“Chiesa e Riforma in Egidio da Viterbo. Uno studio sul pensiero del Rinascimento” di John W. O’Malley, a cura di Angelo Maria Vitale

Prof. Angelo Maria Vitale, Lei ha curato l’edizione del libro Chiesa e Riforma in Egidio da Viterbo. Uno studio sul pensiero del Rinascimento di John W. O’Malley, pubblicato da Nerbini: quale importanza riveste, per la cultura filosofica italiana del primo Cinquecento, la figura del cardinale agostiniano?
Chiesa e Riforma in Egidio da Viterbo. Uno studio sul pensiero del Rinascimento" di John W. O’Malley, Angelo Maria VitaleLa posizione occupata da Egidio da Viterbo nel contesto della cultura filosofica italiana della prima metà del Cinquecento è centrale. Nonostante la sua personalità sia ancora poco nota al grande pubblico, egli si trova a svolgere un ruolo di primo piano in quel processo che vede Roma sostituirsi a Firenze come capitale del Rinascimento. Negli anni in cui, con i pontificati di Giulio II della Rovere e Leone X de’ Medici, Roma diviene l’avamposto della nuova cultura, Egidio è uno dei protagonisti della politica culturale pontificia. Si potrebbe quasi dire che egli è uno degli “ideologi” di quella politica mirante ad armonizzare la grande filosofia e cultura greca con la fede e la civiltà cristiana. Il suo originale platonismo cristiano, che si ispira da un lato a quello di Marsilio Ficino dall’altro a quello di sant’Agostino, rappresenta uno dei momenti culminanti della tradizione platonica nella prima modernità. Egidio arriva a costruire nella sua Historia viginti saeculorum, sulla base degli strumenti teorici del platonismo e a imitazione del De civitate Dei di Agostino, l’ultima grande teologia della storia. Il suo pensiero ha inoltre inciso profondamente tanto nel circolo di pensatori a lui vicini, quanto nell’arte e nella cultura del tempo. Come hanno infatti mostrato numerosi studi, a partire da quelli di Heinrich Pfeiffer, la sua interpretazione in chiave cristiana del mito pagano ha influenzato molti artisti e letterati dell’epoca. È lui infatti il “consulente teologico” di Raffaello per gli affreschi della Stanza della Segnatura e di Michelangelo per gli affreschi della volta della Cappella Sistina, ed è a lui che si rivolge il maggiore poeta neolatino del secolo, Jacopo Sannazaro, per comporre il poema De partu Virginis. Come è facile notare anche da queste sommarie indicazioni, non si può comprendere adeguatamente la filosofia e, più in generale, la cultura italiana del Cinquecento senza considerare l’apporto filosofico-teologico del frate agostiniano. Il libro di O’Malley, il cui stile è estremamente chiaro e di facile accesso, rappresenta una occasione unica per cogliere l’importanza del suo pensiero. Va detto che questo volume inaugura una collana, “Traditio Augustiniana” che dirigo insieme al professor Rocco Ronzani, dell’Università Lateranense, che ha come scopo proprio l’approfondimento di figure che si ispirano ad Agostino e che risultano centrali nella cultura filosofica e teologica della prima modernità.

Quali vicende segnarono la sua vita?
Tra gli avvenimenti decisivi nella biografia di Egidio vi è senza dubbio, in primo luogo, l’incontro a Firenze con Ficino. Lo incontra a Firenze sul finire del Quattrocento di ritorno dall’Istria, dove aveva avuto modo di studiare le dottrine platoniche. Il filosofo fiorentino era ormai anziano, ma il giovane Egidio ne resta impressionato, tanto da trarne ispirazione per una nuova apologetica cristiana di matrice platonica. È a lui che si ispirerà anche negli anni seguenti. Un altro momento decisivo è la successiva permanenza a Napoli. Qui entra in contatto con uno dei più grandi umanisti dell’epoca, Giovanni Pontano, il quale gli dedica una sua importante opera. Il contatto con la raffinata élite intellettuale napoletana influenza notevolmente Egidio, che non interromperà mai i rapporti con il gruppo di umanisti radunati nell’Accademia Pontaniana. Una svolta importante nella sua vita venne poi nel momento in cui papa Giulio II lo nominò vicario apostolico dell’Ordine agostiniano, a cui seguirà la nomina a priore generale. La responsabilità del governo dell’Ordine lo distoglie, ovviamente, dagli studi, ma gli dà modo di portare avanti un intenso e organico programma di riforma della Chiesa basato proprio sulle sue concezioni filosofiche. Infine, un evento importante nella sua biografia, che attesta la fama e il ruolo che Egidio ha nella Roma del tempo, è l’apertura del Concilio Lateranense V. Giulio II lo sceglie per tenere l’orazione inaugurale. Così il 10 maggio del 1512 Egidio pronuncia, dinanzi al papa e ai padri conciliari, un discorso nel quale denuncia i terribili mali della Chiesa e indica l’efficace rimedio. È un discorso potente e originale per ispirazione profetica, profondità speculativa ed eloquenza raffinata. Per molti versi può essere considerato uno dei documenti più significativi dell’età rinascimentale.

Quali sono i capisaldi del pensiero filosofico e teologico egidiano?
I cardini della riflessione di Egidio possono essere identificati, in primo luogo, nella ripresa della tradizione platonica, in secondo luogo nella denuncia dei pericoli insiti nella concezione aristotelica della realtà, infine nel recupero delle dottrine della qabbalah. L’agostiniano riprende i principi metafisici del platonismo e, con un’operazione molto ardita e originale, cerca di armonizzarli con le verità del cristianesimo. Egli ritiene che il rinnovamento e la cura dei mali della società cristiana passino dal ritorno alle tradizioni più antiche: ritorno alla “pia philosohia” già esaltata da Ficino, che corrisponde in buona sostanza al platonismo, e ritorno alla tradizione biblico-evangelica. È a partire da questa prospettiva che l’agostiniano conduce una polemica serrata contro la scolastica di matrice aristotelica. Recentemente John Monfasani ha pubblicato uno scritto egidiano contenente gli “errori” di Aristotele. La polemica contro l’aristotelismo si identifica, in realtà, con la lotta a quelle interpretazioni in chiave materialista della filosofia aristotelica di cui quella di Pietro Pomponazzi è la più nota. Anche il recupero della tradizione cabalistica è funzionale al programma di abbandono della teologia scolastica e di costruzione di un linguaggio teologico nuovo, in grado di esprimere al meglio la verità cristiana.

In che modo Egidio da Viterbo proseguì l’opera del suo maestro Marsilio Ficino?
Egidio riteneva di aver ricevuto a Firenze, da parte del grande filosofo, una vera e propria investitura. Come Ficino, ritiene che la filosofia abbia una funzione centrale nella difesa delle verità rivelate e che la sapienza platonica abbia un ruolo privilegiato in questa difesa. Nel Commentarium ad mentem Platonis, forse la sua opera più importante, di cui è attualmente in preparazione la traduzione italiana, Egidio riprende e porta alle estreme conseguenze speculative quell’affinità intima del platonismo con la dottrina mosaica e cristiana che rappresenta uno dei cardini della riflessione ficiniana. Per l’agostiniano la verità divina si è rivelata in modo parziale tanto nella sapienza mosaica, la “vetus lex”, quanto in quella platonica, la “pia philosophia”, mentre si è manifestata in modo compiuto solo nel Vangelo. Scrive infatti che “Platone parla come un cristiano o, più propriamente, come Mosè”. Nel portare avanti questa concezione, Egidio si spinge oltre lo stesso Ficino. Egli vede infatti prefigurazioni del mistero del Dio trinitario nelle immagini, nelle metafore, nei simboli, nei miti tratti dalla tradizione poetica classica da Omero a Virgilio, così come nei concetti e nelle dottrine della tradizione filosofica da Platone a Plotino. È per questo che egli ritiene indispensabile e urgente sostituire l’apologetica ispirata alla filosofia aristotelica con una nuova apologetica ispirata al platonismo.

Quale ideale di riforma della Chiesa elaborò Egidio?
Il termine chiave per comprendere l’ideale egidiano di riforma è “tradizione”. La riforma autentica equivale per lui al ritorno alle fonti e alle tradizioni più antiche. Da questo punto di vista la riforma dell’agostiniano Egidio è l’antitesi della riforma dell’agostiniano Lutero. Egidio, che era ancora generale dell’Ordine quando Lutero affiggeva le 95 tesi alle porte della cattedrale di Wittenberg, non voleva abbattere l’impianto istituzionale e sacramentale della Chiesa, ma al contrario restaurarlo nella sua originaria integrità e purezza, forte della sua profonda cultura umanistica. La frase che sintetizza meglio l’ideale egidiano è “gli uomini siano cambiati dalle cose sacre, non le cose sacre dagli uomini”. Dal punto di vista delle concrete iniziative di riforma, se è vero che Egidio non ha mai pubblicato un sistematico programma pratico di riforma, è anche vero che ha messo in atto con efficacia il suo ideale conservatore di riforma. Lo si può vedere nella concreta azione di governo esercitata nel suo Ordine. Anche in questo caso il ritorno alle antiche tradizioni agostiniane, a cominciare dalla Regola e dalle Costituzioni, sia relativamente ai grandi ideali sia relativamente ai piccoli dettagli delle abitudini e delle attività quotidiane, costituisce un carattere distintivo della sua azione. Poco dopo l’investitura a priore generale, in diverse lettere indirizzate ai membri dell’Ordine, egli confessa di pensare continuamente e senza sosta alla riforma. Ma la parola “reformatio” significa per Egidio nient’altro che “restauratio”, ossia ripristino dell’originaria bellezza offuscata dalle infedeltà e dagli abusi. Alcune idee maturate dall’agostiniano troveranno riscontro nelle decisioni con cui, molto più tardi, il Concilio di Trento risponderà alla crisi determinata dal movimento luterano.

Come si espresse l’interesse del cardinale per la qabbalah?
Senza mai abbandonare l’interesse per il platonismo, Egidio si rivolge alla qabbalah intorno al 1514.

Lo studioso francese François Secret definisce Egidio il più grande cabalista cristiano. Certamente è colui che compie lo sforzo maggiore per assimilare la sapienza cabalistica alla fede cristiana. Per lui si tratta della via di accesso più profonda alla verità racchiusa nella Sacra Scrittura. Per l’acquisizione di questa sapienza segreta, l’agostiniano raccoglie e fa tradurre numerosi scritti del Talmud e della letteratura cabalistica. La Scechina e il Libellus de litteris hebraicis, opere edite da Secret negli anni cinquanta del Novecento, sono il principale frutto di questo interesse. In queste opere Egidio cerca di schiudere la porta della più segreta rivelazione, la cui chiave è offerta proprio dalla qabbalah, l’unico metodo che permetta di comprendere gli arcani misteri della Parola divina. La Scechina viene scritto dall’agostiniano nei suoi ultimi anni di vita. È dedicato al papa ma rivolto all’imperatore Carlo V, e ha la finalità di fornire indicazioni per riconoscere il disegno e l’azione divina nella storia. Si tratta di interpretare in chiave profetica alcuni eventi storici particolarmente drammatici, come il Sacco di Roma del 1527. Da questo punto di vista il profetismo, che è uno dei caratteri distintivi della riflessione egidiana, si radica profondamente nella conoscenza delle dottrine cabalistiche.

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