
È indubbio che la cultura videografica sia la cifra distintiva della nostra contemporaneità da più punti di vista; l’attenzione maniacale riservata alla dimensione visiva, infatti, ha portato, anche nei settori tradizionalmente connessi all’esperienza di fruizione auditiva (come ovviamente il settore musicale), a un incremento abnorme delle proposte visive. Tale diffusione coincide, da una prospettiva tanto sociale quanto teorica, col cosiddetto postmodernismo: se infatti il cinema è stato lo strumento privilegiato dell’immaginario moderno novecentesco, il video incarna perfettamente la sensibilità e lo spirito tipico degli ultimi decenni. Esordendo con la diffusione massiccia del medium televisivo, il video ha saputo evolversi e trasformarsi, arrivando fino al punto di riuscire a emanciparsi da quel medium per trasmigrare su quella che è la rivoluzione antropologica e culturale della nostra epoca, ovvero la web-culture; è necessario distinguere e indagare più nello specifico gli ambiti applicativi ai quali il video ha aderito, evidenziando come una riflessione estetica implichi da subito valutazioni di ordine sociologico e ideologico che sono imprescindibili per comprendere il destino delle arti nella postmodernità.
Quali sono, oggi, le declinazioni commerciali e le ambizioni artistiche del video?
Una peculiare attenzione va riservata al settore dell’entertainment, ovvero all’ambito che nella società dello spettacolo (come evoluzione ulteriore della logica commerciale dell’industria culturale) rappresenta il settore più proficuo e incisivo sull’immaginario collettivo. In tutto questo vasto orizzonte, linguaggi promozionali, tecniche di fascinazione più o meno subliminali, diffusione della conoscenza, industria del divertimento, ricerca estetica ed espressiva si confondono sovrapponendosi e diventando completamente inscindibili. D’altronde, la maggior parte delle strategie più efficaci che l’immaginario adotta per segnare indefinitivamente l’orizzonte esperienziale dei consumatori, è basata su elementi dialettici niente affatto ingenui, che riescono a comprendere nel medesimo atto di fascinazione una determinata categoria e il suo opposto, un determinato modello di consumatore e la sua negazione. È propria dell’immaginario maturo del tardo-capitalismo la capacità di risultare maggiormente incisivo proprio quando apparentemente esso nega se stesso, cioè quando si contraddice, quando si mette in mostra oppure quando dichiara di non aver nulla da nascondere.
Per questo però la complessità dell’orizzonte massmediale contemporaneo ci costringe a un’analisi attenta dei vari testi e prodotti realizzati; se è impossibile una classificazione rigorosa delle varie video-produzioni, perché per definizione tali prodotti sono complessi nel senso che sono sempre qualcosa d’altro rispetto a quanto appare, è pur vero però che una comprensione attenta deve fare riferimento a categorie che, seppur astratte nella pratica, possono valere da ideali orientativi per mettere ordine nella vastità dell’offerta video degli ultimi trent’anni.
Nel settore della video-art la retorica dell’art pour l’art ha condotto alla mitizzazione della creazione artistica come settore privilegiato dello spirito culturale moderno, e l’assoluto isolamento di artisti e autori, e in molti casi le loro ricerche autoreferenziali nella contemporaneità hanno trovato nell’ambito del videoclip musicale l’opportunità di investire determinate tecniche formali per esprimere idee, concetti, costituire narrazioni ecc. Il più grande ostacolo all’interno di tale contesto è partire da un connaturato senso di repulsione e ripudio da parte di molta critica e di larga parte degli artisti nei confronti del settore commerciale, come se la scoperta delle potenzialità di attrazione e fascinazione che gli strumenti visuali della videoarte e la loro adozione nell’immaginario audiovisivo compromettesse il loro valore.
Qual è la natura dell’immagine elettronica e quali le strategie che il video commerciale adotta per sedurre il fruitore?
Nei videoclip musicali e negli spot, testi per eccellenza legati a esigenze commerciali e promozionali, i registi sono riusciti a emancipare il testo dal decorativismo autoreferenziale reintroducendo spesso la dimensione narrativa, o mettendo la complessità degli elementi formali al servizio dell’immaginario del brand o del cantante di turno. Registi come Zbigniew Rybczyński, e in tempi più recenti Daniel Askill, Chris Cunningham e Édouard Salier, hanno investito la sperimentazione specificatamente artistica nell’orizzonte della seduzione commerciale, attraverso l’adozione di tecniche espressive come lo slow-motion, l’alternanza di visibilità e invisibilità, l’elemento di “disturbo” nell’immagine ecc. Se la computer art è nata e si è sviluppata storicamente nel suo rifiuto della dimensione referenziale e nella sua purezza algoritmico-elettronica, il videoclip musicale ha saputo infrangere tale isolamento per ricondurre tale estetica astratta su un piano più concreto in connessione con le esigenze culturali odierne.
Che senso assumono nel nuovo orizzonte video-estetico la storia, il kitsch, il post-human, l’errore e il valore veritativo dell’immagine?
Nel postmoderno lo stato di euforia trasmesso dall’appagamento del consumo esclude lo shock, esperienza che fa tutt’uno con l’irrompere della novità nel circolo del “sempre uguale”. Il circolo chiuso del sempre uguale alimentato e promosso dal postmoderno – che è la condizione che rende possibile l’annullamento della storicità e dell’utopia – riguarda la produzione serializzata di prodotti di consumo, e si tratta della programmazione industriale della cultura e delle merci. Il circolo dell’eterno presente che fonda la fase multinazionale del tardo capitalismo contemporaneo ha escluso qualsiasi storicità e qualsiasi valenza utopica. Per questo l’eterno presente postmodernista esclude lo shock, e perciò il nuovo, dal proprio stesso concetto, e attinge invece a quella che è la preistoria sensoriale del soggetto.
La storia, in questo senso, diventa un affascinante deposito di caratteri dal quale attingere per sedurre il pubblico, e non a caso il linguaggio del videoclip musicale, la grammatica visiva di cui si serve, è stato ritenuto il linguaggio postmoderno per eccellenza: le luci fulminanti, il montaggio serrato e rapidissimo, le scenografie eccessive ed esuberanti, sono tutti elementi che richiamano alla dimensione del godimento edonistico e dell’estetizzazione generalizzata, che però già il video artistico aveva sfruttato per delle finalità opposte rispetto a quelle del mercato. Di qui, il kitsch e il post-human possono essere ritenuti l’approdo di questa ricomprensione della storia in chiave estetico-seduttiva. Lo stesso può dirsi della capacità di fascinazione che l’ “errore” assume in immagini volontariamente disturbate e perturbanti: anche a proposito dell’effetto glitch, la ricerca espressiva si è spostata da un movimento artistico al settore commercial, perché l’errore ha sprigionato tutto il suo paradossale carico di attrazione percettiva, rilanciando il classico problema teoretico del rapporto tra immagine e verità.
Quali percorsi ha intrapreso negli ultimi decenni la videomusica e come è destinata, a Suo avviso, ad evolvere?
Da un lato il tramonto del dominio massmediale televisivo ha determinato un rinnovamento radicale delle produzioni video, dall’altro il videoclip musicale ha dimostrato di trovarsi perfettamente a suo agio all’interno delle modalità di fruizione iper-rapide proprie della fruizione a “scorrimento” dei social network e dei canali web in streaming dedicati proprio a prodotti video brevi. Per queste ragioni, anche negli ultimissimi anni la sperimentazione videomusicale ha saputo proporre inedite modalità narrative concentrate nello sviluppo di pochi minuti, oltre a ereditare le tecniche visuali del cinema astratto e della computer art per ammaliare il fruitore in termini sinestetici. L’ulteriore evoluzione di questa modalità espressiva, come già sta accadendo per le produzioni più significative, dimostrerà come il video musicale non si limiterà più a raccogliere le intuizioni e le tecniche videoartistiche, ma ne genererà spontaneamente e direttamente di nuove.
Alessandro Alfieri insegna Teoria e metodo dei mass media all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa prevalentemente di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Oltra a Che cos’è la video-estetica edito da Carocci, tra i suoi libri più recenti Lady Gaga. La seduzione del mostro. Arte, estetica e fashion nell’immaginario videomusicale pop (Arcana, 2018), Galassia Netflix. L’estetica, i personaggi e i temi della nuova serialità (Villaggio Maori, 2019) e Rocksofia. Filosofia dell’hard rock nel passaggio di millennio (Il Melangolo, 2019).