
Si può parlare di mostre d’arte, in un’accezione vicina a quella odierna, a partire dalla fine del XVI secolo. Le esposizioni, infatti, rappresentavano i principali strumenti di autopromozione per gli artisti e una efficace modalità attraverso la quale rivolgersi a un pubblico borghese da poco affacciatosi in questo nuovo mercato, in precedenza esclusivo appannaggio di committenze ecclesiastiche, curiali o nobiliari.
Organizzate in genere in occasione di feste e ricorrenze religiose, le mostre furono caratteristiche dell’ambiente romano ma vennero allestite anche in altre regioni. Frequentate soprattutto da pittori di genere, paesaggisti e “bamboccianti”, le esposizioni erano anche molto utili per gli artisti stranieri appena giunti a Roma, quale mezzo per attirare l’attenzione di amatori e mercanti. Le mostre erano anche occasione per giovani artisti di entrare in contatto e ammirare le opere di alcuni celebrati maestri; sembra, ad esempio, che Poussin si sia recato a Napoli dal fiammingo Goffredo Wals dopo aver conosciuto una sua opera esposta in una mostra.
Tra i primi a servirsi delle esposizioni temporanee, quale duttile e moderna tecnica pubblicitaria capace di raggiungere un pubblico estremamente più vasto di quello di qualunque mercante, fu la Congregazione artistica dei Virtuosi al Pantheon, istituita nel 1541, alla quale aderirono alcuni tra i maggiori pittori e scultori attivi a Roma come Perin del Vaga, Caravaggio, Bernini, Velázquez, Pietro da Cartona, Maratta e Batoni. Alle usuali attività religiose, la Congregazione affiancava, infatti, l’organizzazione di periodiche mostre allestite sotto il portico del Pantheon il 19 marzo di ogni anno per celebrare la ricorrenza di San Giuseppe.
Ai primi anni del XVII secolo si fa risalire l’istituzione di un’altra esposizione romana che aveva luogo nei chiostri della chiesa di San Giovanni Decollato. Ogni 29 agosto, ricorrenza del santo, le famiglie patrizie romane organizzavano la manifestazione. Naturalmente ogni casato esponeva le opere degli artisti ai quali aveva dato le maggiori committenze, ma per esibire il proprio prestigio ed influenza, era solito farsi prestare meraviglie del passato conservate anche in altre collezioni nobiliari. Le cronache narrano delle mostre patrocinate dai Sacchetti, dai Rospigliosi, dai Medici come di eventi straordinari duranti i quali facciate, piazze, strade e cortili furono trasfigurate da effimeri allestimenti con drappi, arazzi e preziosi addobbi, e vennero esposte centinaia di opere, tra le quali capolavori di Raffaello, Tiziano e dei Carracci.
Di sorprendente modernità era poi la mostra periodica che veniva allestita a partire dal 1669 nei chiostri della chiesa di San Salvatore in Lauro, acquistata per la comunità marchigiana a Roma. Come un vero e proprio curatore di moderne esposizione d’arte, il pittore Giuseppe Ghezzi, segretario dell’Accademia di San Luca, si occupava degli allestimenti, adeguava l’illuminazione degli ambienti, prendeva contatto anticipatamente con le famiglie patrizie per garantirsi i migliori prestiti di opere d’arte, assumeva facchini fidati per il trasporto e soldati per la sorveglianza dei dipinti, generalmente oltre duecento di piccole o medie dimensioni cui si accompagnavano cinque o sei grandi tele e un’immagine raffigurante la Madonna. Senza dubbio, perciò, fu tra il XVII e il XVIII che nacque la pratica delle mostre d’arte nel senso moderno del termine e, anche se queste non avevano come scopo precipuo quello di far conoscere al pubblico il nuovo lavoro dei diversi artisti espositori, certamente rappresentarono un ottimo viatico pubblicitario e promozionale, contribuirono alla costituzione di un più ampio mercato dell’arte ed aprirono le città ad un sistema di scambi e confronti tra le diverse produzioni anche straniere.
Accanto alle mostre organizzate dalle Confraternite e a quelle gestite direttamente dagli artisti, vi erano le iniziative espositive a carattere “istituzionale”, quali i concorsi organizzati dall’Accademia di San Luca: il “Clementino”, promosso nel 1702 da Giovan Francesco Albani, futuro papa Clemente XI, e il “Balestra”, costituito nel 1768. Entrambi i concorsi, a cui partecipavano i giovani artisti che frequentavano i corsi all’Accademia, si concludevano con una pubblica e fastosa esposizione delle opere in Campidoglio. Sarà proprio la gestione accademica, del resto, a guidare ed orientare l’organizzazione periodica delle mostre d’arte nel XIX secolo o a rappresentare, di contro, l’establishment da scardinare in nome della libertà espressiva.
Mentre in Italia si affievoliva la pratica di organizzare mostre periodiche nei chiostri e nei cortili, in Francia, in Olanda, in Inghilterra si stava affermando un altro genere di esposizione a carattere effimero: le mostre allestite da mercanti e case d’aste che davano l’opportunità di poter ammirare da vicino le opere di antichi maestri prima della vendita
Come si organizza una mostra d’arte?
La prima fase, quella della valutazione del progetto espositivo, è sicuramente la più complessa. Sono, infatti, vari e numerosi gli elementi di cui si dovrà tener conto, relativi, peraltro, a finalità ed obiettivi a volte contraddittori o potenzialmente conflittuali tra di loro.
Per prima cosa occorre valutare il valore scientifico e innovativo dell’iniziativa presentata, il reale apporto che questa può dare al processo di conoscenza e agli studi della storia dell’arte.
Nel caso di mostre ospitate all’interno di musei che hanno già una propria collezione permanente e che spesso non sono dotati di spazi dedicati alle esposizioni temporanee, appare ancor più vincolante la ricerca di un rapporto coerente tra la raccolta museale e la proposta espositiva.
D’altra parte, anche in questo caso, sono accettabili e stimolanti le eccezioni: opere di artisti contemporanei all’interno di una gipsoteca di antichità o lavori fotografici sperimentali e installazioni affiancate a dipinti rinascimentali o barocchi possono attivare “corto-circuiti” visivi molto efficaci anche per la comprensione delle opere esposte permanentemente nel museo.
Sempre tra i criteri che dovrebbero sovrintendere alla valutazione di un progetto vi è la necessità di verificare l’accuratezza e completezza della progettazione, i suoi fondamenti scientifici e la novità che rappresenta nel panorama, ormai globalizzato, delle mostre d’arte.
Ad esempio, le mostre che ricostruiscono un contesto determinato, ricollocando un artista o un’opera al fianco di altre, rendono spesso più comprensibile la ricerca di un pittore o la storia di uno stile, con operazioni di immediata presa e grande efficacia informativa e didattica; oppure vi sono esposizioni che mostrano i risultati di un recente restauro di un’opera, propongono nuove attribuzioni o datazioni rientrando a pieno titolo tra le operazioni scientificamente necessarie e didatticamente efficaci.
Ma oltre al contributo al processo di conoscenza e alla coerenza con la missione del museo occorre considerare l’interesse che una mostra può suscitare presso il pubblico, sia con indagini preventive sulla domanda potenziale, sia con analisi a posteriori sul grado di soddisfazione del visitatore.
Se per un operatore privato il business rappresenta la principale finalità, di conseguenza il successo di pubblico e il guadagno economico costituiscono i parametri di valutazione, nel caso di mostre prodotte da una pubblica amministrazione la capacità di generare una fruizione diffusa dovrebbe armonizzarsi con l’obiettivo di ottenere una qualità elevata nella proposta culturale.
Naturalmente se la scientificità del progetto, così come l’attenzione per i contenuti, rappresentano costanti necessarie della programmazione delle attività espositive di un’istituzione pubblica questa, a volte, risente di un’afasia comunicativa che rende difficile rivolgere l’offerta culturale ad un vasto pubblico, più ampio cioè dei visitatori fidelizzati e delle scuole.
Così, a volte mostre blockbuster dai contenuti piuttosto generici e standardizzati, presentano complessi piani di investimento mentre esposizioni di maggiore qualità restano lontane dal pubblico.
Quali sono i soggetti coinvolti nell’organizzazione di una mostra d’arte e quali sono i principali problemi da affrontare?
La mostra ha un’architettura molto simile a quella di uno spettacolo teatrale che contiene in sé il rischio connaturato allo spazio della “messa in scena” e al tempo definito dal giorno dell’inaugurazione; in tutte le fasi la riuscita del progetto ruota intorno all’interpretazione e allo scambio dialettico tra due ruoli fondamentali: quello del registrar (la produzione) e quello del curatore scientifico (la regia). Il primo è il tutore delle finalità del finanziatore – imprenditore culturale privato ma anche pubblica amministrazione, il secondo è il detentore della concezione dell’opera, l’ideatore del progetto.
La figura professionale del registrar, conosciuta e accreditata all’estero come punto di riferimento nel settore museale e nell’organizzazione delle mostre, da pochissimi anni è impiegata con continuità nei musei e negli spazi espositivi in Italia pur non possedendo ancora uno status giuridico definito..
Questa figura assolve un insostituibile compito di raccordo tra le competenze diverse del consegnatario, del direttore/curatore, del restauratore e le professionalità esterne al museo (dal curatore esterno, all’assicuratore, al trasportatore, all’editore) operando per la sicurezza, la tutela e la conservazione delle opere d’arte.
Naturalmente la buona riuscita del progetto si ottiene solo se il ruolo del curatore e del registrar sono improntati alla massima dialettica possibile; il rischio altrimenti è quello di andare incontro ad un prodotto autoreferenziale, per lo più riservato ad una ristretta élite, rivolto al rassicurante pubblico degli “addetti ai lavori”, a carenze nella comunicazione o, di contro, alla banalizzazione e all’involgarimento del risultato e ad eventi ripetitivi pur se spettacolari.
Grande importanza ha, inoltre, il ruolo dell’architetto, una sorta di scenografo che traduce per il pubblico un contesto, a volte difficile, in una riscoperta guidata e piacevole.
Un discorso a parte meriterebbero le mostre di arte contemporanea che hanno, per loro stessa natura, caratteristiche distintive. Solo in questo ambito, naturalmente, la presenza dell’artista diviene un elemento centrale: l’esposizione può diventare l’occasione per realizzare nuovi lavori oppure può configurarsi come un momento di riflessione sulla ricerca passata, fino al punto di configurare la mostra stessa come un’opera complessa. Nel caso di mostre tematiche è il curatore che sceglie l’argomento della mostra selezionando le opere e gli artisti che sono funzionali al suo discorso critico o, diversamente, viene proposta una problematica attuale intorno alla quale invitare gli artisti ad elaborare un progetto o un lavoro. In tutti i casi, a differenza delle altre tipologie, le esposizioni di arte contemporanea si caratterizzano per il rapporto dinamico e a volte intercambiabile tra curatore e artista ai quali viene di volta in volta demandato il compito di rendere la ricerca proposta accessibile al pubblico.
Come si è evoluto il concetto di mostra temporanea?
In questi ultimi anni si è diffusa la tendenza a far diventare oggetto delle esposizioni le mostre stesse, sia nel caso in cui rappresentino il pensiero e la poetica di chi le ha create – dall’artista al curatore – sia che si propongano come ricostruzione filologica di un intero progetto espositivo del passato, in grado di restituire il contesto allestitivo. Per comprendere il significato di un’opera d’arte non è quindi più sufficiente conoscerne la tecnica e le qualità formali ma è necessario considerare le condizioni spazio temporali in cui è stata realizzata ed anche il modo e le circostanze in cui è stata mostrata.
È partendo da questa consapevolezza che si sono moltiplicate le pubblicazioni dedicate alla storia delle mostre, dando luogo alla nascita di una vera e propria disciplina che sconfina dal campo tracciato dalla storia dell’arte e della critica per coinvolgere ambiti limitrofi come la sociologia, la semiotica, la filosofia e le scienze sociali.
Spostando lo sguardo dall’opera e dall’artista alle modalità attraverso le quali il lavoro è stato esposto, diviene immediatamente centrale comprendere i meccanismi della sua “messa in scena” e come questa abbia influenzato il significato percepito
La storia delle esposizioni è di fatto diventata parte integrante della storia dell’arte e della cultura e le mostre sono sempre più spesso interpretate come opere a sé stanti, tanto da considerare la storia dell’arte del XX e XXI secolo non solo una storia di opere d’arte ma piuttosto un racconto degli eventi espositivi che ne hanno segnato le vicende.
Un’altra novità è rappresentata dalle mostre così dette immersive, esposizioni senza opere, allestite in grandi ambienti rivestiti da schermi sui quali sono proiettate ad altissima definizione le immagini dei lavori dei più famosi e popolari artisti
Il repertorio di queste mostre è lo stesso delle esposizioni blockbuster, i nomi degli artisti a cui sono dedicate sono sempre quelli più noti al grande pubblico: Leonardo, Klimt, gli Impressionisti, Van Gogh, Caravaggio. L’allestimento, indifferente al luogo in cui si realizzano, è costituito da enormi schermi avvolgenti su cui scorrono le immagini emblematiche e più facilmente riconoscibili dei capolavori degli artisti a cui sono dedicate, con particolari evidenziati e spesso animazioni delle singole figure, a cui si accompagnano colonne sonore suggestive composte da brani celebri o realizzati per l’occasione e percezioni olfattive di profumi naturali appositamente creati. Il visitatore si trova al centro dello spettacolo multimediale e multisensoriale, un caleidoscopio composto da profumi, colori, musiche e frasi suggestive, una sorta di gran teatro barocco prodotto in “assenza” di attori, in questo caso della materialità delle opere d’arte, per creare meraviglia. Certamente per il pubblico, composto perlopiù da famiglie e da giovani, che stando ai numeri considerevoli apprezzano moltissimo le mostre immersive, si tratta di un’esperienza molto appagante e divertente, ludica e facilmente fruibile anche senza alcuna preparazione culturale
I musei sono al momento impermeabili al fenomeno e conservano e preservano l’aura dell’originale, pur non escludendo le contaminazioni; numerose sono, infatti, le mostre che riservano sezioni intere alla multimedialità e fanno uso della ricerca tecnologica per facilitare la fruizione e l’accessibilità.
Il problema è capire se esiste un interscambio tra le due realtà, un territorio di sconfinamento e di sovrapposizione. Il pubblico che visita e apprezza le mostre immersive è appagato da quella esperienza? O meglio, grazie a questa, sarà poi curioso di confrontarsi con la materialità dell’opera perlopiù conservata nel museo o esposta in una mostra?
Quale rapporto lega la collezione permanente di un museo a una esposizione effimera?
Molti anni fa Giulio Carlo Argan parlando del pubblico dell’arte tracciava le coordinate del rapporto tra mostra e museo che, da lì a poco, sarebbero diventate alcuni dei principi su cui ancor oggi si basano le attività espositive. Partendo dal presupposto che il museo riflette la struttura privatistica della propria origine, dove l’arte è concepita prevalentemente come bene patrimoniale da conservare e le opere sono disposte le une accanto alle altre come oggetti aventi un proprio pregio e valore, appare conseguente l’esigua attenzione all’inquadramento contestuale. Di contro, invece, le mostre sono “le ipotesi di un museo moderno”, un “terreno sperimentale per la museografia, anche perché nella mostra la distribuzione del materiale ha carattere problematico ed è rivolta a colpire la sensibilità psicologica del pubblico”. Si definisce così l’essenza di un rapporto dialettico continuo tra mostra e museo laddove la “mostra sta al museo come la pista di collaudo sta alla strada”.
In effetti, pur se il museo riflette gli orientamenti e le modificazioni del gusto e subisce, quindi, sensibili mutamenti col trascorrere del tempo, esso rimane, prevalentemente, un luogo di conoscenza statica, nel quale le collezioni permanenti sono disposte secondo un percorso definito per quanto motivato e spiegato tramite apparati didattici. Allo stesso tempo, però, spesso all’interno dello stesso istituto museale, specialmente in questi ultimi anni, si aprono spazi per una conoscenza dinamica, in cui diviene determinante una forte accentuazione della componente comunicativa e narrativa delle opere, collocate in un percorso innovativo, ovvero si inaugura la pratica della collocazione delle opere nello spazio in rapporto ai temi, il che vuol dire dar vita ad esposizioni temporanee, appunto le mostre, introducendo, così, accanto all’esigenza di sistematicità il concetto di sperimentazione, di ricerca, di apertura al nuovo.
Questo doppio binario su cui poggia il museo moderno è molto evidente nei musei dell’arte contemporanea per i quali la parte dedicata alla collezione permanente subisce un continuo ed ininterrotto “terremoto”.
Ciò che fino a pochi decenni orsono costituiva il concetto fondante di un museo, cioè la strettissima relazione tra la propria specifica identità e la proprietà delle opere esposte, in genere cronologicamente, nella collezione permanente, è da qualche decennio entrato in crisi. Alcuni musei – dalla Tate Modern di Londra, al MoMA di New York, ma anche al Centre Pompidou di Parigi, al MADRE di Napoli, alla Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma e molti altri ancora – hanno significativamente modificato l’approccio convenzionale tra collezione permanente e mostra temporanea prediligendo una lettura sperimentale e non tradizionale.
Quale importanza hanno i social network nella comunicazione degli eventi?
L’avvento del “web 2.0” ha completamente modificato il mondo della comunicazione. I social, infatti, sono strumenti accessibili a tutti, perlopiù gratuiti e facili da usare e, soprattutto, l’utente può non solo fruire passivamente dei contenuti multimediali che gli sono proposti, ma condividerli, crearli e modificarli a sua volta.
Questo scenario ha aperto nuove e rilevanti opportunità e potenzialità per un museo di comunicare col pubblico annullando, con bassi costi di attivazione, ogni distanza di natura culturale, sociale e percettiva. Non solo, proprio attraverso le modalità partecipative proprie dei social anche il messaggio promozionale che si vuole veicolare, viene costruito in base all’interazione col feedback dell’utenza
Attraverso un adeguato uso degli strumenti social un’istituzione culturale è, quindi, in grado di promuovere le proprie attività intercettando, raggiungendo e comunicando con un ampio bacino di pubblico – sia quello che abitualmente visita il museo, sia quello che potrebbe essere potenzialmente interessato a farlo. Soprattutto, ed è forse questo il dato più significativo, un museo può creare una comunità con cui interagire direttamente. Significa, naturalmente, mettersi in ascolto, eseguire ricerche sulle preferenze e i gusti del proprio pubblico, condividerne le esperienze, offrire servizi ad hoc, creare contesti significativi di fruizione, sperimentare approcci inusuali ed attivare, attraverso la soddisfazione e il coinvolgimento del fruitore, una moltiplicazione delle condivisioni e un incremento di interesse.
Investire sulla comunicazione digitale è quindi indispensabile anche per la promozione degli eventi e delle mostre.
Nel caso specifico il progetto di comunicazione e l’immagine coordinata dovrebbero essere concepiti unitariamente, abbinando ad esempio la pubblicità sui social media con campagne “offline” e stimolando nel fruitore un doppio approccio all’informazione culturale: diverse modalità di fruizione ma convergenza di contenuti.
Federica Pirani è laureata e specializzata in Storia dell’Arte contemporanea. Ha collaborato alle attività didattiche dei corsi in storia dell’arte e management dei beni culturali presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, l’Università di Roma 3, la LUISS. È membro dei comitati scientifici di diversi musei romani e della Collezione Farnesina del Ministero per gli Affari Esteri. Ha curato molteplici mostre in Italia e all’estero. È autrice di numerose pubblicazioni sull’arte italiana e internazionale con particolare riguardo agli artisti italiani tra le due Guerre, ai rapporti tra arte e letteratura, al Futurismo, alla Metafisica, agli anni Sessanta e al contemporaneo. Ha diretto i musei di arte moderna e contemporanea del Comune di Roma, tra i quali la Galleria d’arte Moderna, il Museo di Roma a Palazzo Braschi e il MACRO. Attualmente dirige il Servizio mostre della Sovrintendenza Capitolina.