
Quali erano le sue origini?
Come dicevo, Cleone amava mostrarsi come un perfetto rappresentante del popolo minuto ateniese, quella massa di artigiani, marinai, commercianti che popolavano il Pireo, il porto di Atene, e l’agorà, la piazza in cui si svolgeva il grosso della vita sociale – oltre che economica – della città. Su questa immagine giocavano anche i comici, ma non corrisponde alla verità che emerge dalle diverse fonti e testimonianze del passato. Quando si ricostruisce un passato così remoto occorre stare in guardia e valutare con attenzione ogni singolo documento, distinguendo la rappresentazione dalla realtà, che spesso passa attraverso fonti meno autorevoli, ma ugualmente importanti. Detto altrimenti non è attraverso la lettura di Tucidide, a cui il dato biografico interessa relativamente, e neppure di Aristofane, che invece ama concentrarsi sui dettagli personali, ma li deforma per ridicolizzare il suo bersaglio, che possiamo ricostruire le origini di Cleone. È negli storici minori, negli oratori e nella documentazione epigrafica che troviamo tracce della vera origine del politico. Ed è un’immagine che rovescia quella che lui amava dare di sé stesso. Cleone non è certo aristocratico, ma il padre aveva accumulato un’enorme ricchezza con una bottega in cui si lavorava la pelle, una produzione artigianale molto complessa ed evidentemente molto redditizia, se poteva finanziare costosissime rappresentazioni teatrali, come le fonti dimostrano. Quando Cleone era un ragazzino l’élite della città non si era ancora isolata rispetto ai nuovi ricchi, come avvenne negli anni successivi, per cui egli condivise con i rampolli delle famiglie più illustri tutti gli anni di formazione, sposandosi con una esponente dell’aristocrazia tradizionale. Egli non era, pertanto, un popolano, bensì un ricco esponente dei ceti benestanti, quelli che da sempre guidavano la città e finanziavano i maggiori eventi pubblici per accrescere il proprio prestigio sociale.
Quale formazione culturale aveva ricevuto Cleone?
La formazione culturale è uno degli aspetti più interessanti della sua biografia, perché è una cartina di tornasole della complessità del periodo storico in cui visse. L’età periclea – quella in cui si formò – fu caratterizzata da un rapido sviluppo delle scienze, oltre che delle arti, ma non fu uno sviluppo privo di contraddizioni e resistenze. Non era facile lasciarsi alle spalle la cultura tradizionale, connessa com’era ai riti e alla religiosità che da sempre scandivano i tempi della comunità. Plutarco ricorda un episodio che vide coinvolto Pericle. La nascita di un montone con un solo corno destò l’interesse del grande politico, che consultò due persone a lui legate: Lampone, un indovino esponente della religiosità tradizionale, e Anassagora, il filosofo naturalista che indagava il mondo con un approccio scientifico. Il primo disse che era un presagio positivo, che annunciava l’ascesa di Pericle e la sconfitta politica del suo avversario, Tucidide di Melesia; diversamente, il secondo si limitò ad aprire il cranio e mostrare che l’altro corno non si era sviluppato per motivi anatomici. Pericle preferì questa interpretazione, mentre c’è da giurare che Cleone sarebbe stato più propenso a dare credito all’indovino. Era, infatti, molto legato ad un sapere tradizionale, ostile alle innovazioni culturali del tempo, ai sofisti, ad esempio. In questo era effettivamente vicino al sentire popolare, che aveva visto con diffidenza il radicarsi ad Atene di circoli intellettuali portatori di una cultura moderna e trasgressiva. Tuttavia, il suo tradizionalismo culturale e religioso non era prerogativa esclusiva dei settori più poveri della popolazione, se anche il suo avversario principale, Nicia, era famoso per la profonda religiosità che guidava tutte le sue scelte. È il periodo storico in cui vivono, caratterizzato da cambiamenti epocali e perciò spaventosi, a rendere possibili scelte apparentemente incoerenti. Non esisteva la possibilità, per dirla con parole attuali, di delimitare nettamente un campo progressista da un campo conservatore in termini di scelte politiche e culturali.
Quali vicende segnarono l’affermazione sociale e politica di Cleone?
Questo è il nodo storico decisivo per comprendere la vicenda di Cleone: perché un ricco artigiano, ben inserito nell’élite sociale e culturale della più importante città del tempo, decide di diventare l’esponente della parte povera della comunità? Questo è dipeso in buona parte dalle contingenze storiche di quel momento, da avvenimenti imprevedibili che trasformarono la società ateniese. Quando Pericle pensa che ormai il tempo è maturo per arrivare ad uno scontro con Sparta, elabora una strategia militare basata sul punto di forza di Atene: il porto e l’impero navale da cui provengono buona parte delle sue ricchezze. Così propone al popolo di abbandonare la regione che circonda il centro cittadino, di rifugiarsi tutti dentro le mura e vivere con i beni che provengono dagli alleati per via navale. Nel frattempo occorreva condurre una guerra di logoramento con la meno ricca Sparta. L’idea era l’ennesima dimostrazione dell’intelligenza di Pericle, il quale, però, non aveva tenuto conto – e non avrebbe potuto – che l’affollamento dei cittadini in uno spazio limitato poteva favorire il propagarsi di malattie, come avvenne. La strategia periclea determinò tre conseguenze. La prima fu che Atene prese a dipendere sempre di più dai traffici commerciali e dalle produzioni artigianali, mentre i proprietari terrieri, che componevano la stragrande maggioranza dell’aristocrazia tradizionale, perdevano la fonte delle loro ricchezze. Si produsse pertanto una spaccatura in seno all’élite tra quanti derivavano il proprio benessere dai commerci, come Cleone, e chi invece si arricchiva con il possesso fondiario. La seconda conseguenza fu che il popolo inurbato poteva partecipare più attivamente alla vita politica e costituire una solida base per avventure personali. Infine, la peste generò un sentimento di rabbia e di vendetta nei confronti degli Spartani che poteva essere strumentalizzato politicamente. Cleone, che grazie alla guerra si stava ulteriormente arricchendo, prese a cavalcare questo sentimento e si propose come il rappresentante di chi voleva condurre fino in fondo lo scontro con Sparta, scelta che lo portò a rompere con i suoi vecchi amici, i ricchi latifondisti ateniesi che volevano arrivare ad un accordo con la rivale. La morte di Pericle creò un vuoto che egli prontamente colmò divenendo – secondo le parole del grande cronista di quegli eventi, lo storico Tucidide – “il più ascoltato dal popolo”.
Come nacque e si sviluppò l’immagine negativa di Cleone?
Si formò negli ambienti con i quali aveva rotto, nei gruppi conservatori di cui aveva fatto parte e nei quali si consolidò l’idea che lui fosse un traditore. A partire da questi ambienti si iniziò ad attribuire a Cleone l’immagine convenzionale del rinnegato, incarnazione di ogni male: barbaro, analfabeta, ignobile. A queste dicerie Aristofane attinge per le sue commedie propagandando così la rappresentazione di un Cleone caratterizzato da questo modo di presentarsi e comportarsi. È stata la descrizione aristofanea a riscuotere il maggiore successo, a creare la sovrapposizione tra demagogo e politico sguaiato legato al popolo da un rapporto malato di reciproca dipendenza. Un’immagine che ha avuto enormi ripercussioni nella storia, tanto che – per fare un esempio – Gadda la fece sua paragonando Mussolini al Cleone di Aristofane. Diverso è il caso di Tucicide, anche lui ostile al demagogo, ma per altri motivi. Tucidide è coinvolto nella politica di quegli anni in prima persona e preferisce leggere il fenomeno demagogico dal punto di vista della proposta politica, delle sue idee sul governo della città, piuttosto che prestare attenzione all’immagine esteriore, al modo di presentarsi in pubblico.
Quali principi ispirarono la politica di Cleone?
Come ricordavo prima, la stella polare della politica di Cleone fu la necessità di portare vittoriosamente a termine la guerra contro Sparta, cominciata da Pericle. Occorreva superare ogni tentennamento e finanziare la macchina bellica ateniese in ogni modo, perciò impose un aggravio del tributo sugli alleati e sostenne ogni campagna militare volta all’annientamento del nemico. L’intento era, in ultima analisi, di liberare l’espansione ateniese dai vincoli imposti dalla presenza della rivale. Cleone nutrì anche il sogno di un allargamento dell’impero ateniese in occidente, in Sicilia, cosa che, però, non gli riuscì. Evidentemente una politica così aggressiva militarmente, e di conseguenza dispendiosa in termini di vite umane, necessitava di un ampio sostegno in assemblea. Per ottenerlo egli fece ricorso a tutta la sua abilità retorica e, soprattutto, a politiche orientate a guadagnargli il favore popolare. In particolare, egli aumentò la paga giornaliera dei giudici popolari, un esercito di 6000 cittadini che in maniera regolare erano chiamati a dirimere le controversie giudiziarie. In qualche modo con questo provvedimento mirava a comprarsi una parte dei concittadini, cosa che gli fu rinfacciata anche da Aristofane. Cleone seppe utilizzare il consenso costruito nel tempo per intraprendere anche una serie di attacchi nei confronti dei suoi avversari, nelle cui file prese a serpeggiare il timore di dovere giustificare le proprie scelte in tribunale al cospetto dei sostenitori del demagogo. Questi poterono tirare un sospiro di sollievo solo quando ad Atene giunse la notizia della sua morte sul campo di battaglia ad Anfipoli. È ancora una volta Aristofane a registrare il sentimento di liberazione che si respirò in parte della popolazione ateniese, che vedeva avvicinarsi la tanto agognata pace. Ma era una speranza effimera. Dopo pochi anni la guerra riprese e Atene si trovò in una situazione di maggiore svantaggio rispetto al periodo durante il quale era stata guidata da Cleone. La definitiva sconfitta avverrà molti anni dopo e solo una prospettiva di lunga durata – e anche tendenziosa – poteva attribuirla al primo dei demagoghi ateniesi.
Vittorio Saldutti è ricercatore in storia greca presso l’università di Napoli “Federico II”. Laureato nella stessa università, ha proseguito gli studi a Bari, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in storia antica, per poi perfezionarsi in Germania, nell’università di Mannheim. Studioso del fenomeno demagogico nel mondo antico e, più in generale, della democrazia ateniese, oltre al volume in discussione ha pubblicato numerosi lavori su riviste italiane ed internazionali.