
In quale contesto storico e politico si situò l’opera dell’Arpinate?
Cicerone si trovò ad affrontare la profonda crisi della res publica e delle sue istituzioni che colpì la società romana nell’ultimo secolo a.C., all’interno di un contesto geopolitico ‘globale’ che si era aperto sotto la spinta imperialista di Roma. Proprio l’espansionismo romano in chiave imperialista aveva modificato nel profondo alcuni dei presupposti strutturali che a livello sociale, economico nonché politico avevano consentito a Roma di realizzare prima nella penisola italica, e di estendere poi a livello ‘globale’, la propria egemonia attraverso il sistema delle provinciae. Infatti, i tradizionali meccanismi di controllo sociale, come ad esempio la diffusa presenza a Roma di famiglie aristocratiche con le loro fitte reti clientelari, sembravano non più prevalere a livello egemonico rispetto a tutta una serie di problematiche generate dalla rapida espansione romana che vedeva sempre più il formarsi lontano da Roma di gruppi sociali e potentati con interessi sempre meno coincidenti con quelli del senato romano e dell’establishment tradizionale. Si innescavano dunque repentini mutamenti sociali ed economici, difficili da controllare dal senato, che a loro volta generavano quelle forti discrasie sociali ed economiche che avrebbero preparato la res publica alla crisi politica dell’età sillana e a quelle successive.
Quale progetto di rinnovamento politico e culturale si propose di attuare Cicerone attraverso la sua paideia etico-politica?
Cicerone cercò di perseguire un programma politico teso a rinnovare le forze interne della classe dirigente romana. Si trattava di un obiettivo da realizzare innanzitutto attraverso un ampliamento della stessa classe dirigente che per l’Arpinate avrebbe dovuto comprendere non solo elementi che appartenevano all’aristocrazia tradizionale romana, ma soprattutto elementi che provenivano da strati sociali più ampi, come quelli rappresentati dagli equites e dai ceti possidenti italici.
Il progetto di rinnovamento politico auspicato da Cicerone che si accompagnava a un progetto di rinnovamento morale e culturale si presentava assai complesso da realizzare, poiché se da un lato tendeva a promuovere le condizioni per un progressivo rinnovamento dell’intera classe dirigente romana, dall’altro cercava di realizzare questo rinnovamento attraverso la rielaborazione di un insieme di valori etici e politici sui quali ricomporre un’ampia base di consenso in difesa delle istituzioni repubblicane. Si trattava di un progetto che rappresentava il tentativo di superare in nome dell’interesse per il bene comune della res publica la lotta di fazioni che contraddistingueva la vita politica romana. Cicerone era ben consapevole che non si sarebbe mai potuto iniziare alcun processo di rinnovamento culturale e morale della società romana e della sua classe dirigente, senza prima incidere in profondità proprio sul quel sistema di valori che ne avevano costituito il fondamento ideologico e culturale. Per l’Arpinate erano la classe politica e i singoli individui di cui essa si componeva, ma soprattutto le giovani generazioni che sarebbero state chiamate a ricoprire le magistrature, che bisognava educare a nuovi modelli etici se si voleva realizzare un ordine politico realmente rinnovato. L’azione politico-culturale di Cicerone ebbe quindi quale primo obiettivo quello di rinnovare a livello etico e politico, grazie a elementi mutuati dalla filosofia greca classica ed ellenistica, soprattutto di matrice accademica, peripatetica e stoica, il significato di alcuni dei valori tradizionali del mos maiorum, attraverso l’introduzione, sul piano semantico-concettuale, di elementi di duttilità rispetto alle rigidità del modello etico tradizionale. Per realizzare questo suo programma ‘paideutico’ di rinnovamento politico, morale e culturale, Cicerone non poteva fare a meno quindi di porre innanzitutto a revisione l’intero campo semantico di quei concetti etici e politici su cui si era fondata, sviluppata nonché legittimata sul paino ideologico-culturale la res publica. Tutto questo con l’intento di colmare, a livello di trasmissione e in particolare di ricezione dei princìpi del mos maiorum, il divario generazionale che caratterizzava gran parte della crisi della res publica.
Di quali significati si connota, all’interno del pensiero filosofico-politico ciceroniano, il concetto di societas hominum?
Il concetto di societas hominum, con le sue varianti, risponde alla necessità avvertita da Cicerone di concepire nella sua riflessione filosofico-politica, in modo unitario e in termini etici, politici e soprattutto sociali, l’idea stessa di genere umano, di genus humanum. In tale prospettiva si colloca l’elaborazione da parte di Cicerone del concetto di societas hominum, di società degli esseri umani, con tutta una serie di sfumature e di significati politici, culturali ma pure ideali/ideologici, che sono oggetto del nostro studio.
Quali sono i limiti dell’universalismo etico e politico ciceroniano?
È opportuno rilevare come accanto alle istanze etico-universalistiche insite nel conetto di societas hominum, nell’opera di Cicerone permanga in più parti lo spirito particolaristico del conservatorismo aristocratico romano, dal quale l’Arpinate, pur da homo novus quale era, non riuscì mai del tutto a svincolarsi. Quindi, in rapporto ad esempio al concetto di beneficium e ai doveri sociali che ne conseguono, l’Arpinate rimase, nella sua riflessione etico-politica, ancorato alle dinamiche proprie dei rapporti di forza insiti nella società romana, ben distanti da un principio di solidarietà umana universale proprio del concetto di communis hominum utilitas, che tuttavia bisogna dare merito proprio a Cicerone di aver elaborato sul piano etico e teoretico insieme a quello di societas hominum. Tutti concetti etici e politici che daranno ampi frutti in primis nella tradizione teologica cristiana e in gran parte del pensiero politico occidentale.
Qual è la lezione della teoresi politica ciceroniana per il nostro tempo?
Diversi possono essere gli spunti di riflessione che ancora oggi il pensiero politico ciceroniano ci può offrire e che abbiamo cercato, almeno in parte, di evidenziare nel nostro studio. Ad esempio quello che l’impegno politico ha bisogno di una salda preparazione culturale, etica e politica, non di improvvisazione o di mera spregiudicatezza; quello che il consenso politico lo si deve guadagnare prima di tutto attraverso una buona azione di governo; e diversi altri … Per quello che riguarda invece il concetto di societas hominum Cicerone ha mostrato una notevole lungimiranza politica nel cercare di dare una rappresentazione flessibile e inclusiva, nonché un senso etico e politico unitari, di quello spazio geopolitico, con gli esseri umani che lo abitavano, sempre più ‘globale’ e al contempo eterogeneo, su cui Roma aveva esteso la sua egemonia. Cicerone si pose il problema di concepire quello spazio geopolitico non più in termini esclusivamente bellici e di conquista, ma prettamente politici e di governo conferendogli un senso e un valore sul piano etico, politico e sociale.
Fausto Pagnotta ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Studi Politici (Storia delle dottrine politiche – Filosofia politica) alla Sapienza Università di Roma ed è assegnista di ricerca e professore a contratto all’Università di Parma. Le sue ricerche, sulle orme di Reinhart Koselleck e della Begriffsgeschichte, hanno quale primo interesse di studio la storia dei concetti politici a partire dal mondo antico, greco e romano, con una particolare attenzione all’evoluzione politica dei concetti di cosmopolitismo e di città. Parte delle sue ricerche è dedicata al contributo delle donne nella storia del pensiero politico. Nei suoi studi più recenti ha approfondito alcune delle maggiori problematiche etiche, politiche e sociali del rapporto tra esseri umani e tecnologie digitali.