
Nell’epoca contemporanea si sono affermati due opposti modi di valutare il classico all’origine di approcci diversi: uno lo considera un valore immutabile e atemporale e quindi fissato per sempre in un modello assoluto e un altro cerca la complessità della storia nelle sovrapposizioni di senso che il termine ha accumulato, rilevandovi le intime contraddizioni e le interazioni con culture ed esperienze diverse. Il classico può sopravvivere solo in questa seconda versione, rinnovandosi continuamente e perdendo così il rischio di fossilizzarsi in formule astratte e vuote.
Quali trasformazioni semantiche ha subito il termine “classico”?
Classicus deriva da classis che indicava l’insieme dei cittadini accomunati dall’appartenenza a uno stesso gruppo; per estensione il termine finì per indicare i cittadini della prima classe, quelli chiamati alle armi, dotati quindi di mezzi economici e militari. Nel suo significato proprio classicus indicava dunque l’appartenenza a una classe censuaria elevata e in questo senso è usato nei testi latini. Il collegamento tra classicus e il significato metaforico di autorevole ed eccellente appare per la prima e unica volta nell’antichità in un noto passo dello scrittore e erudito del II secolo d.C. Aulo Gellio (130-180 d.C.), che nelle Notti attiche usa classicus nel senso di prima classe che indica quindi prestigio e qualità. Successivamente il termine viene usato di rado in senso metaforico e indica nel suo utilizzo latino gli scrittori affidabili. Il primo utilizzo in volgare italiano avviene nell’ambito dell’oratoria sacra per indicare gli scrittori autorevoli e degni di credibilità. Fino al 700 il collegamento classico-antico che si affermerà con forza alla fine del secolo XVIII è sporadico; gli scrittori classici possono essere indifferentemente antichi e moderni; il significato prevalente è quello di autorevole e affidabile, anche esemplare. Nell’800 a questi significati si aggiunge anche, in Italia, quello di classico in quanto nazionale, legato cioè a una tradizione nazionale. La vera svolta avviene in pieno Ottocento quando, dopo la contrapposizione tra classici e romantici, tra antichi e moderni, passati gli entusiasmi della modernità, ci si comincia a interrogare in modo critico su cosa sia effettivamente un classico. La risposta che viene data da letterati come Sainte-Beuve, Stendhal e molti altri, è che classico non ha solo un valore estetico, normativo, ma è piuttosto ciò che è contemporaneo a ogni epoca, ciò che evolve nel tempo e accompagna le trasformazioni delle civiltà. Un’idea dinamica quindi di classico che il Novecento farà sua.
Cos’è il classicismo?
La parola classicismo nasce nell’Ottocento in momenti diversi nelle singole culture ed esprime in primo luogo una tendenza dello stile, un insieme di regole e caratteristiche, una proposta estetica; implica anche un principio di periodizzazione ed eredita da classico la valenza polisemica, accentuata dallo sguardo retrospettivo implicito nell’uso del termine come categoria storiografica; tanti periodi e tante opere sono definibili come appartenenti al classicismo o come connotative dello stesso, dal classicismo greco attico, a quello augusteo dell’età imperiale romana a quello, per tornare in Italia, trecentesco (dei tre grandi autori, Dante, Petrarca, Boccaccio) oppure cinquecentesco, relativo al recupero dell’antico e all’affermazione del principio dell’imitazione come connotazione fondamentale dello stesso. Oltre a indicare le epoche dell’antichità, classicismo viene dunque impiegato ripetutamente ogniqualvolta sia necessario sottolineare la ripresa di modalità risalenti alla cultura antica o alla sua imitazione in epoca moderna, che si tratti del periodo tra fine Seicento-inizio Settecento o fine Settecento-inizio Ottocento o ancora il tardo Ottocento. Classicismo dunque può indicare diversi aspetti anche eterogenei tra di loro: uno stile e una tendenza estetica, un sistema normativo, un arco cronologico, una tipologia culturale, una periodizzazione storiografica.
Quali caratteristiche possiede un classico?
Un classico per essere tale nella modernità non può possedere delle caratteristiche prefissate. La storia della parola e del concetto di classico nel Novecento è estremamente complessa perché il ventesimo secolo ha amplificato il significato di classico e ne ha dilatato i confini; l’interrogazione continua sui linguaggi e sull’arte che interessa il Ventesimo e il Ventunesimo secolo ha coinvolto il senso stesso di classico e la diffusione dell’espressione a vari livelli della vita quotidiana e sociale, così come della critica artistica e letteraria, conferma l’estrema duttilità del termine, che si presta a utilizzi diversi.
Il dibattito ottocentesco era approdato alla definizione di un classico come qualcosa in divenire che interpreta l’epoca contemporanea; un classico insomma è stato prima di tutto moderno, cioè al centro del suo tempo, ed è in virtù di questa capacità di innovazione rispetto alla sua epoca che può avere un successo anche presso i posteri. Ma non c’è solo questo nel Novecento: il poeta russo Osip Mandel’štam ha scritto che la poesia classica viene sentita come «ciò che deve ancora essere, non come ciò che è già stato»; classico è quindi ciò che trae le radici nel passato, si proietta nel futuro, si rinnova e si configura come dimensione di ricerca, abolendo i confini temporali lineari e il rapporto privilegiato con il passato. È questa l’evoluzione che nel XX secolo produrrà nuovi significati che si sovrapporranno ai precedenti. Negli ultimi decenni infatti la riflessione si è spostata su una visione relativistica e su un’estensione spaziale e temporale del concetto di ciò che è classico legato alle sollecitazioni del presente: la riflessione attorno a classico per la rilevanza delle questioni implicate (il canone scolastico, la funzione politica e sociale, il rapporto tra accademia e società, il confronto tra culture diverse) non è decisamente più una questione solo letteraria o artistica, ma mette in gioco interrogativi che riguardano la funzione formativa della letteratura, la centralità della cultura nei processi di integrazione, i linguaggi dello spirito e dell’esperienza, il rapporto dell’arte con i processi storici.
La vitalità del classico nasce non tanto dal recupero passivo della tradizione (e ogni istanza di riconoscimento automatico di autorità, di canone rigido è controproducente), ma dalla ricchezza di testi appartenenti a epoche e culture diverse che ci restituiscono l’esperienza vitale e mettono in moto il flusso del pensiero e della civiltà; nasce dalle risorse che derivano dal confronto con le altre culture che ci fanno ritornare con maggiore consapevolezza sulla nostra.
Quali sfide pone alla modernità il classico?
Le indicazioni che vengono dal contesto globale hanno influito sulla connotazione semantica di classico che ha ora un significato più includente in chiave globale, non normativo, in grado di comprendere e riassumere un senso di progresso e civiltà, visto in funzione dinamica. Classico deve liberarsi sia dal retaggio della opposizione a romantico, che pesa paradossalmente sulla nostra cultura ancora imbevuta per certi versi di spirito romantico e che quindi orienta negativamente il giudizio su classico, sia da ogni identificazione con sistemi normativi o classificatori. Un libro è classico non perché stabilisce un legame con il passato o perché suggerisce un rapporto passivo di identificazione con la nazione o con una tradizione specifica o con un sistema normativo di valori estetici, ma in quanto riesce a restituire l’esperienza esistenziale e culturale rielaborandola con modalità che non possono essere fissate una volta per sempre, nelle quali è compreso il dialogo con il passato, con i luoghi e con la cultura nazionale, ma anche il confronto con le civiltà mondiali e con un presente composito che appartiene alla contemporaneità.
Proprio per valorizzare la sua lunga storia e non tradire i suoi significati più autentici così come sono usciti dal dibattito che si è sviluppato nel corso dei secoli, classico va usato senza etichette come post o neo; e va utilizzato non all’interno di blocchi oppositivi, in contrapposizione a categorie che solo apparentemente possono risultare più innovative come moderno o come romantico, ma in modo autonomo; anzi se dovessimo pensare a nuovi blocchi oppositivi (dopo quelli consueti: antico/moderno, classico/romantico, tradizione/innovazione, progresso/decadenza ecc.) potremmo piuttosto pensare a classico opposto a ignoranza, dispersione, censura; un classico valido per tutte le civiltà. Le parole che accompagnano classico sono consapevolezza, libertà intellettuale, educazione, civiltà, democrazia. Non è un caso che gli interrogativi su classico ritornino in concomitanza con momenti cruciali della storia dell’umanità; Eliot scriveva Che cos’è un classico? nel pieno della seconda guerra mondiale; Steiner ne metteva in relazione il senso con la tragedia della Shoah, che aveva spezzato la continuità della storia e della civiltà; Edward Said intitolava Ritorno alla Filologia uno dei capitoli di Umanesimo e democrazia, scritto dopo l’11 settembre 2001, in cui auspicava una resistenza alla omologazione e manipolazione del sapere, alla perdita di libertà intellettuale in nome di una filologia che è amore per l’intelligenza umana all’interno di una pluralità di prospettive spaziali e temporali. La sfida di Classico è proprio quella di sollecitare un nuovo umanesimo e suggerire saldamente un filo rosso.