
Quali indici determinano il grado gay-friendly di una città?
Non è stato facile determinare con un algoritmo il grado di inclusività della comunità LGBT. Tuttavia con la nostra ricerca abbiamo fatto un passo in avanti passando dal concetto di città “gay-friendly” a quello di “città arcobaleno”. Ciò significa che un’area urbana o più in generale un territorio non offre semplicemente un grado di apertura civica verso le persone omosessuali ma istituzionalizza e rende efficaci tutta una serie di servizi e di dispositivi di politica sociale appannaggio dei cittadini LGBT, come è stato, solo per fare un esempio, con l’istituzione del registro delle unioni civili che ha anticipato la legge Cirinnà. Per far questo abbiamo operativizzato il concetto di “città arcobaleno” in sei dimensioni rilevanti: servizi di supporto sociale, sicurezza urbana, occupazione e mercato del lavoro, cultura e vita sociale, turismo, associazionismo e reti, definendo successivamente degli indicatori specifici da rilevare. L’indice sintetico di inclusività urbana ci ha poi permesso di creare una classifica, con un punteggio di variazione da 0 a 100, delle città arcobaleno.
Qual è il dato più sorprendente che emerge dalla vostra ricerca?
L’impressione globale che ricaviamo dalla ricerca è la complessità dei processi e dei diritti in gioco che identificano come dato più sorprendente non soltanto la possibilità di creare una gerarchia di aree del paese anche sui temi dei diritti LGBT, ma soprattutto la leadership di quelli che abbiamo denominato “sindaci arcobaleno” che ha mandato in corto circuito i gangli della politica nazionale. Paradossalmente sono proprio gli amministratori locali, ben prima del Legislatore e della classe politica, a rivelarsi testa d’ariete per squarciare il muro dell’eterosessismo e della resistenza politico-istituzionale verso i diritti dei cittadini omosessuali. Ciò che è necessario comprendere per tematizzare la teoria delle città arcobaleno è il cammino di questa progressiva definizione di confini e di relative competenze tra sistemi. In sintesi, si passa da una situazione nazionale di pluralismo tanto competitivo quanto scomposto sui principali temi dei diritti di cittadinanza degli omosessuali (il gioco è tra deputati, capicorrente, luogotenenti, capigruppo, dirigenti di partito…) a una centralizzazione delle decisioni che si sposta a livello territoriale e viene incarnata dai sindaci con l’assist delle associazioni omosessuali. Ad “amministrare” questo principio ci provano i Sindaci di alcune tra le principali città arcobaleno: Orlando a Palermo, De Magistris a Napoli, Marino a Roma, Merola a Bologna, Fassino a Torino, Pisapia a Milano sono stati tra quelli più “sanguigni” sotto questo punto di vista. Gli obiettivi raggiunti, in tutto o parzialmente, sono stati sostanzialmente tre: politici, riassumibili in tutto ciò che comporta il riconoscimento di diritti, politiche di lotta alle discriminazioni e di promozione delle differenze; socio-culturali, con riferimento alla visibilità della comunità al cambiamento di mentalità, superamento dell’omofobia, informazione corretta sui temi Lgbt; servizi territoriali di base come l’assistenza socio-sanitaria, consulenza o dispositivi di welfare. Dalla loro parte le amministrazioni locali hanno avuto nell’associazionismo territoriale, in una nuova generazione di giunte di esperti e di specialisti e finanche nei media e nei social networks il loro assist.
Le città arcobaleno rappresentano la nuova frontiera nel processo di inclusione sociale degli omosessuali: a che punto è il nostro Paese?
Direi che le città arcobaleno – anche a costo di profondi stravolgimenti politici e sociali – si preoccupano di reinventare sé stesse e il rapporto con la comunità omosessuale attraverso geografie e dinamiche creative, in bilico tra atteggiamento reazionario della maggioranza eterosessuale e piglio rivoluzionario della minoranza omosessuale. Le città arcobaleno sono parte attiva nel processo di legittimazione delle istanze della comunità LGBT anche se con forme di azione, negoziazione e cooperazione a gradazione variabile. In sintesi, le città arcobaleno non sono un ideale filosofico, un puntellato di mise en oeuvre di quel complesso di politiche, prassi e comportamenti sociali che trovano nei Comuni italiani il campo d’azione più efficace. Nel rinnovato (e oggi in via di revisione) titolo V della Carta Costituzionale i Comuni rappresentano il primo livello “sussidiario” dell’ordinamento giuridico, quanto ad esercizio di funzioni e poteri di amministrazione pubblica. È a questo livello di governo che si registra una varietà di azioni di tutela e supporto alla comunità omosessuale, attesa la persistente mancanza di un quadro generale di riferimento normativo su scala nazionale. Siamo in presenza di “polis” che sussumono le funzioni delle politiche di tutela e di inclusione delle minoranze che uno Stato dovrebbe essere in grado di attuare. Peraltro la resistenza delle amministrazioni nell’advocacy dei cittadini omosessuali ha conseguenze sia sul piano economico sia su quello sociale. Si pensi soprattutto al caso delle dichiarazioni rilasciate da alcuni sindaci della Lega Nord che, lungi dal trasmettere un’immagine accogliente del proprio territorio, hanno finito per tenere lontana una buona percentuale di turisti omosessuali. Gli studi sociologici sul turismo arcobaleno hanno a più riprese messo in evidenza che la scelta delle persone LGBT delle destinazioni in cui soggiornare è fortemente condizionata dalla “sensibilità” dei territori
Quanto è profondo il gap tra il nostro Paese e i paesi più avanzati?
Sotto il profilo squisitamente sociale l’Italia è un Paese abbastanza allineato con i Paesi dell’occidente democratico in tema di diritti LGBT. Non è un caso che i “Gay Pride” negli ultimi decenni siano cresciuti, per diffusione geografica e per partecipazione societaria, fino a comporre quella che le associazioni definiscono “Onda Pride”. Resta la zavorra della classe politica italiana e di una certa area partitica del nostro Paese che continua a tenere esclusi dall’agenda politica i diritti di cittadinanza delle persone omosessuali. A fronte di una discreta diffusione dei temi LGBT, manca ancora oggi in Italia una strategia di rete tra politica, politiche e governance locale. Mancano anche dispositivi di perfetta integrazione come il matrimonio tra persone dello stesso sesso diffuso in molti Paesi europei ma sostituito in Italia da una legge sulle unioni civili. Di qui la necessità di riguardare al modello delle città arcobaleno che, entro i molteplici e contraddittori processi di riorganizzazione su scala globale, sviluppano competenze, dispositivi e politiche necessarie per governare fenomeni complessi e territorialmente radicati come quello dei diritti di cittadinanza.
Come evolverà a Suo avviso il processo di inclusione sociale della comunità Lgbt nel nostro Paese?
Sotto questo punto di vista un processo di inclusione sociale è massimo quando la funzione di uno Stato si misura con la risoluzione dei problemi di tutt* i suoi cittadini. In Italia la questione omosessuale, eccezion fatta per la legge sulle unioni civili, è delegata a giudici, dirigenti di scuole e università o alla leadership effettiva dei sindaci che, peraltro, è generalmente cresciuta quando si è misurata con la questione omosessuale. Credo allora che questa stagione politica avrà continuità solo attraverso un profondo rapporto di identificazione con i governi locali. Nel magmatico panorama della politica nazionale, i sindaci emergono come punti di riferimento per i cittadini omosessuali: le città italiane diventeranno luoghi autonomi di sperimentazione politica i cui effetti si estenderanno su scala nazionale. Il rapporto con il governo della città è il nuovo viatico della rivendicazione arcobaleno. C’è un bisogno primario di riemergere e di tornare alla lotta per i diritti civili in maniera compatta; questo stile del fare che accompagna l’azione dei sindaci arcobaleno sembra poter tradurre in prassi e atti amministrativi positivi le rivendicazioni della comunità LGBT.