia del diritto dei contratti con il Codice, offrendo interessanti prospettive circa elementi da tenere altresì in considerazione in sede di applicazione dello stesso. Del tema delle clausole standard nel diritto dei contratti si è occupato, invece, Cui Jianyuan, Prof. ord. nell’Università Tsinghua, Vice Presidente della Sezione di diritto civile dell’Associazione per la scienza giuridica della Cina. Il prof. Cui ha mostrato come, nella recente storia cinese, in tale materia si sia passati dall’assenza di normativa a una regolamentazione completa: in particolare, il Codice civile ha risolto alcune questioni rimaste dubbie nel quadro giuridico che riguardava precedentemente il tema e ha altresì stabilito importanti regole per l’interpretazione di questa tipologia di clausole. Il contributo di Wang Liming si occupa, invece, della materia dei diritti della personalità. Wang Liming è professore ordinario nella Università del Popolo (RUC), è Presidente della Sezione di diritto civile della Associazione per la scienza giuridica della Cina, ed è stato Rettore della RUC e Membro dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Egli è stato altresì il giurista a capo della linea che ha fortemente voluto e, come le vicende hanno poi dimostrato, ottenuto, l’elaborazione di un libro ad hoc dedicato al tema. Nel contributo, l’autore spiega come la previsione di un libro autonomo sui diritti della personalità nel Codice civile cinese, così come i relativi punti salienti e le innovazioni da questo introdotte – di cui viene dato puntualmente conto nel testo – sostenendo come si forniscano così una serie di fondamentali garanzie per proteggere in modo più completo la sfera privata dei cittadini, oltre a rappresentare la proposta di un ‘modello cinese’, offerto anche come possibile spunto di ispirazione per altri Paesi.
Come ha accolto la scienza giuridica italiana il Codice?
Le origini del rapporto tra la scienza giuridica italiana e quella cinese nel corso delle ultime decadi sono richiamate nel contributo, posto in appendice del volume, di Pierangelo Catalano, professore emerito della ‘Sapienza’, Università di Roma, su ‘Fondamenti e convergenze tra Roma e Pechino contro l’individualismo’. In tale contributo, infatti, dopo l’approfondimento di alcuni aspetti relativi al rapporto tra Res publica romana e Repubblica popolare cinese, viene richiamato alla memoria il contributo del ‘Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano’ rispetto alle attività di scambio scientifico in materia giuridica con la Repubblica popolare cinese avviate sul finire degli anni ’80 del secolo scorso (attività che hanno riguardato, su scala più ampia con i ‘Paesi socialisti’ e, nei tempi più recenti, la dimensione eurasiatica).
Il primo contributo raccolto nel volume è, non a caso, di Sandro Schipani, professore emerito nella ‘Sapienza’ Università di Roma, che per il Gruppo di ricerca di cui sopra si è fatto poi, instancabilmente, carico di portare avanti i rapporti con i giuristi cinesi nel corso delle decadi successive formando diverse generazioni di giuristi cinesi sempre nel dialogo tra Cina e del sistema giuridico romanistico. Schipani si misura con la questione delle ‘Vie dei codici civili e Codice civile cinese’, mostrando come se con i Codici giustinianei, frutto della sinergia fra concittadini-legislatori e giuristi, entrambi impegnati a tenerlo saldo per condurlo verso ciò che è migliore e produttivo per una maggiore uguaglianza degli uomini, si conclude l’età della formazione del sistema del diritto romano, quegli stessi Codici hanno percorso nelle epoche successive diverse vie, dirigendosi verso tutti gli uomini, e costituendo un fondamentale ancoraggio anche del Codice civile della Repubblica popolare cinese, che rappresenta un emblematico accrescimento del diritto comune per il XXI secolo.
Il contributo successivo è di Riccardo Cardilli, professore ordinario di diritto romano nell’Università di Roma ‘Tor Vergata’ e Coordinatore del CSEA (Centro Studi Euroasiatici) e Direttore del CSGLA (Centro di studi giuridici latinoamericani), oltre che autore, insieme al prof. Stefano Porcelli, del volume ‘Introduzione al diritto cinese’, edito nel 2020 per i tipi dell’editore Giappichelli. Il prof. Cardilli svolge un’analisi complessiva dei contenuti del Codice, sottolineando come per il governo della Repubblica popolare cinese, nel corso delle ultime decadi, si sia rivelato di fondamentale importanza il ricorso alla legge come strumento tecnico-ordinatore della materia civilistica; allo stesso tempo, questo studioso non manca di sottolineare l’importanza di alcune scelte compiute nel Codice cinese rispetto ad alcuni importanti ‘snodi’ dogmatici, espressione di un dialogo tra Cina e sistema giuridico romanistico e che caratterizzano la struttura e gli stessi contenuti del Codice.
Nel contributo di Marina Timoteo, professoressa ordinaria di diritto comparato nell’Università di Bologna, invece, viene dato risalto alla circostanza per cui il Codice si pone nel solco di una linea storica, che parte dagli inizi del secolo scorso e rappresenta un elemento di raccordo nell’ambito dell’ordinamento giuridico civilistico cinese. All’interno di quest’ultimo, Timoteo, concentrando la sua attenzione in particolare sul libro sui diritti della personalità, non manca di sottolinearne la crescita esponenziale, nell’ultimo quarantennio, attraverso normative di settore, sebbene siano evidentemente presenti elementi di novità e affermazioni o riaffermazioni di strutture, istituti e norme legati al contesto locale, spesso connessi con la retorica dei ‘caratteri cinesi’ offrendo, rispetto a diversi aspetti, esempi di ibridazione tra modelli giuridici.
Successivamente viene pubblicato il contributo di Stefano Porcelli, già Professore a contratto presso la CUPL ed ora Ricercatore a T.D. di tipo ‘b’ di diritto romano nell’Università di Brescia, dove è titolare dell’insegnamento di Introduzione al diritto cinese. In questo saggio, Porcelli mostra come il recente Codice civile della Repubblica popolare cinese poggi su elementi frutto delle riletture, sia borghesi, sia socialiste, di quanto ereditato dalle fonti romane, elementi comunque poi metabolizzati alla luce delle plurimillenarie tradizioni e cultura cinesi. La recezione di tale tradizione rappresenta dunque il più maturo frutto del dialogo intrapreso oltre un secolo addietro tra Cina e sistema giuridico romanistico.
Nel volume sono state poi raccolte le opinioni di giuristi italiani rispetto ad argomenti più specifici. Nel contributo di Aldo Petrucci, professore ordinario di diritto romano nell’Università di Pisa, partendo da una esposizione del progressivo affermarsi del principio dell’autonomia contrattuale nella tradizione giuridica romanistica e considerando, poi, come tale principio sia stato recepito e operi in alcuni ordinamenti europei, a cominciare dal XIX secolo, lo studioso giunge successivamente a valutarne, da un lato, l’attualità in talune normative o progetti di normative a livello sovrannazionale, dall’altro, la specificità della soluzione cinese adottata nel Codice, alla luce di osservazioni in prospettiva diacronica e sincronica.
Ancora in tema di contratti, ma questa volta con riferimento a uno dei contratti tipici storicamente più risalente, cioè il mutuo, sebbene con ricadute anche su importanti elementi in tema di contratto in generale è il contributo di Antonio Saccoccio, professore ordinario di diritto romano nella ‘Sapienza’ Università di Roma e Direttore della Rivista ‘Roma e America. Diritto romano comune. Rivista di diritto dell’integrazione e unificazione del diritto in Eurasia e in America Latina’. In quest’ultimo contributo si tenta di mostrare come il legislatore cinese, in ossequio alla tradizione di cui alcune tra le linee essenziali sono tracciate nello scritto, e pur prevedendo la possibilità di stipulare dei mutui consensuali, con una scelta più moderna rispetto a quelle compiute in altri ordinamenti, ha optato per il mantenimento del mutuo reale, inserendosi nel solco profondo tracciato nel sistema giuridico romanistico da altri illustri precedenti. Egli, pertanto, si sente di valutare positivamente la scelta cinese di non accantonare la categoria dei contratti reali, rifiutando, per ciò stesso, quelle posizioni, pure diffuse nella temperie moderna, che ne propongono addirittura l’abolizione.
Della materia del diritto di famiglia si occupa invece il contributo di Pietro Lo Iacono, professore ordinario nell’Università LUMSA di Roma, il quale si propone di porre in risalto la peculiare concordanza esistente tra il diritto canonico e l’ordinamento della Repubblica Popolare Cinese relativamente al carattere eterosessuale del vincolo matrimoniale. Ad avviso dell’autore, ciò costituisce un’ulteriore conferma dell’importante ruolo svolto dal diritto naturale, rispetto al quale, in Cina, importante è stata altresì la mediazione dell’esperienza giuridica romana, che può considerarsi come sovraordinato al diritto positivo chiamato a qualificare le fattispecie concrete, non a crearle.
In conclusione, ci piace sottolineare come una straordinaria testimonianza della calorosa accoglienza che la scienza giuridica italiana, in particolare la scienza giuridica romanistica, abbia riservato all’entrata in vigore del Codice civile cinese sia costituita dalla traduzione in italiano del Codice civile stesso. Tale traduzione, opera della collega cinese prof. Huang Meiling e pubblicata nel 2021 per i tipi dell’editore Pacini, ha visto la luce grazie alla cura (tra gli altri) del prof. Oliviero Diliberto, non a caso professore di diritto romano presso ‘Sapienza’ Università di Roma, dove attualmente è anche Preside della Facoltà di Giurisprudenza. Da anni, infatti, il prof. Diliberto è il paladino e vigoroso diffusore dell’idea forte che è alla base del nostro volume, cioè della crescente importanza del diritto cinese nell’attuale mondo globalizzato e della sua stretta colleganza con le radici romanistiche.
Con questa raccolta di scritti sul nuovo Codice civile cinese, nella quale è forte la presenza di giuristi italiani, oltre che cinesi, auspichiamo che, nell’ottica dell’accrescimento del sistema, tanto per la teoria, quanto per la pratica, i giuristi contemporanei possano trarre utili informazioni e spunti di riflessione.
Antonio Saccoccio è professore ordinario di Diritto romano nella ‘Sapienza’ Università di Roma, dopo aver insegnato per molti anni Diritto romano presso l’Università di Brescia, dove è stato Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza. È Direttore della Rivista ‘Roma e America. Diritto romano comune. Rivista di diritto dell’integrazione e unificazione del diritto in Eurasia e in America Latina’, STEM Mucchi Editore, e autore di diverse monografie e saggi, anche sul diritto cinese. È stato relatore in molteplici Convegni e Seminari in Europa, America Latina e Cina. Ha organizzato a Brescia sei edizioni della Summer School di diritto cinese e italiano. È membro di diverse associazioni accademiche internazionali e di numerosi Comitati scientifici di Riviste e Collane scientifiche.
Stefano Porcelli è attualmente ricercatore a tempo determinato di tipo B con abilitazione per la II fascia, e professore aggregato di Introduzione al diritto cinese presso l’Università degli studi di Brescia. Ha insegnato per diversi anni a Pechino presso la China University of Political Science and Law. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata ed un secondo dottorato presso la China University of Political Science and Law con tesi elaborata e discussa in lingua cinese. È membro di diversi centri di ricerca e autore di lavori pubblicati sia in Italia che in Cina ed altri Paesi tra cui, recentemente, la monografia Hetong e contractus. Per una riscoperta dell’idea di reciprocità nel dialogo tra diritto cinese e diritto romano e (come co-autore) Introduzione al diritto cinese.