“Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer” di Lucrezia Ercoli

Dott.ssa Lucrezia Ercoli, Lei è autrice del libro Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer edito dal Melangolo, un’analisi lucida e smaliziata del fenomeno Ferragni condotta con gli strumenti della filosofia: quali sono le ragioni profonde del successo dell’influencer milanese?
Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer, Lucrezia ErcoliParagonarla alle altre influencer è riduttivo, la Ferragni è un caso a sé. Basterebbe ricordare che nel 2015 Harvard ha aperto un case study per analizzare il successo del suo blog The Blonde Salad aperto nel 2009. Chiara Ferragni sicuramente è stata la pioniera italiana della democratizzazione della Moda profanata dell’invasione delle fashion blogger; prima degli altri ha intercettato una tendenza che oggi è dilagante. E al momento rappresenta un fenomeno complesso, molto interessante dal mio punto di vista perché oltre a rappresentare una professionalità inedita – quella dell’imprenditrice digitale – incarna molti dei cambiamenti dell’universo dei nuovi media che ci riguardano da vicino.

Ma né lo studio di Harvard né i dati del fatturato possono dare le ragioni profonde del successo del fenomeno Ferragni. Una parte delle motivazioni rimane nel campo dell’imponderabile e dell’imprevedibile, chiamiamola “moira” alla greca o “fortuna” alla latina. Non possiamo sapere con certezza come nascono gli influencer; così come non possiamo costruire a tavolino un fenomeno virale di questa portata.

Nel mio saggio, però, cerco di analizzare filosoficamente le tante implicazioni estetiche ed etiche del fenomeno Ferragni. Come direttrice artistica del festival “Popsophia”, mi occupo da anni di contaminazioni tra cultura pop e filosofia. E nel dialogo quotidiano con i miei studenti dell’Accademia di Belle Arti ho maturato la consapevolezza che arte e filosofia possano, anzi debbano, confrontarsi con i personaggi e i prodotti che colonizzano il nostro immaginario.

Le influencer hanno ormai profanato il mondo della “cultura alta”. Un esempio paradigmatico è stata la partecipazione della Ferragni al Festival del Cinema di Venezia, un vero e proprio oltraggio per i critici d’essai. Ecco io sono convinta che la filosofia debba approfittare di queste profanazioni, lasciandosi provocare e provocando a sua volta.

Cosa rappresenta Chiara Ferragni per l’immaginario contemporaneo?
Se esiste uno “spirito del tempo”, per usare il titolo di un saggio di Edgar Morin, sicuramente Chiara Ferragni ne è una perfetta declinazione. Dobbiamo liberarci dagli stilemi giudicanti della critica moralista e apocalittica che vede nella Ferragni solo il segno della decadenza dei tempi.

Gli influencer non sono solo fenomeni di marketing, non hanno solo il potere di orientare i consumi, ma anche il potere di modificare i comportamenti e le opinioni dei loro follower. Più degli intellettuali, più dei politici. Gli influencer, volenti o nolenti, sono gli opinion leader dei nostri tempi quindi vanno presi molto sul serio e studiati con attenzione: i messaggi che veicolano hanno un enorme impatto oltre a proporre una precisa visione del mondo.

La Ferragni è la versione contemporanea di un racconto di formazione sotto forma di reality: attraverso i social parla di felicità, di famiglia, di identità, di bellezza e di realizzazione personale. Una storia immersa fino al collo nella cultura di massa e nel sistema dei consumi che parla del desiderio di essere unici, riconoscibili e riconosciuti, di lasciare un segno del mondo, di scoprire un talento in cui eccellere.

Una grammatica dell’autenticità, pescata dalla grande letteratura, che viene rielaborata dalla società dello spettacolo. Ma la costruzione dell’autenticità non è cosa nuova! Ovidio lo sintetizza con un verso folgorante delle Metamorfosi: “Ars adeo latet arte sua”. L’esposizione #nofilter è sempre stata un miraggio e un’illusione.

L’universo della Ferragni, quindi, rappresenta lo specchio di ciò che accade nella vita di ciascuno di noi: siamo tutti coinvolti nella costruzione quotidiana della nostra identità. I social sono la nostra casa digitale dove vogliamo (e dobbiamo, pena l’inesistenza) essere visti, ascoltati, riconosciuti e apprezzati. Essere nel mondo oggi vuol dire partecipare a questa continua performance di autorappresentazione. Siamo tutti perennemente “in vetrina”.

Quella della Ferragni è una storia di realizzazione di sé alla portata di tutti, un «romanzo di formazione» moderno, come l’ha definita: in che modo nella sua storia si intrecciano storytelling, moda, marketing, economia e politica?
Nel fenomeno Ferragni c’è la sintesi di una trasformazione, di un nuovo marketing che passa per lo storytelling prima che per i prodotti. Cliccare sul link sponsorizzato non vuol dire soltanto acquistare una merce, ma prima di tutto condividere una storia personale.

L’arte di raccontare storie sembrava destinata a eclissarsi nel mondo contemporaneo, invece le nuove tecnologie hanno inaugurato quello che è stato definito “storytelling revival”. Raccontare è la più potente arma di persuasione di massa, dalla pubblicità alla politica, il braccio armato di un’industria culturale e dei consumi che ha bisogno di produrre emozioni inserendole all’interno di un’affascinante favola collettiva. Oggi la diffusione delle storie ha raggiunto confini impensati: dalla forma arcaica del racconto orale si è passati alle tecnologie avanzate del digital storytelling.

“Narrative turn” lo chiama Christian Salmon nel suo illuminante saggio Storytelling, la fabbrica delle storie. La nuova forza della narrazione incide nella vita personale e professionale, ma anche nella vita dell’azienda e nel mercato del lavoro. Senza uno storytelling vincente anche le campagne elettorali degli ultimi anni sarebbero andate diversamente. La filosofia della narrazione della Ferragni è solo la punta dell’iceberg di una metamorfosi globale.

Cosa lega la Ferragni al suo pubblico?
L’influencer e il suo pubblico sono connessi da complessi meccanismi di imitazione e rispecchiamento. D’altronde l’imitazione, lo ricordava già Aristotele nella sua Poetica, è un veicolo di piacere e conoscenza, una caratteristica ineliminabile, fisiologica e necessaria del comportamento umano. Non si tratta di un fenomeno nuovo: tutte le generazioni hanno sognato di assomigliare ai loro idoli, hanno cercato modelli a cui ispirarsi. L’influencer, però, dà vita a un modello di identificazione che nasce da un patto fiduciario: ti seguo perché mi fido. Se si rompe questa “credibilità” del messaggio, si spezza l’incantesimo. Condividere è un valore irrinunciabile di questa storia, il paradigma etico su cui fonda l’attività dell’influencer: letteralmente dividere con gli altri, rendere partecipi i fan dei suoi successi e dei suoi affetti.

E questo culto che unisce la diva ai fan è basato sulla simulazione di una normalità eccezionale in cui è facile identificarsi. Tutto è all’interno dei codici dell’ordinario. Ecco la forza del messaggio della Ferragni: l’everywoman, una comune mortale, entra a corte e conquista il trono. Anche la vita di coppia che i Ferragnez è iscritta nel paradigma narrativo della normalità. Nessun eccesso, nessuna perversione, nessuna dipendenza. Né alcol né droghe. L’antitesi della vita spericolata dei divi d’antan. La normalità ordinaria di una coppia di giovani genitori che si dispiega in un contesto straordinario.

Ovviamente non c’è influencer marketing senza sentiment analysis, studio statistico delle opinioni e le emozioni espresse online. Un monitoraggio continuo del sentire comune che permette all’influencer di sintonizzarsi sulle sequenze giuste e di toccare le corde emotive del pubblico.

Va sottolineato, però, che in alcuni casi il “potere della condivisione” può dar vita a un contagio emotivo positivo che ha conseguenze sociali e politiche che vanno al di là del semplice marketing. Prendiamo un esempio recente particolarmente significativo: in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne Chiara Ferragni ha deciso di utilizzare il suo potere mediatico per parlare ai suoi fan. In un lungo video di dieci minuti – in cui con termini convincenti e documentati, ma espressi con un linguaggio immediato e semplice – la Ferragni parla victim blaming (cioè, dell’attribuzione alla vittima della responsabilità della violenza subita, come accade troppo spesso nella narrazione mediatica di stupri e femminicidi), ma anche di slut shaming, revenge porn, di femminicidio, di cultura patriarcale, della necessità di una rete di solidarietà femminile. Il tutto a una platea di milioni di giovani che molto probabilmente non ne avevano mai sentito parlare di questo problema in questi termini. Il risultato? Milioni di visualizzazioni e di commenti, di storie e di condivisioni. E di nuove consapevolezze di cui abbiamo estremo bisogno.

Chiara Ferragni è sempre più spesso al centro delle polemiche mondane e aspira a diventare un’icona tanto quanto Lady Diana: in che modo i meccanismi della narrazione social offrono l’humus per questo prodotto attualissimo della cultura di massa?
Il paragone con Lady Diana si presta bene a una riflessione sul passaggio di paradigma dal punto di vista mediatico e narrativo incarnato dalla Ferragni. Umberto Eco ha sostenuto che il matrimonio tra Carlo e Diana del 1981 fu un evento mediatico che segnò una cesura tra la paleo e la neo-tv. In quest’ottica, anche il matrimonio dei Ferragnez segna uno spartiacque tra vecchi media e nuovi media. Gli sposi non hanno ceduto i diritti a un canale, non c’era il cameraman a raccontare l’evento per il network: ogni invitato era armato di smartphone, un potenziale regista che poteva contribuire allo storytelling dell’evento.

Insomma il divismo è sempre esistito, ma si esprime con forme e strumenti nuovi. È esploso con l’industria cinematografica hollywoodiana, si è trasformato con il medium televisivo entrando nella nostra quotidianità. Oggi – come sostiene il sociologo Vanni Codeluppi – siamo nell’epoca dell’iperdivismo che si espande senza confini con il dilagare del web. E Chiara Ferragni ha un posto d’onore nel Pantheon dei miti 3.0 perché è uscita dall’anonimato usando, meglio degli altri, il linguaggio del suo tempo, dominando a suo favore la polarizzazione delle opinioni sul web.

Anche le polemiche, infatti, fanno parte della costruzione dell’icona contemporanea. L’universo dei social è sempre diviso tra accusatori indignati e difensori convinti: accanto al gruppo dei follower, deve compattarsi il gruppo degli haters, funzionale ad allargare l’impatto mediatico del messaggio. Gli influencer sanno benissimo che quando si odia così tanto una cosa inevitabilmente non si è più separati da lei, odiare vuol dire stabilire un legame indissolubile. Il vero spettro temuto dall’influencer è l’indifferenza.

Lucrezia Ercoli è direttrice artistica del Festival “Popsophia. Filosofia del contemporaneo”. È docente di Storia dello spettacolo e Filosofia del teatro presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. Insegna Storia della Televisione e Filosofia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. È autrice di diversi volumi tra cui: Philosophe Malgré Soi. Curzio Malaparte e il suo doppio (2011); Filosofia della crudeltà. Etica ed estetica di un enigma (2014); Che la forza sia con te! Esercizi di Popsophia (2017); Chiara Ferragni – Filosofia di una influencer (2020).

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