“Che cos’è il welfare state” di Domenico Carbone e Yuri Kazepov

Che cos'è il welfare state, Domenico Carbone, Yuri KazepovProf. Domenico Carbone, Lei è autore con Yuri Kazepov del libro Che cos’è il welfare state edito da Carocci: quando e come nasce l’idea di welfare state?
Il termine inglese Welfare State fu utilizzato per la prima volta nel 1941 dall’arcivescovo di York (GB) William Temple per sottolineare la specificità dello stato britannico in antitesi a quello tedesco definito come War State. Tuttavia, se intendiamo con questo termine l’insieme degli interventi posti in essere dalle istituzioni politiche per far fronte ai rischi sociali della popolazione, le sue origini sono molto più antiche. Esse possono essere individuate nell’insieme di misure per molto tempo disarticolate, sviluppatesi tra il XVII ed il XX secolo in Europa, e messe in atto per rispondere a rischi provocati dalla modernizzazione della società.

Si può affermare che l’idea di welfare state nasce e si afferma nella società moderna nel momento in cui il rischio sociale non viene più visto come la conseguenza di una colpa individuale, ma legato al funzionamento della società e, soprattutto, ai suoi processi di produzione e redistribuzione delle risorse. Se è la società, nel suo funzionamento ordinario, a produrre il rischio (povertà, disoccupazione, indigenza, ecc.) è la società stessa, per il tramite dello stato nazionale, che ha il compito di far fronte ai problemi e ai bisogni dei propri membri. Questa è l’idea alla base del moderno Welfare State.

Come si articolano le politiche sociali?
Le politiche sociali si articolano lungo tre principali direttrici: la prima è quella fondata sull’idea che tutti i cittadini siano esposti allo stesso tipo di rischi, indipendentemente dallo loro posizione economica e sociale, e che quindi lo Stato debba garantire a tutti le stesse misure di protezione. Questa idea è alla base delle cosiddette politiche sociali “universalistiche” che in Italia riguardano, ad esempio, le misure di accesso ai servizi sanitari.

La seconda direttrice si basa, invece, sull’idea che i cittadini siano esposti a rischi e bisogni diversi a seconda della loro condizione socio-economica derivante dalla posizione nel mercato del lavoro. In questo caso, l’intervento pubblico si centra sull’erogazione di prestazioni standardizzate, in forma tendenzialmente automatica e imparziale, in base a precisi diritti/doveri individuali (come il pagamento di premi e contributi) e secondo modalità istituzionali altamente specializzate e centralizzate. Questa idea è alla base delle cosiddette politiche sociali di tipo “assicurativo-previdenziale” e le misure ad esse collegate riguardano, ad esempio, l’erogazione delle pensioni.

La terza direttrice si fonda sull’idea che il compito dello Stato sia quello di intervenire solo dopo che sia stata accertata (means tested) l’impossibilità individuale nel riuscire, attraverso il mercato o la famiglia e le reti sociali, a far fronte ai rischi e soddisfare i bisogni sociali. In questi casi, lo Stato eroga servizi e prestazioni per specifiche categorie di bisogni ricorrendo alle cosiddette misure di “assistenza sociale”

Quali sistemi di welfare esistono?
Esistono diversi tipi di sistemi di welfare a seconda del criterio di classificazione che viene adottato. Tutti hanno, però, in comune l’idea che un sistema di welfare sia il risultato del modo in cui lo Stato, il mercato e la famiglia (o le reti sociali) si suddividono il carico di risposta ai bisogni sociali della popolazione. Seguendo questo criterio, possiamo dire che i principali sistemi di welfare sono:

  • Il sistema social-democratico, tipico dei paesi scandinavi in cui il ruolo primario di intervento, nei confronti dei rischi sociali, spetta allo Stato che adotta principalmente politiche sociali di tipo universalistico
  • Il sistema liberale, tipico dei paesi anglosassoni, in cui la risposta ai bisogni sociali passa principalmente attraverso il mercato e dove, quindi, lo Stato interviene in maniera residuale solo nelle condizioni di maggiore bisogno con delle politiche sociali, prevalentemente, di tipo assistenziale
  • Il sistema corporativo dei paesi dell’Europa centro-continentale dove Stato e famiglia sono le principali istituzioni di socializzazione dei rischi e dove l’azione dello Stato si esercita, prevalentemente, attraverso politiche di tipo assicurativo-previdenziale
  • Il sistema familistico dei paesi dell’Europa meridionale che condivide con quello corporativo la prevalenza di politiche di tipo assicurativo-previdenziale. Tuttavia, in questo sistema la famiglia e le reti sociali di protezione rappresentano le istituzioni che si occupano primariamente di intervenire nei confronti dei rischi e dei bisogni sociali. Lo Stato assume, quindi, un ruolo residuale rispetto a tali istituzioni.

Quali sono le sfide maggiori allo Stato sociale?
Lo stato sociale deve oggi affrontare alcune sfide che riguardano importanti trasformazioni in atto nella nostra società. Il welfare state è chiamato oggi a fare i conti, anzitutto, con i cambiamenti demografici e, soprattutto, con il progressivo invecchiamento della popolazione. Un maggior numero di persone anziane incide, infatti, sulla domanda di prestazioni sociali (sanitarie e assistenziali) ma rimanda anche alla sostenibilità dei sistemi previdenziali che sono chiamati a far fronte ad una domanda crescente di pensioni a fronte di una riduzione dei contribuenti (giovani).

L’immigrazione straniera rappresenta l’altro importante fenomeno che ha profondamente trasformato la struttura demografica di molti paesi ad economia di mercato e che si pone, quindi, come importante sfida per il welfare state. In Europa, i fenomeni migratori hanno conosciuto diverse fasi e sono state affrontati con il ricorso a politiche fortemente differenti tra loro. Nonostante tali differenze le caratteristiche assunte dai fenomeni migratori in questa nuova fase pongono una serie di problemi comuni a tutti i paesi che si trovano ad accogliere le popolazioni straniere. Si tratta, anzitutto, di problemi legati all’immigrazione clandestina che caratterizza fortemente questa fase. Tale caratterizzazione pone un primo importante dilemma per gli istituti di protezione sociale: gli immigrati clandestini, proprio per la loro condizione di illegalità, sono soggetti fortemente vulnerabili sul mercato del lavoro e, conseguentemente, più esposti a rischi di povertà estrema e di esclusione sociale. Tuttavia, lo stato sociale ha una scarsa capacità di intervento nei loro confronti proprio perché l’impianto di protezione è stato costruito e si è consolidato su specifici criteri di appartenenza (pagamento di contributi, cittadinanza, residenza, ecc.) che, per definizione, queste persone non possono rivendicare

Un’altra importante sfida è rappresentata dalla progressiva diffusione di forme di lavoro non-standard e precarie. Il welfare state della seconda metà del XX secolo è stato costruito avendo come proprio riferimento il cosiddetto male breadwinner (maschi capofamiglia) occupato con un lavoro stabile lungo una carriera lavorativa standardizzata. Ciò garantiva continuità di reddito agli individui, ma anche entrate stabili, e sicure, per i sistemi contributivi che finanziano, gran parte, della spesa sociale. La precarietà occupazionale ampiamente diffusa negli ultimi decenni crea, quindi, da una parte, una crescita della domanda di assistenza economica per fronteggiare gli episodi, sempre più frequenti e probabili, di mancanza di un reddito da lavoro. Dall’altra parte, la disoccupazione intermittente, che contraddistingue le attuali biografie lavorative, inceppa l’efficienza dell’allocazione delle risorse, basata sui contributi lavorativi, limitando anche la capacità di spesa dello Staro.

L’altra sfida riguarda, infine, la capacità di rispondere a bisogni e rischi sociali che, nella società contemporanea, sono diventati sempre più multidimensionali e cumulativi fino a determinare l’emergere di processi di forte marginalizzazione ed esclusione sociale, in uno scenario in cui le capacità di protezione delle reti sociali primarie, e della famiglia in particolare, diventa sempre più debole.

Quale futuro per il welfare?
Il welfare è un’istituzione sociale che si è rivelata necessaria al funzionamento della società moderna capitalista e, in quanto tale, sarà protagonista della vita sociale anche nel prossimo futuro. Tuttavia, le sfide a cui è chiamato a rispondere e le conseguenze derivanti dalla Grande Recessione degli ultimi anni, ne stanno ridefinendo, fortemente, i contorni e le caratteristiche. L’assetto che assumerà il welfare del futuro dipenderà, ovviamente, dalle scelte di carattere politico che verranno compiute e del clima ideologico entro cui matureranno. Ad oggi la principale direzione che il welfare europeo sta assumendo, seppur con le differenze derivanti dai diversi assetti istituzionali preesistenti, è quella del cosiddetto investimento sociale in cui le misure e gli interventi si pongono l’obiettivo di preparare il cittadino ad affrontare il nuovo panorama dei rischi sociali lungo tutto il corso di vita mirando primariamente alla valorizzazione del capitale umano e alla partecipazione al mercato del lavoro. È evidente come si tratti di una direzione che mira a ridurre il più possibile l’azione redistributiva dello Stato a favore di un meccanismo di risposta, ai rischi e ai bisogni sociali, sempre più centrato sul mercato.

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