
di Roberto Bizzocchi
Laterza
«Cos’è per noi, oggi, un cicisbeo? Se si cerca in Internet la parola, col suo plurale, il suo femminile, e il sostantivo derivato che indica il costume – cicisbeismo –, ci si rende conto che nel linguaggio comune il cicisbeo è sempre ben vivo. Dalle numerose occorrenze in rete esso risulta come una figura dalle caratteristiche non contraddittorie eppure piuttosto ampie: un damerino, un vagheggino, un farfallone che svolazza intorno alle donne in un’aura di frivolezza; ma anche un frequentatore di ambienti snob, di cicalecci televisivi e di anticamere cortigiane. L’immagine complessiva del cicisbeo è insomma oggi quella, alla fin fine abbastanza vaga, di un personaggio fra l’effeminato e il galante, comunque ben introdotto nella società del bel mondo.
Quest’immagine non è del tutto in contrasto con la realtà storica; però in passato c’è stato un momento, anzi proprio un secolo, in cui la parola, appena coniata, ha indicato qualcosa di molto più preciso, quasi uno specifico ruolo. Eccone la definizione proposta dal principale dizionario della lingua italiana: «Cicisbèo. Il cavalier servente, al quale, conformemente a un’usanza che si andò sviluppando nel secolo XVIII, spettava di tenere compagnia alla dama, con l’assenso del marito, di seguirla e aiutarla in tutti i suoi atti». Dunque, il cicisbeo – o cavalier servente – era un uomo che nel Settecento aveva il compito, pubblico e dichiarato, di vivere a fianco della moglie di un altro, nel quadro di un triangolo programmato e voluto. È di tale figura più precisa che mi occupo in questo libro.
Desidero subito mettere in chiaro un punto fondamentale: il cicisbeismo non si identifica con l’adulterio; esso è infatti un uso riconosciuto e accettato, si svolge alla luce del sole e, per così dire, in modo ufficiale. Proprio perciò si tratta di qualcosa di molto esotico per le nostre abitudini. Non per nulla quando gli antropologi del Novecento si sono imbattuti fuori dal mondo occidentale in costumi matrimoniali per loro inusitati hanno fatto ricorso, per spiegarseli, proprio all’esempio italiano settecentesco: «cicisbeism – così recita un classico dell’antropologia anglosassone – cioè la legittimazione dell’accesso alle donne sposate». […]
La stranezza del fenomeno ai nostri occhi ci suggerisce che siamo di fronte a qualcosa che può rivelarsi non solo o non tanto curioso o magari piccante, ma soprattutto tale da farci penetrare meglio in un mondo che per altri versi ci sembrerebbe tutto sommato simile al nostro e dunque facile da decifrare, e invece non lo è. Ce n’è dunque abbastanza per cercare – senza pretendere di allargare troppo il campo d’indagine – di capire un po’ di più sul nostro cicisbeo italiano, partendo dalle domande più elementari che ci vengono in mente. Che cosa faceva concretamente per adempiere al suo compito? Quali erano i suoi diritti e i suoi doveri? In quali circostanze e modi si affiancava o si sostituiva al marito? […]
Il libro è strutturato come segue. Il prossimo capitolo mette in rapporto l’origine e la diffusione del costume con alcuni cambiamenti indotti dall’Illuminismo nelle idee e nei comportamenti delle nobiltà. Il terzo individua altre cause di successo del fenomeno nelle pratiche demografiche e patrimoniali delle famiglie nobili, e nelle loro strategie di alleanza e di solidarietà di ceto. Il quarto ne illustra le diverse configurazioni in rapporto con la varietà delle nobiltà italiane, concludendosi con un paragrafo di confronto fra il cicisbeismo e l’usanza popolare del comparatico. I primi quattro capitoli insieme provano che il costume riguardava molte importanti cose non sempre immediatamente pertinenti alla sfera erotica, fino ad assumere un rilievo che non è esagerato definire, almeno in senso lato, politico; il quinto mostra come il «servizio» prestato dai cavalieri alle dame poteva riguardare specificamente l’amore e il sesso, e con quali conseguenze. L’ultimo capitolo tratta le cause della scomparsa dei cicisbei alla prova della rivoluzione che ha messo fine all’Antico regime, e dell’avvio di una coscienza nazionale nel Risorgimento.»